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Kenya: “lottare a testa alta o vivere in ginocchio”. Il governo ritira la legge

Il presidente keniota Wiliam Ruto ha annunciato il ritiro della legge finanziaria per il 2024-25.

L’annuncio, avvenuto il 26 giugno, è senz’altro una vittoria della pressione popolare inedita esercitata nel paese in un contesto di rapidi e radicali cambiamenti politici nel continente africano che stanno minando gli interessi occidentali nella regione.

Una vittoria inedita dopo la sconfitta lo scorso anno delle proteste guidate dall’opposizione ufficiale contro l’allora finanziaria “lacrime e sangue” varata il 26 giugno scorso, e che aveva previsto tra l’altro un aumento del 16% del prezzo della benzina.

La situazione sembra tutto meno che pacificata ed indirizzata verso nuovi binari rispetto alla vita politica del paese.

Innanzitutto questa innegabile vittoria delle classi popolari keniote di cui un terzo vive sotto la soglia della povertà e dove la maggioranza assoluta della popolazione è composta da giovani per metà disoccupati, è stata raggiunta con un notevole tributo di sangue.

Ancora all’oggi è impossibile quantificare il numero dei morti, dei feriti e degli arresti arbitrari avvenuti il 25 giugno.

Almeno 23 persone – riporta Rfi.afrique – sarebbero morte.

Hanifa Adan, una delle figure del movimento di contestazione al governo ha scritto sul suo account X: “il progetto di legge è ritirato, ma farete tornare in vita coloro che sono morti?”.

Ricordiamo che accanto alla polizia – al centro negli anni di ripetute denunce da parte di varie associazioni di diritti umani – è intervenuto l’esercito e che sono stati sparati colpi d’arma da fuoco reale contro i manifestanti.

La violenza ha stabilito una frattura ulteriore nella legittimità nei confronti di un presidente – eletto nel settembre del 2022 – e della sua forza politica (United Democratic Allliance – UDA) che detiene la maggioranza nel parlamento, dopo la politica di austerity che ha imposto negli ultimi due anni ed un atteggiamento business friendly nei confronti delle multinazionali statunitensi ed in generale degli interessi nord-americani nella regione.

Il Kenya di Ruto ha “sostituito” l’Etiopia come pivot nell’Africa Orientale.

Dopo una vera e propria ecatombe, il presidente, vorrebbe aprire il dialogo rispetto alla gestione del debito confrontandosi con la società civile, religiosa o ancora i sindacati.

In questo contesto cerca di emergere Kalonzo Musyoka, navigato politico keniota con differenti responsabilità governative in passato, e che ha rinunciato – nelle elezioni del 2022 – alla propria candidatura in favore di Raila Odinga – attuale capo dell’opposizione parlamentare – sostenuto allora dalla coalizione Azimio la Umoja, di cui il padrino politico è Uhuru Kenyatta, presidente per due mandati dal 2013 al 2022.

Recentemente aveva espresso chiaramente la volontà di candidarsi alle elezioni presidenziali del 2027 e ha preso una dura posizione contro la repressione attuata da Ruto, ma è chiaro che ciò che sta succedendo in Kenya travalica la dinamica di alternanza del Kenya multi-partitico dopo l’uscita di scena di Daniel arap Moi all’inizio del Duemila.

La situazione ha avuto una testimone d’eccezione, Auma Obama, “sorellastra” dell’ex presidente statunitense, attivista e autrice che opera con la fondazione Sauti Kuu, in Kenya, organica alle proteste ed intervistata durante le mobilitazioni dalla CNN.

Ai microfoni di Democracy Now ha denunciato la condizione di indigenza delle persone ed i progetti governativi riferendosi ai giovani – “non hanno lavoro, e saranno tassati, e finiranno per avere un debito con lo Stato” – oltre a fare luce su ciò che è accaduto nelle manifestazioni a cui ha partecitato: “sono stati presi di mira con gli idranti, con i lacrimogeni, con le pallottole, con i proiettili di gomma”.

L’ONU stessa, attraverso il suo porta-voce Stéphane Dujarric, che chiede chiarezza affermando: “quando la polizia o le forze di sicurezza fanno un uso mortale della forza, noi vogliamo che delle inchieste siano condotto per stabilire chiaramente le responsabilità. E noi non dubitiamo che il sistema giudiziario keniota le realizzerà”.

Ma è chiaro che si amplia a questo punto il problema rispetto all’affidabilità delle forze di polizia del paese visto che saranno impiegate – con un contingente previsto di 1000 unità – in una missione multinazionale delle Nazione Unite sorretta logisticamente e finanziariamente dagli Stati Uniti ad Haiti, in supporto alle forze di sicurezza del paese caraibico in preda ai “signori della guerra” delle gang locali.

Un’altra questione da chiarire è se all’annuncio di Ruto farà seguito un effettivo abbandono della legge per il budget da parte del parlamento.

In caso affermativo, “l’elefante nella stanza” è capire dove e come reperire i 345 miliardi di scellini kenioti (circa 2,5 miliardi di euro) in più per le casse dello Stato, rispetto all’anno precedente. É chiaro che se i soldi non arriveranno direttamente dalle tasche dei cittadini attraverso la tassazione regressiva particolarmente penalizzante ipotizzata dal governo, verranno prese altre misure di austerità che il taglio delle spese della “politica” potranno colmare solo parzialmente.

E questo farebbe infiammare ultimamente il paese.

Insomma la questione sembra solo rinviata, e quello che potrebbe essere messo in discussione in prospettiva è un modello di sviluppo che crea una polarizzazione economica crescente ed un indebitamento strutturale di cui beneficiano sostanzialmente gli istituti di credito e le multinazionali occidentali, nonostante sia la terza economia dell’Africa sub-sahariana dopo il Sud Africa e la Nigeria ed uno dei paese con tassi di istruzione e formazione particolarmente elevati.

Quello che abbiamo visto rinascere è lo spirito di coloro che hanno liberato il paese dal dominio britannico, la resistenza Mau-Mau ancora fonte di ispirazione per la parte più politicizzata dei giovani.

Era l’eroe della liberazione keniota Dedan Kimathi – ucciso che diceva che avrebbe preferito lottare a testa alta piuttosto che vivere in ginocchio.

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