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Fiat-Chrysler nel mirino della cinese Gac

La “grande capacità imprenditoriale” di Sergio Marchionne produrrà probabilmente il grande risultato di consegnare due pezzi della storia dell’automobile – Fiat e Chryler – in mani cinesi. È la legge del normale capitalismo, lo sappiamo bene, non c’è né un limite nazionale né tantomeno una “responsabilità sociale” nella logica di impresa.

La notizia ballonzolava da giorni sui mercati, ma ora si sta facendo così concreta che anche i giornali economici italiani – fin qui assolutamente silenti su un’operazione che potrebbe avere una portata storica – sono stati costretti a registrarla. Ovviamente, per poterne parlare bene, bisogna nascondere il dato industriale (se Fiat finisce in Cina, come si farà a fare del nazionalismo pro-Agnelli?) ed esaltare il versante finanziario. E quindi viva l’ascesa de titolo in borsa (+3%, neanche molto…) come conseguenza dell’interesse di Guangzhou Automobile Group (Gac Gonow), già socio industriale di Fca nella joint venture che produce a Changsha le Jeep Cherokee e Renegade.

Le voci riferiscono di una volontà di acquisire direttamente la maggioranza azionaria del gruppo, considerato un’ottima testa di ponte per entrare di slancio nel mercato Usa (Chrysler ha in pancia marchi storici come Jeep , Dodge, Ram Trucks). Del resto è stato lo stesso direttore generale di Gac, Wu Song, a spiegare che: «Lo sviluppo di Fca in Cina ha richiesto il nostro sostegno; ora per la nostra espansione nel mercato americano puntiamo sull’aiuto di Fca».

Fine della “italianità” di un marchio automobilistico di fatto già trapassato in America? Dipenderà solo dai governi statunitensi, crediamo. Il salvataggio di Chrysler, consegnata a Marchionne perché la “risanasse” (metà dei lavoratori che c’erano prima, e a metà dello stipendio precedente), è avvenuto per volontà di Obama. Bisognerà vedere se vorranno viaggiare su un suv del Celeste Impero…

Se verrà dato il via libera, della managerialità di Marchionne passeranno alla storia solo le plusvalenze guadagnate da lui stesso e dalla famiglia Agnelli, ma soprattuto la devastazione dei diritti del lavoro iniziata con il “modello Pomigliano”.

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