L’esito del cosiddetto stress – test cui sono state sottoposte le principali banche europee consente un’analisi, forse eccessivamente schematica ma sicuramente realistiche, sul rapporto tra economia e politica nell’Unione Europea.
Appare evidente, infatti, come questo tipo di operazioni altro non rappresenti che la difesa corporativa di poteri forti, in questo caso quelli bancari, che escono sempre indenni anche rispetto alle stesse logiche di mercato che pure sono sempre invocate a gran voce in questi casi.
La globalizzazione vale per la povera gente investita dalla guerra e costretta a migrare percorrendo a piedi i Balcani oppure annegando nel Mediterraneo: non vale certo per i banchieri ben rinchiusi nelle loro fortezze provviste di aria condizionata.
Quando, poi, lo “stress – test” fornisce esito (fintamente) negativo c’è sempre pronta una bella ricapitalizzazione finanziata ovviamente dal “parco buoi”, cui tra qualche anno, com’è capitato ai poveri correntisti veneti sarà comunicato il classico “bambole, non c’è una lira”.
Nel frattempo chi doveva ingrassare, si è ingrassato.
L’esempio delle banche è il più facile da farsi, ma pensiamo alla finanziarizzazione delle industrie, agli spostamenti dei domicili fiscali, alle leggi fatte ad hoc per intensificare lo sfruttamento, precarizzare il lavoro, spostare ancor di più l’asse delle risorse a disposizione verso l’alto.
Si discute della crisi della democrazia e delle difficoltà delle èlite: in realtà l’assetto politico – sociale appare ormai saldamente strutturato sulla base del corporativismo dei potenti.
La “politica” si è ben orientata in questo senso, non tanto e non solo nella costruzione di una nuova dimensione del proprio ceto, ma soprattutto nell’edificazione di strutture istituzionali da utilizzarsi proprio in funzione dell’utilità per le corporazioni.
Nasce da qui la modifica in senso autoritario degli stessi regimi liberal – democratici e i progetti di fuoriuscita dal quadro costituzionale repubblicano (come negli auspici avanzati qualche tempo fa da J.P. Morgan).
La sola risposta possibile sembra essere quella dell’arroccamento sugli elementi di una cattiva tradizione di egoismi singoli e collettivi espressi da moltitudini poste perennemente in guerra verso altre masse, in una gara folle verso l’espropriazione del senso comune di un equilibrio comunitario.
Il versante corporativo, quello degli establishment dominanti in Occidente (democratici USA, grosse koalition tedesca, conservatori e laburisti britannici, socialisti francesi) e quello populista (Trump, Brexit, Front National) sono omologati nel cancellare ogni identità solidale ed egualitaria e conservare l’attuale segmentazione del potere in modo da renderne impossibile l’identificazione e la contesa.
E’ questo, sia ben chiaro, il senso complessivo, nel “minimum” della situazione italiana, delle renziane deformazioni costituzionali: nascondere il potere per lasciarlo intangibile nella disponibilità delle corporazioni (quelle vere, non certo quelle di Monsù Travet).
E’ necessario non farsi fuorviare dall’infuriare della propaganda e rendersi conto che è questo l’oggetto vero del contendere: quello del ritorno a far sì che le idee di eguaglianza ricompaiano sulla scena della storia come oggetto dell’agire politico.
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