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Industria, errori fatali

Riprendiamo un punto dell’intervista rilasciata oggi dal Ministro Calenda al “Corriere della Sera, per fare in modo che i contenuti siano ben chiariti a tutti e non passino così tra una frase e l’altra sulla vacuità della fase politica.

Tra i vari argomenti toccati si tocca, infatti, il tasto dei dazi USA che Trump minaccia di estendere all’acciaio e all’alluminio (si ricorda per inciso che acciaio e alluminio rimangono, nonostante – e anzi per via dell’innovazione tecnologica, materiali la cui produzione rimane assolutamente strategica).

La domanda rivolta a Calenda sull’argomento è questa: “La scelta americana di attaccare sull’acciaio è simbolica?”

Questa la risposta del Ministro: “Lo è perché ci racconta quanto si è sbagliato fino a ieri. In base ad un’interpretazione dogmatica delle catene globali del valore, abbiamo deciso che l’importante era importare l’acciaio al più basso costo possibile. Non importa se prodotto in dumping in Asia, distruggendo l’industria del settore in Occidente”.

Mi auguro che a tutti sia chiara lettera e senso dell’affermazione del Ministro: si ammette un errore gigantesco, attraverso il quale si è messa in ginocchio l’industria italiana.

Un errore colpevole perché frutto della copertura di speculazioni, di interpretazioni cervellotiche di quella che hanno chiamato “globalizzazione”, di idee davvero ideologiche, di una sorta di illimitatezza del mercato.

Intanto si accusavano altri di “ideologismo”.

Un errore clamoroso (denominiamolo ancora così per “carità di patria”) che fornisce l’idea concreta di ciò che è stata ed è la classe presuntuosamente dirigente di questo Paese, da condannare in blocco: a partire dall’operazione smantellamento delle PPSS e scioglimento dell’IRI negli anni’80.

Le poche aziende (Finmeccanica, Fincantieri, Fintecna, Alitalia e RAI) rimaste in mano all’IRI furono trasferite sotto il diretto controllo del Tesoro. Nonostante alcune proposte di mantenerlo in vita, trasformandolo in una non meglio precisata “agenzia per lo sviluppo”, il 27 giugno 2000 l’IRI fu messo in liquidazione e nel 2002 fu incorporato in Fintecna, scomparendo definitivamente. Prima di essere incorporato dalla sua controllata ha però pagato un assegno al Ministero del Tesoro di oltre 5.000 miliardi di lire, naturalmente dopo aver saldato ogni suo debito.

Tanto per chiarire che esistevano voci dissenzienti sono costretto, scusandomi con tutti, ad auto citarmi riprendendo un passaggio di un mio intervento dell’epoca:

Nel 1990 (queste le responsabilità politiche vere del pentapartito,ben oltre la stessa Tangentopoli) i paesi europei erano tutti in condizione di debolezza e tutti, tranne Portogallo, Grecia, e Italia, hanno modificato le proprie capacità tecnico – scientifiche diffuse, al fine di agganciare il mercato internazionale.

Non a caso i Paesi europei hanno una dotazione tecnologica, costruita anche grazie al supporto e all’intervento diretto del settore pubblico, che permetterà di guardare al proprio futuro in modo più consapevole, mentre l’Italia dovrà importare l’innovazione da altri e rinunciare anche allo sviluppo di segmenti alti del mercato del lavoro, rinunciando alla siderurgia. all’informatica, all’elettronica, alla chimica, addirittura all’agroalimentare”

Ed in queste condizioni hanno avuto anche la presunzione di cacciarci nell’avventura europea, attraverso la firma del trattato di Maastricht e seguenti.

Mi auguro di aver fornito chiaramente alcuni elementi di giudizio intorno a quello che è stato il disastro italiano perpetrato da un ceto politico, economico, industriale alternatosi in varie forme al potere dagli anni’80 a oggi anche attraverso quel bipolarismo centrodestra/centrosinistra che, alla luce dei fatti, appare sempre di più essere stato una finzione. Finzione che ha causato disastri materiali di livello epocale per questo nostro povero e maltrattato Paese.

 

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