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Dazi europei sulle auto elettriche cinesi. È piena guerra commerciale

La UE ha infine annunciato l’imposizione di dazi (per ora provvisori) sui produttori cinesi della filiera delle auto elettriche. Questi si vanno a sommare ai dazi del 10% già introdotti in passato.

Il peso della misura varia a seconda delle sigle colpite: 17,4% per Byd, 20% per Geely, 38,1% per Saic. Altre compagnie oggetto dell’indagine europea, e che con essa hanno collaborato, saranno soggette a un dazio del 21%, mentre chi non ha collaborato lo subirà del 38,1%.

Gli accertamenti sulle aziende del Dragone sono partiti a ottobre. Molte imprese sono state disponibili nei confronti delle istituzioni europee, ma questo non ha appunto evitato le ritorsioni commerciali di Bruxelles.

Si legge nelle motivazioni del provvedimento che “l’intera catena del valore dei veicoli elettrici a batteria beneficia pesantemente di sussidi ingiusti in Cina e che l’afflusso di importazioni cinesi sovvenzionate a prezzi artificialmente bassi rappresenta quindi una minaccia di pregiudizio chiaramente prevedibile e imminente per l’industria dell’UE”.

La Commissione Europea ha dichiarato che, senza misure del genere, l’economia del continente vedrebbe a rischio 2,5 milioni di posti di lavoro diretti e 10,3 milioni indiretti. Tra il 2020 e il 2023 la quota di mercato delle importazioni cinesi è salita dal 3,9% al 25%.

Vogliamo evitare l’escalation delle tensioni commerciali con la Cina, che non sono nell’interesse di nessuno”, ha detto Dombrovskis, commissario europeo al Commercio. Ha assicurato che da Bruxelles hanno “contattato la Cina per discutere i risultati e la via da seguire”.

La Camera di commercio cinese presso la UE ha espresso il timore che questa decisione potrebbe “intensificare gli attriti commerciali tra Pechino e Bruxelles”.

Il portavoce del ministero degli Esteri Lin Jian ha commentato: “esortiamo l’UE a rispettare il suo impegno a sostenere il libero scambio, a opporsi al protezionismo e a collaborare con la Cina per salvaguardare la cooperazione economica e commerciale complessiva bilaterale”.

Ha anche aggiunto che la UE “ha ignorato i fatti e le regole del WTO (l’Organizzazione Mondiale del Commercio), le ripetute forti obiezioni cinesi, gli appelli e la dissuasione di governi e industrie di diversi stati europei”. Il riferimento alla Germania è chiaro.

Il ministro tedesco dei Trasporti, Volker Wissing, ha detto esplicitamente che “i veicoli devono diventare più economici attraverso una maggiore concorrenza, mercati aperti e condizioni di localizzazione significativamente migliori nell’Ue, non attraverso guerre commerciali e preclusioni di mercato”. Anche l’Ungheria ha appoggiato questa posizione.

Anche se Adolfo Urso ha espresso soddisfazione, Stellantis non è della stessa opinione. “In quanto azienda globale, Stellantis crede nella concorrenza libera e leale in un ambiente commerciale mondiale e non sostiene misure che contribuiscono alla frammentazione del mondo”.

Stellantis ha stipulato un accordo con la casa automobilistica cinese Leapmotor, di cui assemblerà i mezzi in uno stabilimento in Polonia. Tavares aveva detto chiaro e tondo che le auto del Dragone “conquisteranno almeno il 10% del mercato europeo. È un processo ormai avviato, non possiamo fermarlo. Possiamo solo inserirci in questa dinamica in corso e lo facciamo grazie a Leapmotor

Insomma, è uno dei principali ‘campioni europei’ a evidenziare che siamo nel pieno di una guerra commerciale tra blocchi, che rischia di frammentare il mercato mondiale. Una dimensione nella quale le multinazionali hanno fatto le proprie fortune negli ultimi trent’anni, e con cui ancora non possono rompere completamente.

Bruxelles ha seguito Washington, che circa un mese fa ha annunciato un aumento delle tariffe doganali sui prodotti cinesi. Ma il cuore dell’industria europea, cioè la Germania, ha appunto espresso la sua insofferenza verso questa scelta.

È la contraddizione che esiste all’interno degli interessi strategici dell’imperialismo euroatlantico, che fomenta la divisione in blocchi geopolitici sempre più autonomi.

Ma che allo stesso tempo deve fare i conti con le opportunità che quel che rimane della globalizzazione ancora offre ai grandi attori industriali e finanziari.

Questo vale soprattutto per la UE, in una dimensione di concorrenza e a volte addirittura di competizione con gli USA. La guerra commerciale, una delle forme che ha assunto la “guerra mondiale a pezzi”, è conclamata… ma le contraddizioni macinano anche all’interno dell’Occidente in crisi.

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