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Accordo sul petrodollaro Usa-Sauditi. Rettifiche necessarie e chiarimenti utili

Il 17 giugno è stato pubblicato un mio articolo sul giornale Contropiano, dal titolo L’accordo USA-Arabia Saudita sui petrodollari non è stato rinnovato. Lo stesso giorno è uscito un articolo di Claudio Paudice su Huffington Post, in cui veniva spiegato perché questa informazione, rimbalzata su diversi siti, fosse una fake news.

Ad essere precisi, già nelle prime righe l’autore specifica che la notizia “è fortemente esagerata, quindi fake”. Ci troviamo già a una riformulazione per cui, con una consequenzialità logica data per scontata, i fatti presentati con forme “esagerate” diventano automaticamente “inventati”.

Affinché qualcosa sia esagerata, un fondo di verità da esagerare ci deve pur essere. E allora è doveroso che faccia le dovute rettifiche al pezzo pubblicato il 17 giugno, perché l’accordo a cui si fa riferimento è in realtà scaduto più di venti anni fa.

Ma è anche utile che ricostruisca nei dettagli la vicenda, apparsa persino sul sito del Nasdaq, la borsa valori statunitense che dovrebbe ben informare i suoi operatori. I nodi che solleva, anche non “esagerati”, rispondono al senso originario dell’articolo di qualche giorno fa.

Innanzitutto, va chiarito che non esiste nessun testo scritto con cui, nero su bianco, sia stata decretata la nascita dei petrodollari. A dire la verità, bisogna anche dire che gli stessi petrodollari non esistono, e si tratta della definizione convenzionale di quella che è una dinamica insieme economica e politica.

Le prime attestazioni della parola petrodollaro si hanno addirittura prima del famigerato accordo citato nel mio articolo, e a cui passerò a breve. Se ne hanno riferimenti in una conferenza tenuta dal Professor Ibrahim Oweiss e nel titolo di un articolo del New York Times, entrambi datati al marzo 1974.

Da entrambi si comprende come la questione dei petrodollari riguardi, in realtà, la dinamica del reinvestimento degli enormi flussi di denaro arrivati nei paesi produttori, al rialzo dei prezzi del 1973, da quelli industrializzati e dipendenti dal combustibile fossile.

Ma riguarda anche la stabilità di una regione che doveva fare i conti con la presenza di Israele. Il petrodollaro non può essere compreso senza legare la sua nascita all’origine geopolitica della crisi petrolifera del 1973: il sostegno dato dai paesi arabi produttori all’Egitto e alla Siria nella guerra del Kippur.

Questo è il contesto. Cos’è dunque l’accordo oggetto del dibattere? Si tratta in realtà di una doppia intesa che è stata siglata nel 1974, l’una collegata in maniera evidente all’altra, che hanno reso prassi consolidata il “riciclaggio dei petrodollari” (così è conosciuto il processo).

Il primo accordo è stato stipulato l’8 giugno 1974, come riportato dal pezzo del 17 giugno. Esso ha dato vita alla Commissione congiunta per la cooperazione economica U.S.-Arabia Saudita, come attestato da un documento statunitense qui scaricabile nella sua interezza.

L’intesa doveva durare cinque anni, ma è stata periodicamente rinnovata fino alla fine del secondo mandato di Bill Clinton. Al suo interno leggiamo esplicitamente che era stata pensata per questi scopi:

  • favorisce legami politici più stretti tra i due paesi attraverso la cooperazione economica;
  • assiste l’industrializzazione e lo sviluppo sauditi riciclando i petrodollari; e
  • facilita il flusso verso l’Arabia Saudita di beni, servizi e tecnologie americani.

Il documento, dunque, non ‘istituisce’ i petrodollari. Essi sono una realtà di fatto, e con questa Commissione si instaura intorno al loro flusso un legame tra Washington e Ryad.

Questo rapporto si sostanzia nell’assistenza tecnica e professionale per lo sviluppo dell’Arabia Saudita, pagata dai sauditi stessi attraverso un conto aperto presso la Tesoreria statunitense, ovviamente in dollari e riempito dai proventi del petrolio venduto a varie potenze, tra cui gli stessi Stati Uniti.

Il risvolto geopolitico e strategico della cooperazione è reso chiaro da un altro diplomatico: “aiutando i sauditi a trovare un modo per investire le loro grandi e crescenti riserve finanziarie, daremo loro un ulteriore incentivo a continuare a produrre petrolio nelle quantità necessaria a soddisfare la domanda mondiale a livelli di prezzo stabili e, si spera, più bassi”.

L’importanza non solo di farsi alleato, ma di entrare in un patto per tutti e due vantaggioso con uno dei maggiori produttori di petrolio, di stabilizzare così la produzione e le forniture di quel combustibile fossile fondamentale, e di fare tutto questo ponendo dei motivi concreti per la normalizzazione dei rapporti con Israele, era di certo una vittoria diplomatica.

Ma a questo accordo ne seguì subito un altro, tenuto segreto e rivelato solo nel 2016 da Bloomberg. Il contenuto era semplice: “gli Stati Uniti avrebbero comprato petrolio dall’Arabia Saudita e avrebbero fornito al regno aiuti ed equipaggiamenti militari. In cambio, i sauditi avrebbero riversato miliardi dei loro petrodollari nei titoli di Stato e avrebbero finanziato la spesa statunitense”.

L’Arabia, che ancora nel 2022 rappresentava il principale esportatore di petrolio al mondo, costruì con gli Stati Uniti un meccanismo che è durato fino a oggi. Un meccanismo che, con i petrodollari – e non istituendo i petrodollari –, ha segnato il funzionamento di tutto il sistema finanziario globale.

Come detto, la notizia della fine dell’accordo dell’8 giugno 1974 è comparsa anche sul sito del Nasdaq, a firma Paul Hoffman per TipRanks, un’azienda di servizi finanziari con sede a Tel Aviv. Hoffman ha rettificato il suo articolo apparso l’11 giugno, lo stesso giorno della pubblicazione del mio pezzo.

In esso, comunque, rimangono valide le interpretazioni di fondo. Anzi, direi che è significativo che in tutti i chiarimenti citati non viene specificato che i petrodollari esistevano a prescindere, e che i due accordi di cui è stata ripercorsa la storia hanno istituito un meccanismo che ha consolidato effettivamente il ruolo del dollaro nel mercato globale.

Meccanismo che oggi vacilla. La recente adesione di Ryad al Progetto mBridge apre interessanti scenari, senza ombra di dubbio, nonostante Paudice ricordi come il predominio del dollaro non si fondi unicamente sul petrolio.

Così come il possibile passo avanti nella de-dollarizzazione anche da parte dei sauditi passerà dall’esito delle trattative sulle assicurazioni militari degli USA. Come reso chiaro già nell’articolo rettificato, i petrodollari hanno avuto il ruolo qui ricostruito sia in quanto parte di un’intesa economica, sia in quanto parte di un’intesa militare.

Intesa che, tra alti e bassi e tra varie trasformazioni, questa sì che continua tuttora, e sta diventando elemento determinante per il dollaro, ma anche nei rapporti con Israele e l’Iran.

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