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Gaza. A fine giugno il governo Hamas renderà noti gli esiti dell’inchiesta sull’uccisione di Vik

Gaza, 15 giugno 2011. «I bambini giocheranno in questi spazi, abbiamo ristrutturato il bagno e qui c’è la cucina». Saber Zanin si sposta rapido da una stanza all’altra del “Forsan al Ghad for Youth Association” di Beit Hanun. Poco prima aveva guidato una manifestazione di una trentina di palestinesi e volontari occidentali dell’International solidarity movement  (Ism) ai margini della «zona cuscinetto», le terre agricole più fertili di Gaza dove per «motivi di sicurezza» l’esercito israeliano non permette l’accesso ai palestinesi, neppure ai proprietari dei terreni. Una misura accompagnata dal fuoco di armi automatiche contro chi si azzarda a violare il divieto che ha ridotto alla fame diverse centinaia di famiglie contadine. «Vittorio Arrigoni lottava con noi. Abbiamo fatto assieme tante manifestazioni lungo la zona cuscinetto, per me era un fratello», ricorda Saber mostrandoci sul suo laptop alcune foto di Vittorio scattate nei mesi scorsi. Oggi in ricordo dell’attivista italiano sequestrato ed ucciso due mesi fa a Gaza, avrà inizio il campo estivo «Stay Human, Restiamo Umani». «Accoglieremo 60 bambini e ragazzi tra i 6 e i 16 anni – spiega Saber –, oltre a giocare e a divertirsi apprenderanno la vicenda politica ed umana di Vittorio. Non solo, riceveranno nozioni di diritto umanitario, per prepararsi a seguire le orme del nostro fratello ucciso». A sponsorizzare il campo estivo sono una decina di Ong italiane che operano nella Striscia di Gaza. Saber ha la possibilità di realizzare un sogno. «Vittorio proteggeva i bambini palestinesi, sarà contento che questa iniziativa sia stata dedicata a lui».

Due mesi senza Vik. Al contrario, due mesi sempre con Vik perché a Gaza amici e compagni non lo dimenticano. Le sue parole sono pietre, la sua immagine è parte della memoria collettiva. Daniela Riva, una cooperante del Gvc di Bologna, ha trascorso gli ultimi anni nella Striscia impegnata nella realizzazione di progetti di sviluppo. Vittorio era un suo caro amico. «Quando crollavo davanti a chi non capiva il mio coinvolgimento per Gaza – ricorda Daniela – Vik mi ripeteva che avrei dovuto rispondere che essere coinvolta in una lotta di giustizia e libertà significa essere viva, c’è altro per cui vale la pena vivere o morire?… Quando mesi fa (il fuoco dei soldati israeliani) uccise un agricoltore che avevo incontrato appena qualche minuto prima, Vittorio mi disse di non provare a versare una lacrima al funerale, ma di tenere la testa alta. Non si piange per i martiri. Lo feci. Ho cercato di farlo anche al suo funerale ma qualche lacrima è scesa comunque…». Ricordi, attimi intensi di commozione per un giovane strappato alla vita ad appena 36 anni che con onestà e costanza, attraverso la rete, ha inviato per anni informazioni quotidiane da Gaza sotto blocco israeliano. Non tralasciando gli aspetti economici e sociali. News che ieri hanno trovato una ulteriore conferma. Un rapporto dell’Unrwa (Onu) registra nella seconda metà del 2010 a Gaza un tasso di disoccupazione del 45,2 %, uno dei più alti al mondo. Il livello degli stipendi continua ad abbassarsi. «Si tratta di tendenze allarmanti» ha detto il portavoce dell’Unrwa Chris Gunness. «È difficile da comprendere la logica di una politica elaborata a tavolino (da Israele, ndr) che impoverisce deliberatamente – ha aggiunto Gunness – e che condanna ad una vita di miseria centinaia di migliaia di persone». «Se lo scopo della politica di chiusura (di Gaza) era di indebolire Hamas – ha concluso il portavoce – queste cifre dimostrano che essa è fallita mentre ha avuto grande successo nel punire quanti possono essere annoverati fra i poveri più poveri del Medio Oriente».

I genitori di Vittorio, la sorella, gli amici, tutti coloro che lo hanno conosciuto di persona e in internet o che lo avevano ascoltato con interesse durante i suoi tour in giro per l’Italia, attendono impazienti di conoscere la verità sul suo assassinio. Quel momento potrebbe essere vicino. Fonti autorevoli del ministero della giustizia e dei servizi di sicurezza del governo di Hamas – che hanno chiesto di rimanere anonime – hanno riferito al manifesto che la procura militare emetterà entro la fine di giugno un comunicato ufficiale sull’andamento delle indagini e rinvierà a giudizio almeno due persone coinvolte a vario livello nel sequestro e nell’assassinio di Vittorio. Una di queste è Mahmoud al Salfiti, l’unico sopravvissuto dei tre membri della sedicente cellula salafita (fuoriuscita dal gruppo Tawhid wal Jihad) responsabile del rapimento. Gli altri due, il giordano Abdel Rahman Breizat e Bilal Omari rimasero uccisi in un conflitto a fuoco a Nuseirat con reparti scelti di Hamas qualche giorno dopo aver ucciso l’attivista italiano.

Le fonti del ministero della giustizia hanno spiegato che le indagini chiuse a metà maggio sono state riaperte in seguito ad altri due tentativi falliti di rapimento di due giovani cittadini americani: un cooperante (residente da lungo tempo nella Striscia) e un attivista dell’Ism (quest’ultimo nei pressi del “Gallery”, il caffé frequentato da Vittorio e da vari attivisti locali e internazionali). Mente del sequestro è stato il giordano Breizat che aveva preparato il piano circa un mese e mezzo prima, non mancando di usare diversi abitanti di Gaza vicini a Vittorio, in gran parte inconsapevoli delle sue intenzioni. In origine, hanno aggiunto le fonti, il piano non prevedeva l’uccisione dell’italiano. Tuttavia quando i rapitori si sono resi conto che sarebbero stati scoperti nel giro di qualche ora, hanno deciso di far perdere le loro tracce. Ad uccidere Vittorio è stato Breizat, perché era convinto che lasciando in vita il sequestrato sarebbero stati individuati subito (Vik conosceva di persona almeno due dei rapitori, in particolare Bilal Omari con il quale frequentava una palestra di Gaza city).

Per la conferma di queste indiscrezioni che attendere l’apertura del processo. In quel momento si potrà accedere agli atti e conoscere finalmente le dichiarazioni rese durante gli interrogatori dagli imputati. Regna il mistero nel frattempo intorno agli otto oggetti di Vittorio scomparsi dopo il sequestro, in particolare il suo laptop. Le autorità di Hamas aveva riferito in un primo momento che erano stati recuperati e venivano custoditi al comando centrale della polizia. Adesso invece lo negano. Nena News

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Un leader del gruppo qaedista nega qualsiasi coinvolgimento di Tawhid wal Jihad nel sequestro di Vittorio e condanna l’assassinio dell’attivista italiano.

L’intervista di Michele Giorgio allo sceicco Abu Musab

Gaza, 15 giugno 2011, Nena News – I rapitori di Vittorio Arrigoni si dichiararono membri di al Tawhid wal Jihad, una formazione qaedista che poco più di due anni fa ha fatto la sua apparizione sulla scena di Gaza e formando proprie cellule, spesso in competizione se non addirittura in opposizione ad Hamas (accusato di non applicare il «vero Islam»). E affermarono di aver compiuto il sequestro di Vittorio allo scopo di ottenere la scarcerazione dello sceicco egiziano al-Saidani, noto anche come Abu Walid al-Maqdisi, arrestato un mese prima. Tawhid wal Jihad ha negato di essere coinvolta nel rapimento dell’attivista italiano ma a Gaza si continua a parlare dei legami tra questo gruppo qaedista e i sequestratori. Lo sceicco Abu Musab, uno dei leader di Tawhid wal Jihad, ha accettato di rispondere alle domande del manifesto sul sequestro Arrigoni. Ci riceve in una piccola abitazione nel campo profughi di Jabaliya, a nord di Gaza, armato di mitra e con il volto coperto parzialmente da una kufiah.

D. Negate di aver avuto un ruolo nel sequestro e nell’uccisione di Vittorio Arrigoni eppure continuano a chiamarvi in causa.

R. Qualcuno vuole coinvolgerci ad ogni costo in questa vicenda ma Tawhid wal Jihad non ha pianificato o partecipato in alcun modo al sequestro dell’italiano. La nostra smentita è stata immediata, abbiamo chiarito subito che i sequestratori non facevano parte del nostro progetto di jihad (guerra santa). Quei giovani hanno usato il nostro nome perché è noto e volevano farsi conoscere.

D. Tuttavia il giordano Abdel Rahman Breizat, la mente dei sequestratori, era vicino alla vostra organizzazione.

R. Sì, ma fino ad un certo punto. Molti dei nostri combattenti lo conoscevano. Era un ragazzo devoto che voleva fare della Palestina il punto di partenza per una nuova rinascita dell’Islam, per la vittoria del jihad in dar al Islam. Ma non ha mai fatto parte della struttura di Tawhid wal Jihad, era un esterno e tutto ciò che ha fatto lo ha organizzato assieme ai suoi amici (quelli del sequestro di Vittorio, ndr) a nostra insaputa.

D. Ma lei lo conosceva di persona Breizat?

R. Certo, perché appena arrivato a Gaza (all’inizio del 2010, ndr) aveva subito preso contatto con la salafiyya (le cellule qaediste di Gaza che si rifanno al salafismo, ndr). Ricordo di aver parlato con lui più volte, della grandezza del profeta (Maometto) e dei doveri dei musulmani. Insisteva molto sul mancato rispetto da parte dei popoli islamici dei precetti coranici e degli insegnamenti del profeta. Lo irritava l’indifferenza di tanti musulmani verso la religione.

D. Ma Vittorio Arrigoni cosa c’entrava, non era un musulmano

R. Credo che il sequestro dell’italiano servisse a Breizat e ai suoi compagni per affermare l’esistenza della sua cellula, del suo gruppo. In cambio della sua liberazione ha chiesto la scarcerazione dello sceicco al Saidani, arrestato ingiustamente solo per aver parlato a nome dell’Islam. Breizat ha messo in piedi un’operazione spettacolare per farsi pubblicità.

D. Lei parla di liberazione e di scambio di prigionieri ma Vittorio è stato ucciso subito, i rapitori non hanno neppure rispettato l’ultimatum che avevano lanciato.

R. Perché Breizat e i suoi compagni hanno organizzato qualcosa che non sono stati in grado di gestire. Hanno subito sentito forte la pressione, si sono sentiti in trappola e hanno ucciso l’ostaggio.

D. Ma del sequestro avvenuto la sera del 13 aprile si è saputo solo poco prima del tramonto del 14 e la polizia di Hamas è intervenuta quando era scesa l’oscurità. Secondo una tesi Vittorio Arrigoni potrebbe essere stato ucciso nel primo pomeriggio, forse nel video postato dai sequestratori era già morto o in coma.

R. La pressione non è solo quella della polizia e delle indagini ma anche della impreparazione, della mancanza di organizzazione mentale e militare. Gestire un sequestro è complesso e solo un gruppo determinato e ben strutturato può portarlo avanti. Breizat e i suoi compagni forse hanno perduto la testa.

D. E cosa dice delle voci su una regia occulta, pare nel Sinai, del rapimento di Arrigoni.

R. Non so nulla di tutto ciò ma non mi sento di escludere che Breizat avesse qualcuno alle spalle, qualcuno che lo ha convinto ad agire e colpire quell’italiano. Forse dietro tutto ciò c’è il Mossad (il servizio segreto israeliano). Con certezza posso dire soltanto che Tawhid wal Jihad non ha rapito Vittorio Arrigoni

D. Lei conosceva Arrigoni, sapeva della sua presenza e delle sue attività a Gaza.

R. L’avevo visto una volta a bordo di una ambulanza nel nord di Gaza durante l’aggressione sionista (l’offensiva israeliana «Piombo fuso», dicembre 2008-gennaio 2009). Talvolta qualcuno mi parlava di lui. Per me era un amico dei palestinesi e non un nemico dell’Islam. La sua uccisione è stata un crimine. Noi non ci opponiamo alla presenza degli occidentali a Gaza, se vengono per aiutare i palestinesi e i musulmani non possono essere toccati. La nostra religione li protegge. Nena News

* articolo e intervista sono stati pubblicati il 15 giugno 2011 dal quotidiano Il Manifesto

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