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Ci vogliono poveri e ignoranti. Ma felicemente silenti

La costruzione di un’ideologia nauseabonda è un lavoro lungo, faticoso, con grade dispendio di mezzi. Addirittura sproporzionati – in apparenza – rispetto all’obiettivo.

L’ideologia in costruzione – di cui ci stiamo occupando – deve affiancare una condizione reale: noi che non stiamo “in alto”, nella scala sociale del potere, dobbiamo essere persuasi che in fondo stiamo benissimo così. E se la situazione peggiora di giorno in giorno, beh, ce lo meritiamo, perché non siamo abbastanza “competitivi”. Per poter stare sereni – ahia! – in una condizione squallida, bisogna sapere anche poco; e infatti stanno distruggendo da oltre 30 anni, a piccoli slittamenti regressivi, sia la scuola che l’università pubbliche. Non dobbiamo insomma essere messi a conoscenza dei meccanismi di funzionamento del reale (del “sistema”, si diceva giustamente qualche tempo fa), in modo da poter essere meglio indirizzati verso spiegazioni ad hoc, rigorosamente false ma “credibili” e persuasive. Esempio semplice: stiamo peggio, e peggio pagati, per colpa degli immigrati “che ci rubano il lavoro”. L’effetto al posto della causa (è l’impresa che paga meno, per essere a sua volta più “competitiva”), e il gioco è fatto.

Insomma, l’ignoranza è una iattura per gli schiavi, che così non possono mai emenciparsi dalla loro – nostra – triste condizione. Qualche imbecille “di sinistra”, tanti anni fa, provò persino a trasformare – ideologicamente, ovvio – questa iattura in una “fortuna”. Nacque così l’elogio dell’assenza di memoria (o Erkenntnistheorie), per cui il non sapere come e perché i tuoi predecessori nella rivolta avessero perso avrebbe permesso l’esplodere una radicalismo più forte. Naturalmente è accaduto il contrario, ovvero la “pace dei cimiteri” della coscienza, perché l’ignoranza paralizza anche nella difesa della propria vita (anche nei lager c’era chi sperava fino all’ultimo di essere risparmiato, lui individualmente), proprio mentre il potere consolida e arricchisce le proprie conoscenze “controrivoluzionarie”, costruendo archivi e scuole di formazione per sbirri e infiltrati, monitorando ogni pur pallido apparire di “critica del presente”.

Tempi passati, non senza gravi danni per la soggettività antagonista.

Ora – sulla stessa linea – si dà da fare direttamente il bestiario mediatico mainstream. Qui sotto vi proponiamo di dare un’occhata a un articoletto apparso oggi sull’edizione italiana dell’Huffington Post, che riprende “ricerche” fatte in ambiente anglosassone.

Tesi ideologica: l’ignoranza è la chiave della felicità. Prove a favore: lo dice anche la scienza.

Basta una sbirciata per cogliere immediatamente l’inganno, alquanto volgaruccio. l’”ignoranza che ci aiuta a essere felici”, nella ricerca citata, è quella relativa al futuro individuale. E in effetti sarebbe impossibile vivere davvero sapendo già cosa ci accadrà.

Il professore australiano che propala questa felice ignoranza non ha però alcuna intenzione “universalistica”. In altri termini, non estrapola affatto una tesi “scientifica” a favore dell’ignoranza in generale. Il mondo va conosciuto, studiato, “saputo”. Mentre la propria vita futura è bene che riservi sempre molte sorprese, almeno sul piano delle esperienze di vita, affettive, amicali, esperienziali.

Al contario, se non si mette questo preciso confine tematico alla “virtù dell’ignoranza”, si scrivono corbellerie miranti a far credere che l’ignoranza in genere porta felicità.

Una volta questa ideologia aveva altri modi di dire, in forma di proverbi: “i soldi non portano la felicità”, ecc. Ora ne abbiamo versione 2.0.

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“L’ignoranza è la chiave della felicità”. La ricerca: “È ciò che ci rende davvero liberi”

Ilaria Betti, L’Huffington Post

Meno sai e meglio stai”, recita un detto, e a dargli ragione è anche la scienza. Se ciò che facciamo ogni giorno non è altro che pensare, immagazzinare quante più informazioni possibili, anticipare il futuro nella nostra mente, forse sarebbe meglio imparare ad arrendersi al “nemico”: l’ignoto, il non sapere. Sarebbe proprio questa la chiave della felicità, secondo uno studio della Australian National University: “Solo l’ignoranza ci dona la vera libertà”, spiega Michael Smithson, professore della Research School of Psychology.

“Per assaporare l’autentica libertà personale hai bisogno di non conoscere alcune parti della tua vita presente e futura. Se tutto è già scritto per te, se sai già come andrà a finire, sei meno libero di compiere delle scelte e di prendere decisioni”, afferma lo studioso. E proprio per rimpiazzare quel “vuoto” si accendono in noi la curiosità e la creatività: ecco perché soprattutto gli artisti, gli artigiani, gli scienziati e gli imprenditori dovrebbero accogliere l’ignoranza e riempirla di nuove idee. “C’è sempre qualcosa che ignoriamo, altrimenti non avremo nulla da scoprire”, aggiunge Smithson.

Per aiutare le persone a scoprirsi (felicemente) ignoranti, il professore ha lanciato il corso online gratuito “Ignorance!”, il cui sottotitolo recita: “Scoprite cosa è l’ignoranza, come nasce, cosa ci si può fare e il suo ruolo nella società e nella cultura”. Analizzando anche il lato negativo che porta al razzismo e al pregiudizio, ciò che vuole fare con il sito è soprattutto combattere contro lo stereotipo della persona ignorante e perciò da denigrare: “L’ignoranza è in ognuno di noi. È rilevante in ogni disciplina e professione, nella vita di tutti i giorni”. E conviene: “Immaginate di sapete la trama e il finale del vostro libro prima di leggerlo. O di sapere già quale sarà il vostro regalo di compleanno o di Natale”. Nessuno, assicura il professore, accetterebbe mai un “affronto” simile.

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