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L’Unione Europea rafforzata dalle crisi

Le ipotesi e le previsioni crolliste e catastrofiste a proposito della sorte dell’Unione Europea hanno accompagnato il processo di unificazione continentale fin dai suoi albori.

Ad ogni crisi più o meno grave, ad ogni esplodere di una delle tante contraddizioni che il processo di formazione del polo imperialista europeo si trova a produrre e ad affrontare, esponenti politici, analisti e giornalisti non hanno esitato ad annunciare l’implosione dell’alleanza europea, a prevederne una rapida fine. 

In alcuni momenti gli accenti diventano acuti e si tenta di coinvolgere “l’opinione pubblica” in veri e propri psicodrammi collettivi. Ma in genere questi allarmi producono a livello di massa l’effetto contrario nonostante le sinistre – partiti, intellettuali e movimentismi vari – si faccia coinvolgere adottando chiavi di lettura catastrofiste e prevedendo magari il crollo del sistema.

In realtà il terrorismo comunicativo diffuso a piene mani costituisce la forma ideologica che la borghesia europeista utilizza per forzare un processo che genera sempre più contraddizioni di classe. L’egemonia detenuta agli inizi del secolo, quando l’Unione Europea era rappresentata in modo progressista e lanciata verso la crescita economica e l’espansione della democrazia, è ormai in profonda crisi e genera politiche sempre più antipopolari; allora si tenta di generare un sentimento generalizzato di paura che nelle intenzioni dell’establishment dovrebbe causare la paralisi sociale ed una accettazione politica dello status quo, come ha tentato spudoratamente di fare l’ex presidente del consiglio Matteo Renzi.

Si tratta della forma ideologica più “funzionale” al processo di gerarchizzazione in atto in Europa, utilizzata massicciamente dagli apparati ideologici del capitale, e spesso alla base delle scelte anche della sinistra sia nella sua versione moderata sia in quella radicale incappando così in un errore clamoroso di subalternità politica.

Ovviamente nessun processo storico, tantomeno quello che sta conducendo alla creazione di un polo geopolitico coeso con forti aspirazioni imperialiste a partire dalla lunga e difficile fusione di decine di stati con una lunga tradizione storica alle spalle, è da considerarsi scontato nel suo esito. Come detto, il processo di gerarchizzazione e di centralizzazione dell’Unione Europea si è scontrato, e continuerà a farlo, con contraddizioni a volte anche molto importanti, e non solo interne, ma determinate anche dall’evoluzione del contesto internazionale. Paradossalmente finora, oltre alla rivalità tra i due principali perni del processo di creazione del polo geopolitico europeo, cioè Francia e Germania, e ad una scarsa fede europeista da parte dei paesi dell’Europa Orientale fino a poco tempo fa di stretta osservanza atlantista, è proprio lo strapotere di Berlino a creare un ostacolo alla formazione di un quadro economico e politico europeo più omogeneo. La borghesia e la classe dirigente tedesca, se vorranno davvero trasformare l’Europa in un polo coeso, in un blocco geopolitico in grado di competere ‘alla pari’ con i propri contendenti sullo scenario internazionale, dovranno cedere qualcosa alla borghesia continentale in formazione.

Fatto sta che finora l’Unione Europea non ha solo superato indenne le varie crisi che a detta di molti commentatori avrebbero dovuto schiantarla, ma ha utilizzato i vari momenti di sofferenza per rilanciare ed accelerare il processo di centralizzazione e gerarchizzazione. Proviamo a fare un riepilogo delle principali crisi vissute da Bruxelles a partire dalla firma del Trattato di Maastricht nel 1992, che insieme all’introduzione della moneta unica rappresenta il passo fondamentale nell’accelerazione dell’unificazione europea.

–       Il 2 giugno del 1992 una lieve maggioranza degli elettori danesi boccia la ratifica del Trattato di Maastricht; dopo neanche un anno, nel maggio del 1993, un nuovo referendum indetto sullo stesso tema dal governo vede la vittoria del fronte pro-europeista;

–       In Norvegia, nel referendum tenutosi il 27 e 28 novembre del 1994, la maggioranza degli elettori vota contro l’adesione del paese all'Unione europea;

–       Il 29 settembre del 2000, ancora in Danimarca, un’ampia maggioranza degli elettori boccia l’ingresso di Copenaghen nell’Eurozona; Copenaghen rimane fuori dall’area valutaria comune europea, ma ciò non impedisce all’Euro di entrare in circolazione due anni dopo;

–       Il 7 giugno del 2001 il 54% degli elettori irlandesi vota No nel referendum indetto sulla riforma del Ventiquattresimo emendamento della Costituzione irlandese che avrebbe consentito a Dublino di ratificare il trattato di Nizza; ovviamente, gli elettori irlandesi vengono di nuovo chiamati a votare sulla questione un anno dopo, il 19 ottobre 2002, e questa volta prevale il Si;

–       Quando il 1° gennaio del 2002 l’Euro divenne la valuta di 12 paesi europei, in molti predissero che gli squilibri causati da una moneta creata su misura dell’economia tedesca avrebbero fatto implodere in tempi brevi il processo di unificazione monetaria continentale. A 14 anni di distanza, nonostante i guasti enormi causati dalla moneta unica europea sul fronte economico e sociale, l’Euro è la moneta ufficiale non solo in 19 paesi del continente, ma anche in vari paesi e territori dei Balcani e dell’Africa dove Bruxelles è riuscita a estendere la propria egemonia;

–       Il 14 settembre del 2003 il 56% degli elettori svedesi boccia l’ingresso del paese scandinavo nell’Eurozona;

–       Il 12 giugno 2008, di nuovo, gli elettori irlandesi bocciano (con il 53.4% di No) il Ventottesimo emendamento della Costituzione irlandese che consentirebbe a Dublino di ratificare il Trattato di Lisbona. L'emendamento è stato poi approvato con un nuovo referendum tenutosi nel 2009 (67,13% di voti favorevoli);

–       Nel 2009 la Costituzione Europea venne abbandonata dopo la vittoria dei No nei referendum realizzati in Francia (29 maggio del 2005) e nei Paesi Bassi (1° giugno 2005). Ci fu chi predisse l’implosione di un progetto che viaggiava solo sul fronte economico ma non su quello politico, ma avvenne esattamente il contrario: l’Unione Europea ha strutturato negli ultimi anni un complesso sistema di governance basato su organismi comunitari dotati di ampi poteri e sui trattati vincolanti, fi fatto una impalcatura costituzionale di fatto;

–       Dal 2008/2009, con la manifestazione anche in Europa della crisi finanziaria e con l’incancrenirsi della cosiddetta ‘crisi del debito’, in molti vaticinarono la deflagrazione dell’Unione Europea sull’onda delle contraddizioni tra i paesi del centro e del nord, definiti ‘virtuosi’ rispetto ai parametri fissati dai trattati e dai “pilastri” decisi negli anni precedenti – rapporto debito/pil, pareggio di bilancio, ecc – e i paesi del sud e della periferia. In realtà la crisi del debito permette ai paesi del nucleo duro dell’Unione e all’Unione Europea in quanto tale di aumentare fortemente il controllo sulle economie dei paesi periferici, imponendo durissime condizioni e draconiani piani di ristrutturazione in cambio di onerosi prestiti diretti a ripianare i bilanci pubblici. Di fatto Grecia, Spagna, Italia, Portogallo, Cipro e Irlanda vengono letteralmente commissariati (l’esempio della sostituzione di Berlusconi con Monti in Italia è eclatante) e stretti in una morsa che permette al progetto di unificazione europeo di rilanciarsi su una nuova base ordoliberista, autoritaria e ferocemente antipopolare. 

–       A cavallo tra il 2015 e il 2016, ondate consistenti di migranti dall’Asia, dall’Africa e dal Medio Oriente causano una serie di contrasti tra i paesi dell’Europa centrale e orientale – che chiedono la chiusura delle frontiere e minacciano la fine della libera circolazione delle persone sulla base di quanto stabilito dal Trattato di Schengen – e le istituzioni dell’Unione Europea, che invece insistono affinché si rafforzi il controllo centralizzato dei confini esterni dell’alleanza continentale. In molti parlano di un serio rischio di rottura dell’Unione Europea, ma in realtà la “crisi dei profughi”, di fatto ancora in corso, viene sfruttata per accelerare la formazione di un’agenzia di sicurezza e di controllo delle frontiere europee, della Guardia di Frontiera e della Guardia Costiera continentali;

–       Il 5 luglio del 2015, nel referendum indetto dal governo di Atene sul Terzo Memorandum, il 61.3% degli elettori boccia l’accettazione delle dure condizioni imposte dall’Unione Europea, dalla Banca Centrale Europea e dal Fondo Monetario Internazionale. Nonostante il chiaro mandato ricevuto però, il governo di Alexis Tsipras firma il Terzo Memorandum. 

–       Il 6 aprile del 2016 nel referendum tenutosi nei Paesi Bassi sull’accordo di associazione tra Unione Europea e Ucraina il 61.5% degli elettori vota No;

–       Il 23 giugno del 2016 il 52% degli elettori britannici boccia la permanenza del Regno Unito all’interno dell’Unione Europea, e vince la Brexit. Le previsioni catastrofiste diffuse alla vigilia dai fautori della permanenza di Londra all’interno dell’Ue vengono immediatamente smentite, e nonostante un consistente calo della sterlina l’economia britannica sta risentendo di alcuni effetti positivi;

–       Il golpe realizzato in Ucraina nel febbraio del 2014 da forze ultranazionaliste e fasciste filoccidentali causa una crisi frontale tra Unione Europea e Russia, di cui si avvantaggiano gli Stati Uniti; grazie alla tensione causata dalla reazione di Mosca – che annette le Crimea subito dopo il golpe – Washington trascina Bruxelles in una escalation che prevede l’elevazione di gravi sanzioni economiche e commerciali contro la Russia; inoltre la Nato, su iniziativa statunitense, militarizza massicciamente l’Europa Orientale e settentrionale minacciando direttamente i confini russi, restituendo a Washington un ruolo predominante anche sul piano militare che cozza con le aspirazioni europee ad una gestione autonoma delle politiche di sicurezza. Anche in questo caso in molti parlano di ‘fine del sogno europeo’. Ma grazie alla Brexit e poi alla vittoria di Donald Trump nelle presidenziali statunitensi, l’Unione Europea decide, nell’autunno del 2016, una consistente accelerazione della costituzione di un Esercito Europeo, di uno Stato Maggiore unificato di stanza a Bruxelles e di un complesso militare-industriale continentale, indipendente nei confronti della Nato, che in realtà ha già compiuto i primi importanti passi nel decennio precedente.

A questo elenco di momenti di crisi formale, per altro parziale, potremmo aggiungere le contraddizioni e le fibrillazioni create dall’accesso al governo in alcuni paesi di forze di destra e conservatrici definite populiste ed ‘euroscettiche’, e dall’ascesa di movimenti di estrema destra che hanno messo apparentemente in discussione i vincoli stabiliti dall’Euro o dai trattati; in realtà nessuna delle esperienze suddette prevede uno scontro frontale con Bruxelles e la rottura con l’Unione Europea, come dimostra la recente rettifica del candidato della destra estrema alle presidenziali austriache, Norbert Hofer. Insomma, contrariamente a quanto si crede, l’Unione Europea è un progetto assai più forte e coeso di quanto si creda e di quanto si racconti in genere. 

 

Rete dei Comunisti

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