Uno schiaffo in faccia al paese reale che ha seppellito sotto una valanga di NO un establishment servo di poteri sovranazionali e geneticamente masson-mafioso. Il Gentiloni One nasce come fotocopia pressoché esatta del fu Renzi Primo, con una sottolineatura addirittura esibita e decisamente sopra le righe della primazia del ducetto di Rignano sulla nuova formazione.
Come per il referendum sul memorandum in Grecia, insomma, il governo si rifiuta di “cambiare verso”, convinto che la volontà popolare non conti più nulla e che, insistendo, ci rassegneremo tutti.
Ma nell'incredibile lista di ministri che ha sfilato ieri sera al Quirinale per rito del giuramento – quelli che volevano scassinare la Costituzione uno dietro l'altro a giurarle “fedeltà”, roba da vomito… – c'è qualcosa di più sottile che va colto subito.
Il dato principale resta quello della dominanza assoluta della Troika, che continua ad privilegiare l'unico attore disponibile ad attuarne le direttive recitando in pubblico tutt'altra “narrazione”. Nonostante la batosta subita il 4 dicembre, insomma, il casting per trovare un sostituto altrettanto sfacciato non deve aver dato esiti convincenti.
E quindi la presa sul governo-bis andava mantenuta salda. Anzi, blindata. Persino una volpe esperta di relazioni interne al potere come Lucia Annunziata non ha saputo trattenere il sarcasmo nel vedere il ruolo attribuito a Maria Elena Boschi e Luca Lotti:
Nasce il Governo Gentiloni/Boschi, con guardia giurata Luca Lotti davanti all'ingresso. E l'ex Premier Renzi nel ruolo dello spirito di Rebecca, la prima moglie. […] Un uomo e una donna che dopo le dimissioni del loro leader non solo non fanno alcun passo indietro, ma acquistano ruoli più incisivi.
Converrà tenere sempre a mente quali sono questi ruoli:
Maria Elena Boschi diventa unico sottosegretario alla Presidenza del Consiglio – come Gianni Letta, per capirci, al netto delle deleghe sulla intelligence, su cui torno tra poco. Luca Lotti viene promosso Ministro dello Sport (titolo fino a un certo punto trascurabile ma che gli darà possibilità di sedere nel Consiglio dei Ministri) mantenendo le due deleghe pesanti che che già aveva come sottosegretario: il Cipe, il dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica del Consiglio dei Ministri, cioè la gestione delle opere pubbliche, e le deleghe alla editoria, cioè la gestione dei fondi di aiuto di un settore cosi' in crisi, e così determinante in politica, come quello dei media.
Tra Boschi e Lotti si somma insomma un potere di condizionamento non da poco dentro la cabina di regia del governo del paese.
Non ci vuole molto a trarne la conclusione: Gentiloni è solo un prestanome, ma considerato comunque un tantino infido (come da tradizione democristiana, del resto); quindi è sembrato necessario tenerlo sotto stretta sorveglianza, in modo da sapere in qualsiasi momento cosa pensa di fare e all'occorrenza fermarlo, condizionarlo, deviarlo. La Boschi sottosegretario unico alla presidenza del Consiglio è di fatto un vice primo ministro; non ci sarà alcuna decisione importante che possa sfuggire al suo controllo.
L'unico salvagente che il povero Gentiloni ha tenuto per sé è proprio la delega ai servizi segreti (che Renzi avrebbe voluto invece affidare alla “guardia del corpo”, Lotti. Un marziano piovuto sulla Terra si chiederebbe certamente da dove provenga tutto questo peso politico esibito da un giovanotto di appena 34 anni che non ha in curriculum null'altro che un rapporto privilegiato col “capo”. Ed è intorno alla catena di controllo su servizi e polizie che si deve essere giocato quel poco di contrasto tra il subentrante e il partente da Palazzo Chigi.
Del resto a Gentiloni si chiede di proseguire l'opera devastatrice, ma per poco tempo; quello sufficiente ad affrontare gli impegni internazionali di primavera (60° anninversario del Trattati di Roma, a marzo, e G7 a Taormina, a maggio). Nonché a prendersi le rampogna della Commissione Europea, che pretende una manovra correttiva lacrime e sangue, viste le pazze spese elettorali infilate da Renzi nella legge di stabilità 2017. C'è inoltre il nodo di una legge elettorale diversa dall'Italicum (di cui viene data per certa la bocciatura da parte della Corte Costituzionale), sia per la Camera che per il Senato, possibilmente “omogenee”. Ma il compito viene affidato ufficialmente al Parlamento, dove si moltiplicheranno gli inciuci per arrivare a una legge che garantisca una maggioranza che escluda di ingovernabili – e dilettanteschi – “grillini”.
L'orizzonte è insomma giugno, nella testa del “caro leader” toscano. Poi alle elezioni, con lui incoronato segretario del Pd e candidato premier attraverso “primarie aperte” in cui i capi-clientela di tutta Italia porteranno valanghe di voti che con il Pd hanno un rapporto tutto “di scambio”.
Cosa può far deragliare questo treno lanciato a bomba? La mobilitazione popolare, in primo luogo. Campagna referendaria, voto e risultato hanno portato alla luce una insofferenza gigantesca e crescente verso questo establishment. E una voglia di contare che può e deve essere messa in rete, mobilitata, concentrata e diretta al raggiungimento di obiettivi non solo “difensivi” come nel caso del NO al referendum), ma soprattutto positivi, che rispondano ai bisogni sempre più evidenti di una popolazione impoverita.
Ma anche dentro il Palazzo non tutto sarà tranquillo. Questa masnada di “nominati” che affolla il Parlamento è mobile come la melma e bisognerà vedere se l'aver momentaneamente respinto l'assalto di Denis Verdini al ministero dell'istruzione (!) non costerà al povero Gentiloni qualche improvviso shock. Una volta stabilita una modalità di governo fondata sui “voti di fiducia”, è difficile tornare al tran tran degli emendamenti accettati e respinti, delle trattative sottobanco. E dunque i voti del piduista-pitreista-piquattrista potrebbero venire a mancare in qualsiasi momento.
Un'arma in più in mano a Renzi, nel caso venisse la tentazione di far arrivare questo governo alla scadenza di legislatura (febbraio 2018).
Si può capire. Un anno fuori dai giochi rischia di far scomparire lo splendore della retorica renziana dalla testa di quel 40% di “sì”. E non basteranno certo le interviste compiacenti, i tweet dalla panchina, la melassa familiare (in puro stile Silvio I°), a mantenere viva per così tanto tempo la presa sul pubblico votante…
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa