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Referendum in Lombardia e Veneto/1. Prepariamoci a votare NO

Il prossimo 22 ottobre, in due strategiche regioni italiane come Lombardia e Veneto si terrà un referendum consultivo sulla “autonomia” dal governo centrale. La materia di questa maggiore autonomia è tutt’altro che chiara, tenendo conto che sarebbero già sufficienti i danni provocati dalla modifica del Titolo V della Costituzione con il federalismo introdotto nel 2001 dall’allora governo di centro-sinistra e peggiorati dal governo di centro-destra nel 2009.

Il riferimento normativo a cui fanno riferimento le forze che sostengono il referendum in Lombardia e Veneto (dalla Lega a gran parte del Pd), è l’articolo 116 della Costituzione, il quale dopo la riforma del 2001 prevede al comma 3: “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la regione interessata”. Ma, come si può leggere, non si fa menzione di alcun referendum. Il problema è che nel 2001 è stata aperta la strada con un referendum confermativo sulla modifica del Titolo V (voluto dal governo Amato per “battere la Lega e la destra” ma che anticipò invece una sonora sconfitta del centro-sinistra.

I referendum in Lombardia e Veneto del prossimo 22 ottobre, fortemente sponsorizzati da Maroni e Zaia ma assecondati dal Pd locale, saranno referendum consultivi per cui non è previsto neppure un quorum. In altre parole una battaglia squisitamente politica in cui le due regioni (oltre all’Emilia-Romagna) in cui si concentra quel 22% di imprese che fanno l’80% del valore aggiunto e delle esportazioni italiane diranno sostanzialmente: “noi siamo agganciati al cuore dell’Unione Europea e il resto del paese si fotta”. In caso di vittoria al referendum le autorità e le classi dominanti di Lombardia e Veneto aprirebbero da una posizione di forza una fase negoziale con il governo centrale.

In un certo senso la trama svelata da questi referendum fotografa una situazione di fatto: la crescente asimmetria del nostro paese. C’è da anni un nucleo geo-economico e sociale costituito da Lombardia, Emilia, Veneto che sia sul piano economico che su quello politico si è sincronizzato con la “locomotiva Germania” lavorando nella sub fornitura alle imprese tedesche e assicurando consenso sociale, ideologico, elettorale al Pd e al blocco politico-trasversale europeista. Lo si è visto con i risultati delle elezioni locali come nei risultati del referendum sulla controriforma costituzionale del 4 dicembre. Una realtà dei fatti che marginalizza Salvini come esponente di questo mondo e che lo ha portato ad abbassare le penne nelle sue ormai rimosse sparate contro l’euro e Bruxelles.

Secondo  un sondaggio realizzato dall’Api (associazione delle piccole imprese), il 74% dei rappresentanti delle piccole e medie imprese intervistati ha risposto si alla domanda se conferire maggiori poteri alla Regione Lombardia possa rappresentare un’opportunità. “Questo referendum farà capire a Roma che in Lombardia e Veneto ci sono piccoli imprenditori manifatturieri che chiedono più rispetto” dicono i padroni e padroncini delle due regioni interessate. Secondo gli intervistati nel sondaggio, al primo posto delle azioni prioritarie che la Regione Lombardia, una volta più autonoma, dovrebbe mettere in atto c’è la diminuzione delle imposte regionali (47%). Al secondo posto l’aumento dei fondi per le imprese (34%) e infine il miglioramento delle infrastrutture (19%). Insomma una regione a totale disposizione delle imprese. Ma se i “padrùn” non vedono oltre i propri interessi di bottega, figuriamoci se la loro visione possa estendersi al resto del paese. Un motivo per schierarsi e battersi per il NO nei referendum regionali in Lombardia e Veneto. (segue)

 

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5 Commenti


  • Dante Goffetti

    Personalmente credo che sarebbe meglio fare boicottaggio attivo invitando i lavoratori (dipendenti, flessibili, precari, ecc.), i disoccupati e gli altri strati popolari a non partecipare al referendum, perché partecipando si legittima comunque l’iniziativa della Lega (che serve solo a loro per avere più potere contrattuale nei confronti dei governi di Roma).
    Saluti rossi


  • Manlio Padovan

    Sono dello stesso parere del precedente lettore.
    Aggiungo che i padroni e padroncini del Veneto, che ben conosco, dovrebbero cominciare a comportarsi da cittadini onesti nei confronti derl fisco per avanzare pretese. Poi: non ho mai letto la parola democrazia nelle occasioni di pubblicità al referendum. Poi: se non erro sono proprio le regioni le istituzioni dove si spreca di più e dove maggiore è la corruzione.


  • Paolo

    Ha ragione Dante.


  • darfil

    Indispensabile costituire il comitato del no per due ragioni:
    1- facciamo conoscere a tutti, chiedendo lo spazio in ogni dove, che esiste un altro pensiero per l’Italia e la Lombardia mettendo in chiaro le contraddizioni della destra
    2- è l’occasione per sbugiardare la lega dei padroncini , spiegare che senza uscire da euro, da nato e dalla UE, continuerà la politica di austerità cara alla Germania che ci rende più poveri ogni giorno. Rendere protagonisti. Lavoratoriche un’altra mondo possibile c’è solo se ci diamo una svegliata.


  • Pietro

    Voto Si, perché il centralismo secondo me non fa parte dei valori della sinistra. Voterò SI per dare un segnale che l’autonomia e il federalismo sono obiettivi che devono tornar a far parte del nostro codice genetico. I governatori regionali saranno più responsabilizzati senza la scusante di “Roma ladrona”.

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