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I “ragionieri” della Ue contrari all’Esercito Europeo, ma il dado è tratto

Dietro l’accelerazione impressa a settembre dalla Francia all’Iniziativa  Europea d’Intervento forse c’è un motivo economico e amministrativo.

Si tratta della decisione del 12 settembre con cui la Corte dei Conti Europea ha bocciato il progetto di un esercito europeo perché “infattibile”. Come noto, nella ridefinizione delle priorità di spesa nel bilancio europeo, l’Ue aveva deciso di investire nella Difesa la bella cifra di 22,5 miliardi di euro tra il 2021 e il 2027. Quelli messi a bilancio nel periodo tra il 2014 e il 2020 erano solo 2,8 miliardi.

I magistrati contabili della Ue però si sono messi di traverso, e non certo per nobili argomentazioni pacifiste o antimilitariste, ma meramente economiche. Secondo i giudici questo progetto di spesa militare contiene diverse controindicazioni: l’impossibilità di controllare l’utilizzo delle risorse stanziate con relativo spreco di denaro, alla moltiplicazione delle strutture con inutili sovrapposizioni con la Nato.

Inoltre ci sono differenze strategiche degli Stati (vedi la Libia) e le differenze tra le capacità difensive dei paesi membri. Infine ma non importanza perché con la Brexit verrà a mancare l’apporto della Gran Bretagna, che da sola sostiene circa un quarto della spesa militare totale dei paesi europei.

Secondo la Corte dei Conti per essere messo nelle condizioni di funzionare, l’Esercito Europeo richiederebbe investimenti per centinaia di miliardi di euro. Nella relazione si legge che: la cooperazione e le capacità militari attuali degli Stati membri non corrispondono al nuovo livello di ambizione della politica di difesa dell’UE. (…) Le recenti iniziative a livello di UE e il proposto incremento dei finanziamenti comportano rischi per la performance”.

Nelle linee guida della nuova “Politica di sicurezza e di difesa comune (Pesco)”, l’UE ha varato nuove iniziative, miranti a potenziare la cooperazione tra gli Stati membri. Per il periodo 2021-2027 la Commissione ha proposto forti incrementi di spesa: solo per progetti di ricerca e sviluppo in materia di difesa, si passerà da 590 milioni a 13 miliardi di euro, un aumento di 22 volte rispetto all’attuale ciclo settennale.

L’Unione Europea mira alla creazione di capacità militari concrete, che abbiano un chiaro potenziale deterrente nei confronti di possibili minacce e che abbia la disponibilità ad agire tempestivamente in caso di necessità.

La nuova forza militare europea, secondo il documento strategico della Pesco dovrebbe infatti sovraintendere ad “azioni congiunte in materia di disarmo, le missioni umanitarie e di soccorso, le missioni di consulenza e assistenza in materia militare, le missioni di prevenzione dei conflitti e di mantenimento della pace e le missioni di unità di combattimento per la gestione delle crisi, comprese le missioni tese al ristabilimento della pace e le operazioni di stabilizzazione al termine dei conflitti”. Dovrebbe inoltre avere la capacità “di dispiegare rapidamente da 50 mila a 60 mila effettivi entro 60 giorni per i compiti più impegnativi, mantenendoli per almeno un anno”.

Ma la Pesco è una politica comune per la Difesa Europea che coinvolge tutti gli stati membri della Ue, mentre l’Iniziativa Europea d’Intervento progettata da Macron – ed a cui l’Italia ha aderito il 21 settembre scorso, subito dopo l’incontro tra Conte e il presidente francese – è di fatto una “Cooperazione Rafforzata”, cioè un meccanismo previsto dai Trattati Europei che consente agli Stati che condividono un progetto di mettersi insieme e realizzarlo. Anche l’Eurozona è stata questo, vi hanno aderito solo i paesi che erano d’accordo.

Tra i motivi per cui dopo l’annuncio nel 2017 Macron ha deciso di accelerare ci sono proprio le lentezze e gli intralci sulla strada della Pesco, di cui gli ostacoli contabili frapposti dalla Corte europea dei Conti sono solo un esempio.

Oggi il nucleo duro dell’Unione Europa ha necessità di dotarsi di uno strumento politico militare con capacità di proiezione internazionale e d’intervento, lo richiede la competizione globale in corso, in cui il fattore militare ha assunto un peso che pareva secondario rispetto a quello economico e finanziario di qualche anno fa. In troppi quadranti strategici e su troppe risorse oggi si vanno accumulando tensioni che non sempre sono negoziabili con il soft power, o meglio diventano negoziabili solo se si dispone della deterrenza militare.

In questo l’Unione Europea non è e non sarà più distinguibile dagli Stati Uniti o da altre potenze. Chi ancora si gingilla sulla “diversità europea”, va incontro a delusioni (o complicità), produce danni per sé, per gli altri e per chi dovrebbe essere cosciente che combattere contro il proprio imperialismo non è una opzione, è una necessità.

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