In Italia su invito della USB e con l’obiettivo di fornire un’informazione di prima mano sulla situazione non solo sindacale, ma anche militare e sociale nel Donbass, Andrej Kočetov, membro del Presidium della Federazione Sindacale della Repubblica popolare di Lugansk, sta tenendo una serie di conferenze in varie città italiane.
In esse, oltre a far luce sulla realtà del Donbass, passata volutamente sotto silenzio dai nostri media, che in tal modo contribuiscono (parallelamente all’appoggio militare e finanziario diretto della Nato e di vari paesi occidentali) a puntellare l’azione criminale dei golpisti di Kiev contro i resistenti del Donbass, Andrej Kočetov sta denunciando anche la persecuzione dei neobanderisti al potere in Ucraina ai danni del movimento sindacale, sia in Ucraina che nel Donbass. Una persecuzione che, all’estero, si estende all’attacco contro le organizzazioni sindacali aderenti alla FSM, come dimostra anche il procedimento avviato, con la complicità del Ministero degli esteri italiano, nei confronti di Pierpaolo Leonardi, membro dell’Esecutivo nazionale confederale USB, accusato, come altri sindacalisti stranieri, di “ingresso illegale” in territorio ucraino, per aver diretto una missione internazionale di solidarietà alla popolazione di Lugansk.
A Roma, dove ha tenuto il primo dei suoi incontri pubblici, Andrej Kočetov ha rilasciato alcune dichiarazioni a Contropiano.
Le azioni dei putschisti ucraini, ha detto Kočetov, si inquadrano in tutta la “politica fascista della leadership di Kiev che, con la complicità della UE e di pressoché tutti i paesi occidentali, sta continuando l’attacco al Donbass, violando apertamente gli accordi di Minsk del febbraio 2015, a cominciare dal rifiuto del dialogo diretto con le Repubbliche popolari e del rinvio delle elezioni locali, tanto che ora LNR e DNR, stanche di attendere, hanno autonomamente indetto le consultazioni primarie per il prossimo autunno. Sul piano militare, “Kiev intensifica ogni giorno i bombardamenti criminali “scientemente mirati” su obiettivi civili: ospedali, infrastrutture, miniere e imprese industriali, centrali elettriche o scuole, come ad esempio quelli sugli asili di Gorlovka, nella DNR”. Sul piano sociale, ha detto Kočetov, “sta metodicamente procedendo alla distruzione delle basi materiali della vita civile del Donbass, di cui il rifiuto di pagare le pensioni ai lavoratori che, per una vita, hanno versato contributi nelle casse ucraine, non è che l’aspetto più odioso. Ma non si deve scordare il taglio completo di export industriale e alimentare dall’Ucraina verso il Donbass e la liquidazione del sistema bancario locale. Mentre i più alti funzionari bancari, al pari di quelli sindacali, già all’inizio dell’aggressione sono fuggiti in Ucraina, si è poi proceduto a rendere inutilizzabile in Donbass la grivna. In tale situazione” ha dichiarato Kočetov, “solo grazie all’aiuto di Mosca, il Donbass ha potuto resistere e oggi è di nuovo in piedi. Le massicce forniture di prodotti alimentari e industriali da parte russa, l’aiuto umanitario prestato ai quasi di due milioni (oltre settecentomila dalla sola LNR) di rifugiati in Russia, cui sono stati assicurati alloggio e alimenti, la possibilità concessa da Mosca di poter utilizzare il rublo quale moneta locale, hanno fatto sì che, ad esempio, le strade di Lugansk e di Donetsk, ancora un anno fa vuote per lo sfollamento di molti civili e il pericolo costante di bombardamenti, oggi tornino a una vita “quasi normale” e i rifugiati comincino a tornare in patria. L’aiuto russo”, ha detto Kočetov, “non è affatto “la presenza militare” di cui parla continuamente l’occidente, mentre tace, ad esempio sui furgoni carichi di dollari che, mesi prima di euromajdan, facevano la spola tra l’ambasciata USA a Kiev e le maggiori città ucraine, per foraggiare le organizzazioni fasciste locali. Certo, non è un mistero che tra le milizie ci siano moltissimi volontari provenienti dalla Russia, così come da tanti altri paesi; ma non si tratta affatto di esercito russo: basti a dimostrarlo la differenza di effetti sul campo tra le operazioni delle forze armate armate regolari russe in Siria e quelle dei volontari individuali in Donbass”.
A proposito dell’aggressione scatenata da Kiev, Kočetov ha tenuto a ribadire che le Repubbliche popolari “non erano pronte alla guerra: non c’era alcun desiderio o possibilità di prepararvisi. Con il golpe militare, andarono però al potere persone che avevano l’obiettivo di capovolgere la struttura statale ucraina e volevano la completa separazione da Mosca e questo era inaccettabile per gli abitanti del sudest del paese, da sempre fortemente integrati, anche sul piano familiare, con la Russia. E’ noto” continua Kočetov, “che l’industrializzazione negli anni ’20 riguardò in larga misura anche il Donbass, con la costruzione di numerose imprese, cui presero parte moltissimi giovani del Komsomol, giunti da regioni anche lontane dell’Urss. All’est, siamo sempre andati orgogliosi del fatto che l’Ucraina avesse una composizione multinazionale, che non avesse mai conosciuto guerre intestine, che ci fossero stretti legami coi connazionali dell’ovest del paese. Quindi, quanto stava per accadere e sta accadendo, con le stragi di civili, con i crimini dei battaglioni neonazisti, per noi era assolutamente inaspettato; tanto che, al principio, solo grazie all’aiuto russo si riuscì a superare le difficoltà iniziali e riprendere la produzione dove interrotta e razionalizzare la distribuzione nei settori in cui, a dispetto delle bombe ucraine, si era riusciti a non interromperla”.
Sul piano più propriamente sindacale, Andrej Kočetov, a capo della Commissione per la Difesa sociale dei lavoratori e Presidente del Sindacato delle imprese piccole e innovative, sottolinea come la maggior parte delle imprese del settore da lui curato, prima dell’aggressione di Kiev avessero “più rapporti economici con l’ovest del paese che non con la Russia; anche le aziende che lavoravano con imprese russe, lo facevano attraverso Kiev, per cui, dopo il 2014, si è dovuto ricominciare praticamente da zero. E anche dal punto di vista sindacale, con il grosso dei vertici fuggito in Ucraina, dobbiamo dire che è solo grazie all’energia di alcuni nostri giovani dirigenti, che oggi il sindacato torna a crescere e svilupparsi. Ne sono testimonianze la partecipazione alle manifestazioni del 1 Maggio 2015 e del 2016, cui gli iscritti ai sindacati sono intervenuti con intere famiglie. Se anche in epoca sovietica, i lavoratori erano fortemente sollecitati a partecipare ai cortei del 1 Maggio, oggi lo fanno di propria volontà e con entusiasmo”.
E questo è legato alla situazione creatasi con la guerra? Abbiamo chiesto a Kočetov; è legato al fatto che, essendo moltissimi proprietari delle imprese fuggiti in Ucraina o in altri paesi, i collettivi si sentono direttamente responsabili della produzione? “Certamente. E anche al fatto che oggi i lavoratori avvertono la forte necessità di organizzarsi, per raggiungere risultati effettivi. Ne è un esempio anche l’attività della Commissione per la difesa sociale: nel giro di un mese, all’inizio della guerra, siamo rimasti privi di tutto e abbiamo dovuto creare da zero la stessa base normativa dei rapporti tra i collettivi di lavoro e i vari Ministeri; oggi i nostri sindacati intervengono praticamente nell’attività legislativa della Repubblica, per quanto riguarda la difesa dei diritti dei lavoratori”.
E dunque, parallelamente alla resistenza contro l’aggressione, c’è nel Donbass anche una lotta di classe contro gli oligarchi fuggiti…
“Firtash, nonostante avesse molte aziende chimiche in Donbass, è dell’Ucraina occidentale; quindi la gente non lo ha mai sentito come “uno di noi”; invece Akhmetov è di Donetsk e tra l’altro oggi sta tentando di aiutare a suo modo la popolazione… ma in sostanza, noi non avevamo l’obiettivo di sconfiggere gli oligarchi; se Akhmetov fosse rimasto in Donbass, non si sarebbe per niente posta la questione di cacciarlo dalle proprie aziende. Ma lui se ne è andato e questo è stato sentito come quando si abbandona un compagno sul campo di battaglia… Noi non avevamo l’obiettivo dell’Ottobre ’17, di nazionalizzare le imprese…”.
Vale a dire, il rapporto “conflittuale” con gli oligarchi è basato, più che sul piano dei rapporti di classe, su quello dei rapporti “umani”…
“Esatto: essi sono stati visti come traditori: c’è una guerra in corso e loro scappano. Un esempio: il capo di un’impresa del mio settore, abbastanza fuori dalla zona di guerra e quindi con attivi rapporti di scambio con l’Ucraina, si è intascato l’intera somma a disposizione del collettivo di lavoro e se ne è andato in Spagna, dove ha delle proprietà… In generale, c’è stato uno sviluppo sociale inaspettato, un capovolgimento delle mentalità dovuto alla guerra, un coinvolgimento sociale cui non si assisteva da decenni: durante i bombardamenti, gli abitanti dei condomini non si rintanano in casa, ma scendono ad aprire i portoni, in modo che qualsiasi persona si trovi in strada, possa trovarvi rifugio”.
Un mutamento di mentalità anche per altri versi: si sa, da un lato, delle accuse di “aver tradito il Donbass” rivolte a Putin da molti nazionalisti russi e, dall’altro lato, è noto come moltissimi abitanti delle regioni occidentali ucraine siano convinti di quanto propagandato da Kiev sull’aggressione russa, sul fatto che nel Donbass siano tutti traditori dell’Ucraina…
“Purtroppo è vero: è da non credere quanto i media e la propaganda ufficiale possano influire sulle mentalità. Io sono però convinto che se oggi a Mosca ci fosse stato Boris Eltsin, i neonazisti ci avrebbero già fatti fuori tutti quanti da un pezzo; quindi, quanto fa oggi Vladimir Putin, quanto ha fatto lui personalmente a Minsk, non può che suscitare entusiasmo e riconoscimento. D’altro canto, un momento molto doloroso per me, è quello di come amici intimi, addirittura parenti ucraini, con la testa così ottenebrata dalla propaganda dei golpisti, incolpino di “tradimento” i propri congiunti del Donbass. Accade spessissimo che conoscenti stretti telefonino ai propri amici del Donbass o per minacciarli che presto l’esercito di Kiev arriverà e liquiderà “tutti voi traditori e terroristi”, oppure per rassicurarli che i bravi soldati ucraini verranno a liberare il Donbass dall’occupazione russa. E simili discorsi non escono dalla bocca di “semplici massaie”, di persone sprovvedute, ma sono entrati nella testa di tutti, dal professore universitario, al medico, a tutta la cosiddetta gente di strada. A tal punto agiscono i media! Certo, ci sono anche esempi contrari: una mia collega sindacalista di L’vov mi ha telefonato per raccomandare di combattere fino alla fine perché, mi ha detto, conoscendo i metodi dei nazisti di quelle parti, in caso di resa, essi vi faranno fuori fino all’ultimo”.
Ma, anche senza i crimini dei neonazisti, Kiev non si risparmia nel condurre la guerra e nell’intensificare i bombardamenti. Su questo piano, la USB ha annunciato la preparazione di un documento da allegare alla petizione contro le violazioni ucraine degli accordi di Minsk, che gli abitanti del Donbass hanno indirizzato al Consiglio di sicurezza Onu e che ha raccolto oltre 300mila firme nella DNR e circa 157mila nella LNR.
Fabrizio Poggi
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