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Il passato nero che pesa sull’Irlanda cattolica

Venerdì scorso la cittadina irlandese di Tuam (Galway) è finita sui giornali di tutto il mondo dopo che una commissione governativa ha confermato la presenza di un numero rilevante di resti umani nei pressi della Casa per donne e per bambini gestita dall’ordine suore del Bon Secours fra il 1925 al 1961.

La casa non era, come hanno scritto molti quotidiani internazionali ed italiani, un orfanotrofio o una casa famiglia: era una struttura dove venivano mandate le donne incinte senza marito, e dunque in una condizione disonorevole. Come racconta in un articolo uscito sulla rivista americana Jacobin Sarah-Anne Buckaln, ricercatrice in storia presso l’università di Galway, il “servizio” offerto dalla Casa era a pagamento, e le donne più povere erano costrette a lavorare fino a due anni per ripagare il debito. Dopo il parto i bambini venivano dati in adozione, a volte senza il consenso delle madri, oppure rimanevano nella casa. Quello che la commissione ha confermato è che ad un numero imprecisato fra i bambini deceduti non è stata data una sepoltura degna, ma sono stati lasciati in una tomba comune senza nome nei pressi della struttura.

Il caso era balzato agli onori della cronaca nel 2014, grazie all’infaticabile lavoro di ricerca effettuato da una cittadina di Tuam, Catherine Corless, ex impiegata e storica dilettante. Dopo che a metà degli anni ’70 alcuni ragazzini che giocavano nel luogo dove originariamente sorgeva la Casa (poi abbattuta) aveva sostenuto di aver ritrovato alcune ossa umane, la Corless aveva iniziato una difficile raccolta di informazioni.

Dopo aver inutilmente contattato le suore della Bon Secours e gli enti locali, la donna era riuscita ottenere, pagandoli di tasca sua, i certificati di morte di 796 bambini deceduti nel periodo in cui la Casa era aperta. Confrontandoli con i registri dei cimiteri locali, la Corless si era accorta che quasi nessuno dei deceduti risultava esservi seppellito. Il caso sarebbe rimasto esclusivamente locale se il parente di uno dei bambini deceduti, venuto a conoscenza delle ricerche, non si fosse messo in contatto con un giornalista. In breve la vicenda assunse rilevanza internazionale e, sotto il peso della pressione mediatica, il governo irlandese fu costretto a istituire una commissione d’inchiesta, che la settimana scorsa ha confermato quanto si sospettava da tempo.

E’ una notizia importante, checché ne scrivano alcune testate online o perfino siti che si proclamano orgogliosamente anti-bufale (qui e qui un paio di esempi). Se infatti nel 2014 le scoperte della Corless erano state messe in discussione, anche dalla responsabile della compagnia di comunicazione che curava le pubbliche relazioni delle suore della Bon Secours, oggi l’evidenza è tale che perfino il Vescovo di Tuam ha dichiarato che “le rilevazioni di Tuam ci fanno provare vergogna”.

Rimane ancora da indagare se il numero di morti fosse superiore alla media del periodo, così come è da chiarire la vicenda della ex fossa biologica dell’edificio in cui sarebbe stata sepolta almeno una parte dei corpi, fatto che aveva ovviamente destato molto scandalo nel 2014. I rilievi della commissione hanno confermato che vi si trovavano effettivamente dei resti, ma è ancora da chiarire se la fossa sia mai stata in operazione in precedenza, quando l’edificio svolgeva la funzione di workhouse, e se le suore ne fossero a conoscenza.

Va ricordato che la Casa di Tuam era solo una delle 14 strutture simili in Irlanda, e la pressione sta montando per indagare se queste tumulazioni ben poco cristiane siano avvenute anche in altri luoghi. Siamo quindi solo agli inizi di una vicenda che potrebbe assestare un altro colpo all’egemonia della Chiesa Cattolica in Irlanda, già segnata dai numerosi scandali di pedofilia emersi negli ultimi anni, e dalla vicenda delle “lavanderie delle Maddelene”, strutture semicarcerarie in cui erano rinchiuse a lavorare gratuitamente donne considerate per vari motivi “deviate”.

Ma l’influenza della chiesa resta forte e a dimostrazione di questo l’Irlanda è fra i pochissimi paesi a non avere ancora diritto all’aborto (che è permesso solo nei casi in cui la madre è in pericolo di vita), il che ogni anno costringe migliaia di donne irlandesi a recarsi a proprie spese in Inghilterra e Galles (dove l’aborto è legale), o ad ordinare la pillola abortiva su internet. Domani il gruppo parlamentare di opposizione People Before Profit – Anti Austerity Alliance presenterà un emendamento per ridurre la pena per praticato aborto (oggi punibile fino a 14 anni di carcere) alla simbolica sanzione pecuniaria euro, nell’attesa di una riforma al sistema che però il debole governo guidato da Enda Kenny continua a ritardare. Per questo anche in Irlanda l’8 marzo sarà un giorno di sciopero e di manifestazioni in tutto il paese.

 

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