“Tramite le sue agenzie, il Pentagono paga ogni anno milioni di dollari per oliare i giusti meccanismi a livello internazionale”.
Questo articolo compare in contemporanea su Contropiano e L’Antidiplomatico.
Circola su una Tv italiana l’intervista a una esponente clandestina di un gruppo armato dell’opposizione venezuelana, i Soldati di flanella (Soldados de Franela). Una delle formazioni che alimentano la cosiddetta Resistencia, che riceve finanziamenti dagli Usa e dall’Europa. Intervistata e intervistatore sparano cifre senza fonti e riscontri: buone, però, a confondere la mente del lettore com’è nello stile della propaganda di guerra. In Venezuela sarebbe in corso “un olocausto”, un “genocidio” perpetrato da una dittatura “castro-madurista” contro il suo popolo.
Una propaganda che, per settimane, è stata assorbita dal cittadino acritico, capace di inveire a destra e a manca senza chiedersi chi gli stia lanciando l’osso o la polpetta avvelenata. Il consumatore passivo della verità dei post non si chiede perché vi sia stata una singolare sincronizzazione di tutti i media a livello internazionale nel sostenere la stessa tesi contro la Repubblica bolivariana del Venezuela. Non s’interroga sulla proprietà di quei media che “fanno notizia”, sugli interessi in campo, sulle fonti e gli obiettivi
Dall’uomo della strada al sussiegoso intellettuale, è passata la stessa versione: in Venezuela c’è una dittatura, uno Stato fallito a causa di una politica insensata – comunista o socialista, che sia – condotta da Maduro. Il popolo soffre la fame, e per giunta il governo ammazza e mette in galera chi protesta. Benché Chavez e Fidel Castro siano morti, il paese è in preda al castro-chavismo imposto dal dittatore Maduro, che odia il popolo.
Si è, insomma, arrivati a creare un’opinione pubblica generalizzata a livello internazionale che rende improrogabile l’intervento della cosiddetta comunità internazionale: ovviamente un intervento “umanitario” per liberare il popolo dalla sofferenza e instaurare la “democrazia”. Come in Iraq, in Afghanistan, in Siria, in Libia, nello Yemen…
Nel Manuale 3-24 del Pentagono, pubblicato in edizione tascabile dall’Università di Chicago nel 2007, la strategia è chiaramente spiegata: gli Usa si arrogano il diritto di intervenire “in qualunque angolo del mondo” in cui siano a rischio i suoi “interessi vitali”. In che modo? Imponendo governi malleabili e presidenti fantoccio, mantenendo eserciti di occupazione e forze armate leali agli Stati uniti, creando e sostenendo apposite istituzioni nazionali.
Una delle strategie principali è quella della lotta ideologica nel campo dell’informazione, definita “battaglia della narrazione”. Ossia: la versione di un fatto è molto più importante del fatto stesso. Maduro è stato eletto democraticamente, in Venezuela si sono svolte già 22 elezioni? Non importa, quel che conta è diffondere un’impressione negativa che cambi di segno ai fatti reali.
Per mesi e mesi abbiamo sentito nei servizi televisivi la voce costernata di un cronista trasmettere da Caracas come da un fronte di guerra. Lo ascoltavamo costruire come eroi giovani mercenari che lanciavano bombe contro un asilo nido o contro una guarnizione militare e magari rimanevano vittime dei propri ordigni: sempre, però, dipinti come “pacifici manifestanti” disarmati.
C’è stata e c’è una battaglia dei simboli, che ha frullato di tutto dentro un immenso calderone imbonitore. La “resistencia” ha indossato le maschere più diverse: dai cappucci del Ku-Klux Klan alle croci celtiche, agli scudi dei Templari, alle kefie palestinesi e kurde, ai riferimenti pacifisti e antimilitaristi, alle maschere di halloween, ai simboli delle “rivoluzioni colorate” come le “manine bianche”. Il movimento serbo di estrema destra, Otpor, nato in Jugoslavia nel 2000 significa, appunto, “resistenza”.
Un corto circuito diventato difficile da gestire quando gli obiettivi presi di mira erano assai evidenti come nel caso dei chavisti bruciati vivi. Ma si è risolto mettendo tutto sul conto della “repressione” e silenziando il resto.
Tramite le sue agenzie, il Pentagono paga ogni anno milioni di dollari per oliare i giusti meccanismi a livello internazionale (www.venezuelafoia.info). Il principale organismo per canalizzare il finanziamento ai partiti politici dell’opposizione in Venezuela è l’Instituto Repubblicano Internacional (Iri).
Uno dei megafoni della propaganda Usa in Occidente – ha denunciato il mese scorso il Parlamento russo – è l’emittente Radia Svaboda. Su Youtube ne trovate un assaggio tutto rivolto all’Italia.https://www.youtube.com/watch?v=tYgyzuWvEdk&feature=em-lss
In una trasmissione del 10 agosto 2017, un gruppo di personaggi appartenenti al Grupo AiresVen (Apoyo Internacional a la Resistencia venezolana; @AiresVen) commenta l’assalto alla base di Paramacay 2° compiuto da un gruppo di mercenari all’acme delle violenze contro il governo Maduro. Si sostiene che vi sarebbe stato anche un secondo attacco a Forte Tiuna, la principale base militare dove “risiede Maduro”. Da lì sarebbero state sottratti molti veicoli, a riprova che vi sarebbero, all’interno della Forze armate bolivariane, “ufficiali intermedi” pronti a sovvertire le istituzioni.
Un tasto sul quale anche i media internazionali hanno battuto molto in quel periodo. Tra un salmo pentecostale e una sequela di nomi distorti com’è d’uso tra il fascismo venezuelano (la “fecal” invece della Fiscal, la “prostituente” invece della Costituente, e via storpiando i nomi dei dirigenti bolivariani), i personaggi intervistati dall’emittente presentano il piano dell’opposizione golpista che si riunisce intorno alla cosiddetta Resistencia: spazzar via con ogni mezzo il socialismo bolivariano che intralcia gli interessi strategici degli Usa.
Ma, alla fine, proprio le dichiarazioni dei personaggi più fanatizzati mostrano che il governo bolivariano non ha mentito e che è anzi stato molto abile nel disinnescare le mire della Cia e dei suoi adepti. Fino a questo momento. Era vero che l’estrema destra pensava di giungere a un’Assemblea Nazionale Costituente: ma, evidentemente, una Anc di segno opposto a quella governata dal popolo che si è messa in campo a partire dal mese d’agosto.
Nella trasmissione, i personaggi forniscono anche apprezzamenti sul perché, in Italia, vi siano ancora “comunisti arretrati” che appoggiano il Venezuela bolivariano… A sintetizzare le trame delle destre e la loro pericolosità, pensa un tal dottor Ulf Erlingsson, che spiega come attivare la Operación Libertad Venezuela: “Sono 7 anni che ci prepariamo come resistenza clandestina, adesso è arrivato il momento per cui fu creata la Olv. Questo video presenta la meta, la strategia, parte degli obiettivi realizzati, il futuro e i rischi”, dice l’11 luglio sul sito fuerzadepazvenezuela.com
Seguono le “5 Riforme” del foroliberaldeamericalatina.org di cui avrebbe bisogno il Venezuela oggi. La ricetta dei “Chicago boys”, insomma. Per realizzarla, le destre puntano su Trump, sul Segretario Generale dell’Osa, Luis Almagro e sulla “comunità internazionale”: che dovrebbero imporre un “governo di transizione”.
Per chi non accetta gli ordini, saranno guai – annuncia un progetto di legge presentato al Congresso Usa da due deputati repubblicani. Washington potrà togliere l’appoggio finanziario a “paesi stranieri che si oppongano alla posizione degli stati uniti all’Onu” (come sempre più spesso avviene). La proposta di legge spiega che ci possono essere eccezioni alla norma. Il presidente potrà derogare alle sanzioni quando in ballo vi siano gli interessi nazionali di Washington o quando negli Stati ribelli vi sia stato un cambiamento di governo più gradito agli Usa.
Lo scenario a cui puntano le destre e i loro padrini occidentali per il Venezuela. Dalle sedi internazionali, si moltiplicano gli attacchi al governo bolivariano, che però consegue anche vittorie (come l’inclusione nel Consiglio direttivo dell’Unesco); oppure riesce a respingere gli attacchi, come quello sferrato all’interno dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) da Fedecamara, equivalente della Confindustria venezuelana.
Ma lunedì ci sono altri due round. L’ambasciatrice statunitense all’Onu, Nikki Haley dirigerà la riunione informale del Consiglio di Sicurezza sui “diritti umani in Venezuela”, sollecitata dal solito Almagro. E anche l’Unione europea sceglierà se accodarsi alle nuove sanzioni decise da Trump contro altri funzionari del governo Maduro, e su un blocco economico simile a quello imposto ai cubani.
Ma il 15 novembre inizia una nuova tornata di dialoghi tra governo venezuelano e opposizione, che si terrà nella Repubblica dominicana. Le destre ci vanno, nonostante le solite dichiarazioni dissonanti rilasciate a uso propagandistico e tese a recuperare l’appoggio dei gruppi clandestini di Resistencia.
*Post Facebook del 12 novemebre 2017. Pubblichiamo su gentile concessione dell’Autrice
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