In questi giorni (le versioni oscillano tra il 16 e il 18 novembre del 1920), novantasette anni fa, la RSFSR era il primo paese al mondo a legalizzare l’aborto, quale intervento medico gratuito, a discrezione della donna.
Il 15 novembre 2017 i rappresentanti del movimento “Per la vita” hanno dichiarato di voler presentare a Vladimir Putin il milione di firme, tra cui quella del patriarca Kirill, raccolte per vietare l’aborto in Russia.
“La novità fondamentale della nostra posizione” sostengono i Casini de lorartri, “è l’accento sul fatto che il bambino è già tale prima della nascita, che la vita inizia dal momento del concepimento e ciò significa che debba essere protetta da ogni tipo di interruzione, ogni tipo di aborti chirurgici, contraccettivi, tecnologie di riproduzione assistita, con l’uccisione di bambini nelle fasi iniziali dello sviluppo embrionale”. Alla Duma, l’iniziativa è stata appoggiata dal deputato del partito presidenziale Russia Unita, l’ex pugile Nikolaj Valuev, vice presidente della Commissione ecologia, che ha senz’altro scorto un intrinseco legame tra difesa della natura e dell’embrione.
Dal 1920 si sono avute varie fasi nella legislazione sull’interruzione volontaria della gravidanza. Nel 1925, si registravano circa 6 interruzioni ogni 1.000 abitanti nelle maggiori città sovietiche. Nel 1926 fu proibito l’aborto alle donne alla prima gravidanza o che avessero già abortito da meno di sei mesi. La completa proibizione nel 1936, manco a dirlo, è dai più ovviamente additata quasi ad anteprima del terrore di Stalin, “agli albori delle grandi purghe” del 1937-’38. Di fatto, come nota RIA Novosti, la situazione era arrivata a un punto tale che il crescente numero di interruzioni di gravidanza si accompagnava a un fortissimo calo delle nascite, già iniziato dopo 5-6 anni dalla legalizzazione dell’aborto. Inoltre, la risoluzione sul divieto d’aborto prevedeva un “aumento dell’assistenza materiale alle partorienti”, il rafforzamento di “assistenza statale alle famiglie numerose, l’ampliamento della rete di centri di maternità, asili nido e scuole materne, inasprimento delle sanzioni penali per il mancato pagamento degli alimenti e alcune modifiche alle leggi sul divorzio”. L’aborto veniva consentito solo per ragioni mediche.
La legge sul divieto di interruzione della gravidanza rimase in vigore fino al 1955, una volta superata la fortissima crisi demografica conseguente alla Seconda guerra mondiale. Le controriforme di mercato degli anni ’90 sono state disastrose anche dal punto di vista demografico: si parla di 12 milioni di nati in meno e 7 milioni di morti in più rispetto alla media ufficiale del decennio precedente. Nonostante questo, in base alla legge “Sulla protezione della salute dei cittadini” del luglio 1993, ogni donna ha il diritto di decidere autonomamente della maternità: l’interruzione di gravidanza è effettuata su richiesta della donna non oltre la dodicesima settimana o, per motivi sociali, fino alla 22° settimana; per ragioni sanitarie e con il consenso della donna, indipendentemente dal periodo di gravidanza.
Riuscirà la crescente influenza della chiesa, nel centenario della Rivoluzione d’Ottobre, a ricucire anche questa “ferita sociale” inferta dai bolscevichi all’ortodossia russa?
Intanto, l’ennesimo tentativo di rimarginare lo strappo lo ha compiuto ieri Vladimir Putin, che a Jalta, nell’area del palazzo Livadija (sede della famosa conferenza tripartita del 1945), ha inaugurato un monumento allo zar Alessandro III, quello che fece impiccare, tra gli altri, anche il fratello di Lenin, Aleksandr; quello delle controriforme accentratrici e assolutistiche e del sostegno alle scuole ecclesiastiche. Scoprendo il bronzo di quattro metri, Putin ha detto “Inauguriamo il monumento a un insigne uomo di stato, a un patriota” che ebbe sempre “un grande senso di responsabilità personale” per il destino della Russia. Senza commenti.
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