Se Trump pensava di aprire un fronte di lotta dove “vincere facile” – iniziando la “guerra dei dazi” contro il resto del mondo, a partire dalla Cina – bisogna dire che non è riuscito a impressionare molto il suo avversario principale.
Questa nota – apparsa stamattina sul sito italiano di Cina Radio International – chiarisce le ragioni economiche di questa tranquillità. Contrariamente a quello che spara la propaganda trumpiana o leghista (per restare dalle nostre parti) “il 91% della crescita economica cinese deriva dalla domanda interna, e il 60% della domanda interna è guidato dal consumo”.
Le famose “esportazioni in dumping”, insomma, pesano appena per il 9% (ed è tutto da dimostrare che i bassi prezzi siano un effetto di politiche di dumping).
La straordinaria capacità di consumo cinese ha a sua volta una spiegazione: negli anni (ormai più di 30) di crescita economica parossistica (sempre al di sopra del 10% annuo), nel Celeste Impero i salari sono cresciuti anche al di sopra di questa media. Non tutti gli anni, ma spesso, hanno superato il 15% annuo.
Questo significa che i profitti – immensi – non sono avvenuti soltanto a scapito del lavoro dipendente (certamente tra i più “strizzati” e meno tutelati del pianeta, per quanto riguarda ritmi di lavoro e diritti del lavoro), ma grazie a una capacità competitiva sistemica che non ha per ora uguali.
Questa “ricchezza meno diseguale”, pur tra eccessi che balzano immediatamente agli occhi, garantisce ora che l’immensa capacità produttiva cinese abbia a disposizione un mercato interno solvibile molto esteso, in percentuale al miliardo e 400 milioni di abitanti.
Diamo delle cifre. A Shangai le retribuzioni medie mensili ammontano a 1.135 dollari; a Pechino sono a 983 dollari, e a Shenzen poco di meno: 938 dollari. In Croazia, recente paese membro dell’Unione europea, lo stipendio medio netto è di 887 dollari al mese. I cinesi di Shangai, Pechino e Shenzen sono pagati meglio anche di quelli che lavorano in Romania, Bulgaria, Slovacchia, Albania e Montenegro, paesi nei quali molte imprese europee, italiane comprese, avevano delocalizzato gli impianti, prima di emigrare in Cina.
Ci sembra chiaro che il “modello di sviluppo”, certamente capitalistico, è molto diverso da quello neoliberista che ha dominato l’Occidente negli ultimi 30 anni (salari in costante discesa, precarietà, disuguaglianze crescenti a parità di Pil, riduzione dell’intervento economico degli Stati, ecc). E mentre quest’ultimo si trova ora a fare i conti con il fallimento, quello cinese, pur nella tempesta della crisi globale, aggravata ora dalla “guerra dei dazi”, procede con sufficiente costanza (una crescita del 6-7% annuo è lontana dai vecchi record, ma qualunque paese – da questa parte del mondo – griderebbe al miracolo se riuscisse a realizzarla anche solo per un anno).
E in ogni caso i cinesi stanno già da tempo “differenziando” i propri investimenti all’estero…
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Nel combattere la guerra commerciale contro gi Stati Uniti, la Cina ha la capacità di pagare un certo prezzo
2018-07-10
In una guerra commerciale non vi sono vincitori, è quindi inevitabile che nel combattere la guerra commerciale delle più grandi dimensioni della storia dell’umanità, sia Stati Uniti che Cina dovranno pagare un prezzo e sopportare le perdite. La Cina ha da tempo completato delle previsioni e steso un piano di risposta.
La sera del 9 luglio, il portavoce del ministero del Commercio cinese ha annunciato 4 misure per l’attenuazione delle influenze apportate dagli attriti commerciali tra Cina e Usa: continuare a valutare l’influenza esercitata sulle imprese dei vari settori; usare le entrate fiscali delle contromisure per attenuare l’influenza esercitata sulle imprese e gli addetti; incoraggiare le imprese a riaggiustare la struttura delle importazioni; rafforzare la tutela degli interessi legittimi delle imprese e creare un buon ambiente d’investimento.
Ovviamente, allo scopo di ridurre le perdite negli attriti commerciali, il governo cinese ha dimostrato una forte capacità di controllo nei confronti dei rischi, forza di volontà e resistenza nell’affrontare gli attriti commerciali e il concetto di governance “incentrato sulla gente”.
Gli Stati Uniti hanno pianificato da molto tempo la guerra commerciale contro la Cina. Con quest’azione gli Usa mirano non solo a raggiungere il cosiddetto “equilibrio commerciale”, ma fondamentalmente a colpire la capacità innovativa e il settore cinese dell’hi-tech, frenando radicalmente lo sviluppo del Paese. Gli Stati Uniti sono intenzionati a costringere l’economia cinese ad una “riforma strutturale” per influenzarne la via di sviluppo.
Difendersi in questa guerra commerciale lanciata dagli Stati Uniti è assai importante per la Cina poiché è direttamente collegato agli interessi fondamentali e futuri della nazione, insieme a quelli del popolo cinese. Per questo motivo, la Cina dovrà pagare un prezzo “controllabile” e accettare perdite marginali.
Una cosa è certa, che il governo della Cina, che amministra il Paese al servizio del popolo, s’impegnerà per controllare al massimo gli effetti sfavorevoli provocati da questa vicenda.
Nella lotta contro la guerra commerciale degli Usa, la Cina è davvero in grado di pagare un certo prezzo?
Si vede che la Cina è l’unico paese al mondo con tutte le categorie industriali, e un enorme mercato di consumo con una popolazione di circa 1,4 miliardi di persone, il che significa che l’economia cinese, anche nei momenti più difficili, può attuare una circolazione interna. Al contempo, il 91% della crescita economica cinese deriva dalla domanda interna, e il 60% della domanda interna è guidato dal consumo. La domanda di consumo è in costante aggiornamento e il mercato è pieno di vitalità.
Ancora più importante, il numero delle aziende innovative in Cina è al secondo posto al mondo, e lo sviluppo guidato dall’innovazione ha reso l’economia cinese più resistente. Inoltre, la Cina ha sempre ampliato costantemente la propria apertura in base a una strategia consolidata, il che ha rafforzato notevolmente la fiducia del mondo esterno.
La lotta contro la guerra commerciale degli Usa è per la Cina una “lotta di destino nazionale”. Nel far fronte a questa “lotta di destino nazionale”, i cinesi sono disposti a sopportare perdite temporanee nella vita personale, condividere un momento difficile con un governo responsabile, unirsi in uno sforzo concertato, e mantenere la situazione generale a lungo termine di sviluppo economico sostenuto e ringiovanimento nazionale. è proprio in ciò che consiste la più forte stamina della lotta cinese contro la guerra commerciale degli Usa.
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