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È finita un’era. I Daft Punk si separano

I Daft Punk, dopo 28 anni, si separano. Alle 20:36 l’ANSA batte la notizia. È la fine di un’era, dice. Dopo trentanni, il duo del French Touch o Franch House, si scioglie.

L’annuncio è stato dato con un video postato lunedì su youtube (Epilogue), dove si vedono i due componenti del gruppo (Thomas Bangalter e Guy-Manuel de Homem-Christo), con i volti coperti dai soliti caschi spaziali, esplodere.

La notizia della separazione è stata confermata a Variety dalla loro storica addetta stampa Kathryn Frazier, la quale non ha fornito ulteriori particolari.

Il gruppo esordisce nel 1997 con l’album Homework, che contiene Da Funk e Around the World. Nel 2001 esce l’album Discovery, che contiene One More Time. Nel 2005 è la volta di Human After All, mentre nel 2013 esce il quarto album, Random Access Memories, che contiene Get Lucky, il loro brano più popolare, che riesce a vendere 7 milioni di copie.

Get Lucky vince il Grammy Award come miglior album l’anno successivo, lanciando in Duft Punk sulla scena pop americana, come gruppo di riferimento della EDM (Electronic Dance Music).

Secondo Simon Reynolds (The Guardian, 2 agosto 2012) l’affaire EDM costituisce un’operazione di rebranding, ovvero il tentativo di industrializzare il fenomeno della Rave culture e della Club culture.

Per chiunque negli anni Novanta abbia vissuto l’esperienza dei grandi raduni di giovani in capannoni abbandonati, nei boschi, in spazi pubblici o privati, preferibilmente dismessi, occupati per l’occasione e poi riabbandonati, usati come TAZ (Temporary Autonomous Zone), con DJ trattati come rock star, con giovani tenuti in piedi dalle nuove droghe sintetiche, l’operazione della EDM non ha il sapore del deja vu, quanto quello del rebranding.

Quelli che una volta erano chiamati Rave, dice Reynolds, adesso sono chiamati Festival, e l’EDM è ciò che conoscevamo con il nome di Techno. Persino le droghe, dice Reynolds, sono state rinominate. Molly, la nuova grande mania chimica, è solo estasi in polvere (e presumibilmente più pura e più forte).

La principale differenza tra allora e oggi, dice, è la vastità del fenomeno. All’inizio di questa estate (2012) l’Electric Daisy Carnival (EDC), il più famoso evento della nuova ondata di qualsiasi-cosa-ma-non-chiamateli-rave, ha attirato 320.000 persone al Las Vegas Motor Speedway, in tre giorni.

La massa di consumatori, dice Reynolds, è attirata all’EDC e ad altre feste simili come Ultra, Electric Zoo e Identity, non solo dai di DJ superstar, ma anche dai fumi e raggi laser.

In America la Rave culture rimane confinata in spazi limitati, dove il business non riesce ad attecchire, sino a quando, dice Reynolds, MTV non getta tutto il suo peso sui Prodigy, sui Chemical Brothers e agli Underworld. Negli anni immediatamente successivi, Fatboy Slim e Moby raggiunsero l’ubiquità negli spot televisivi e nelle colonne sonore dei film.

Il Business rimacina tutto, come una macchina hegeliana, digerisce tutto, mette tutto a profitto, non gli frega di niente, non guarda in faccia nessuno, ha il pelo sullo stomaco, che tu sia buono o cattivo, che tu sia santo o figlio di un re o capo di stato; che tu sia buono come il pane, o brutto e maleducato; che tu sia pazzo o normale, gatto oppure cane, guardia o ladro, non importa se sei fatto o ubriaco.

Se pianti il seme e il ROI è una promessa, chi se ne frega se danzi o balli o canti contro il potere.

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