No alle prove Invalsi. Costruiamo l’alternativa: rompiamo la scuola dell’Unione Europea!
Quest’anno gli studenti di seconda e di quinta superiore di tutta Italia dovranno svolgere, in un lasso di tempo che andrà dal 3 marzo al 30 aprile, le prove Invalsi, come avviene da ormai diverso tempo, fatta eccezione per l’anno scolastico 2019/2020 in cui i test sono stati sospesi a causa dello scoppio della pandemia, che ha costretto la classe dirigente a un momentaneo e comunque non adeguato ripensamento delle priorità.
Già da diversi mesi denunciamo la fortissima crisi pedagogica che gli studenti e le studentesse stanno vivendo, dopo un anno di didattica a distanza che ha lasciato indietro moltissimi perché nessun governo ha deciso di affrontare in maniera strutturale la questione scolastica, e oggi noi studenti ne paghiamo le conseguenze.
In questo contesto la priorità del neo ministro dell’istruzione e di tutto il nuovo governo non è far recuperare agli studenti la didattica persa ma reinserire i test Invalsi che l’anno scorso erano stati sospesi, andando a recuperare uno dei pilastri di questo modello di scuola che la pandemia ha dimostrato essere fallimentare.
Le prove Invalsi vengono criticate da quando sono state introdotte sia dagli insegnanti che dagli studenti, questo perché non sono solo inutili e dannosi, ma veri e propri strumenti di distorsione della didattica, volti a standardizzare e misurare le conoscenze, svalutando la didattica a semplice immagazzinamento di nozioni usa e getta, abituando gli studenti alla flessibilità, all’adattamento e alla scuola a crocette, svalutando anche il ruolo stesso degli insegnanti riducendolo a semplici “controllori”.
Ma se la pandemia ha dimostrato quali sono le vere necessità della scuola pubblica, se è comprovata l’inutilità pedagogica dei test invalsi, perché proprio quest’anno il nuovo governo ripropone i test Invalsi e il modello che questi rappresentano?
Sappiamo benissimo che la scuola pubblica è sotto attacco da più da 30 anni, e che questo attacco è frutto di un preciso progetto politico in cui nulla è lasciato al caso e che quindi i test Invalsi hanno un ruolo ben preciso, specialmente con il cambio di passo che rappresenta il nuovo ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi (ma in generale tutto il governo) che incarna alla perfezione il modello di scuola delle competenze targato UE, volto a formare futuri lavoratori flessibili e sfruttabili di cui le invalsi sono la spina dorsale.
Gli obiettivi del nuovo ministero sono chiari a tutti: accelerare sulle tendenze già in atto; Bianchi parla addirittura di integrazione scuola-lavoro, non ci stupisce quindi che per quest’anno vengano riproposti i test invalsi che assieme all’ex Alternanza scuola lavoro (che il ministro intende rilanciare) sono i capisaldi di questo modello scolastico.
Ricordiamoci che il primo tassello posizionato dall’Unione Europea nel percorso di smantellamento della scuola pubblica è l’autonomia scolastica, funzionale a mettere in competizione gli istituti e i territori, creando una forte divisione tra scuole di serie A e scuole di serie B in cui le Invalsi hanno sempre giocato un ruolo importante essendo uno dei criteri per l’assegnazione dei fondi.
Tutto questo ha immediate ricadute sulla didattica, i presidi infatti in costante competizione con le altre scuole per la ricerca di fondi che lo stato non garantisce, diranno ai docenti di insegnare agli studenti ad adattarsi al modello invalsi, quello dei test a crocette, delle competenze e del “problem solving”.
La tendenza è quella di rafforzare questa competizione dando delle vere e proprie valutazioni agli istituti, e quale strumento migliore dei test invalsi per farlo?
La questione della meritocrazia diventa centrale – oggi più che mai – quando si parla di invalsi, perché sono gli istituti con punteggi migliori (quelli più meritocratici, secondo la retorica marcia del nemico) ad ottenere più fondi.
In un contesto come quello attuale, in cui il grande capitale europeo e l’Unione Europea, che ne porta avanti gli interessi sul piano politico, intendono utilizzare la crisi sistemica in cui ci troviamo per accelerare nel percorso di formazione del polo imperialista europeo come attore dominante all’interno della competizione globale tramite una ristrutturazione del mercato del lavoro – ristrutturazione che passa proprio attraverso la formazione – , saranno gli istituti più “meritevoli”, le scuole di serie A, in cui si formerà la futura manodopera altamente specializzata e la classe dirigente di cui il capitale europeo ha bisogno;mentre gli istituti meno meritevoli, quelli di serie B, spetterà un ruolo sempre più subordinato di parcheggio per le future masse di precari e sfruttati.
Ma noi non ci faremo ingannare dalla retorica della competizione e della meritocrazia, non saremo noi a pagare il prezzo della scuola delle crocette.
Costruiamo l’alternativa: rompiamo la scuola della competizione dell’Unione Europea!
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