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Governo di guerra: meno soldi e più autoritarismo per la scuola

Alcuni giorni orsono avevo scritto di come il governo si apprestasse a un affrettato “ritorno alla normalità” nella scuola senza avere in realtà affrontato alcuno dei problemi emersi dalla pandemia né averne tratto insegnamenti.

Avrei desiderato essere smentito, ma purtroppo non è così. Dopo avere, in poche ore, trovato i soldi per l’aumento delle spese militari il governo ha diminuito, nella bozza del DEF, i fondi per l’istruzione.

Secondo il DEF l’Italia passerà, da oggi al 2025, dall’attuale investimento del 4% del PIL in istruzione, al 3,5%, con un’ulteriore diminuzione prevista per gli anni a seguire, per assestarsi al 3,3%.

Si tratta di un taglio consistente, motivato dal governo con la diminuzione delle nascite, risultato delle vite precarie dei giovani e dall’insufficienza dei servizi essenziali, dimostrato anche dal fatto che il calo della natalità è più evidente nelle regioni e provincie più povere.

In ogni caso, il taglio degli investimenti è molto superiore al calo demografico previsto da qui al 2025 e quindi non può legittimare una scelta così distruttiva dell’istruzione da parte del governo.

Infatti, la diminuzione prevista (ma non ancora verificatasi) degli alunni avrebbe potuto essere occasione per una diminuzione del numero degli alunni per classe, per il miglioramento delle politiche di lotta alla dispersione scolastica (eufemismo ministeriale per dire in realtà selezione), alle disuguaglianze formative ecc.

Si tenga anche conto che l’Italia è già uno degli ultimi paesi nella classifica UE per le spese per l’istruzione, che si assesta su una media del 4,7%. Con questi ulteriori tagli l’Italia diverrà ultima.

Si potrebbe obiettare che dei fondi per l’Istruzione sono previsti all’interno del PNRR, ma purtroppo la direzione che prenderanno non è certo quella di un miglioramento della scuola per tutti né di una sua democratizzazione.

Anzi, come abbiamo più volte verificato, i fondi del PNRR saranno destinati in gran parte a progetti che aumenteranno il divario tra regioni e scuole, con il privilegio alle “eccellenze”, ai piani volti a promuovere la simbiosi tra aziende e scuole, nella logica dei “Patti territoriali” tra privato e pubblico cari al ministro Bianchi e al raddoppio degli Istituti Tecnici Superiori, vera fucina di mano d’opera “alla carte” per le aziende dei territori dove essi si trovano.

A questo proposito, il Ministero progetta di raddoppiare la frequenza di questi ultimi istituti, gestiti in comunione con le imprese del territorio, i cui dirigenti saranno anche “docenti” per la metà delle ore di formazione.

In pratica, il PNRR, di cui abbiamo analizzato più volte le pagine dedicate alla scuola, è rivolto verso un’ulteriore aziendalizzazione della scuola e verso l’acquisizione di un suo profilo sempre più tecnocratico.

A questa situazione non può, evidentemente, non fare riscontro il fronte delle condizioni di lavoro del personale e dei docenti in particolare e quindi l’aspetto sindacale, che si condensa nel prossimo rinnovo contrattuale, che come al solito arriverà peraltro a contratto ormai scaduto, annullando in partenza qualunque improbabile beneficio economico.

L’atto d’indirizzo politico-istituzionale pubblicato nel settembre 2021 e il PNRR sono i documenti orientativi dell’ARAN per le trattative contrattuali a nome del Ministero e impongono un’aziendalizzazione forzata per la scuola e una maggiore costrizione professionale per gli insegnanti, associata a una stratificazione di mansioni e di salari (nella miseria generale) della categoria.

Anzitutto, il tema della formazione obbligatoria in servizio. Oggi, la formazione è obbligatoria, ma esistono dei margini di scelta per questo diritto-dovere sui quali corsi e temi scegliere.

Il Ministero conferma invece l’intenzione di istituire “L’alta scuola di formazione” (online!) sotto la guida INDIRE-INVALSI (quelli delle crocette e degli stupidari di test), con corsi obbligatori che saranno prevalentemente sulla digitalizzazione e sulle competenze.

Insomma, un indottrinamento che comprenderà anche un recupero della DAD, che avrebbe dovuto essere ormai un ricordo del periodo emergenziale. Al contrario, anch’essa potrebbe essere recuperata nell’ambito della forsennata politica per cui tutto ciò che è digitale è innovativo e non esiste immolazione fuori del digitale.

Naturalmente, dal punto di vista metodologico, gli strali peggiori si addensano sulla cosiddetta “lezione frontale”, un metodo di lavoro praticamente scomparso dalle pratiche degli insegnanti a favore di lezioni dialogate, discusse ecc. in cui tuttavia non si rinuncia a trasmettere dei saperi.

Proprio la sparizione dei saperi dalla scuola, appresi in aula sotto la guida dell’insegnante, (che per le materie scientifiche comprende anche la sperimentazione) è uno degli obiettivi dell’attuale gestione ministeriale, che punta invece tutto sulle competenze funzionali al mondo del lavoro.

Quindi l’obiettivo vero da distruggere non è la lezione frontale, bensì i saperi.

Un’altra idea che circola al Ministero è quella di istituire (e retribuire) figure specifiche di direzione intermedia, il mid-managent che sostituirebbe gli attuali collaboratori del dirigente scolastico. Queste figure, enfatizzate come “sostegno all’autonomia” sono evidentemente funzionali nella scuola dei presidi-manager, che spesso hanno la responsabilità di dirigere molti plessi anche sensibilmente distanti tra loro con il risultato di doversi appoggiare su figure di riferimento che operano nelle singole situazioni.

Anche questo è aberrante, perché conferma l’idea del preside-manager e dei vice-manager, con una stratificazione autoritaria della categoria e dove ancora una volta il dirigente si occupa di tutto tranne che del coordinamento educativo e didattico della scuola.

Scandalosa appare poi la proposta di istituire un welfare aziendale per i dipendenti della scuola. I lavoratori della scuola sono dipendenti dello Stato, che deve garantire a tutti i cittadini un’adeguata assistenza sanitaria. Ora si propone di sottrarre ai loro già miseri stipendi dei soldi che andranno a vantaggio dei privati che potranno garantire, magari, un appuntamento per una visita più rapido che non il devastato servizio pubblico.

È questo un modo per sottrarre soldi ai lavoratori e metterli nelle tasche della sanità privata mascherando lo smantellamento della sanità pubblica. Un totale scandalo, quindi, se praticato dallo Stato, dato che purtroppo questa forma assistenziale truffaldina ha già trovato corso in diversi contratti del settore privato.

E per chi non fosse d’accordo con tutto ciò? È già in arrivo la revisione del codice disciplinare, che a buona ragione, temo, non andrà in senso democratico.

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1 Commento


  • Daniele Villani

    Non un accenno, né sulla “riforma” del Ministri tantomeno in questo articolo alla situazione dei precari (il sottoscritto lo è da 18 anni SEMPRE su cattedre intere), situazione nella quale sono imprigionati (o ingabbiati…) migliaia di dovevi ormai ultra cinquantenni. Questa generazione di docenti è totalmente dimenticata da tutti compresi i colleghi, hanno poco diritti e solo doveri (niente 500€ ma obbligo di più disparati corsi per la anno successivo) il cui sostentamento futuro, loro e delle famiglie che hanno avuto il coraggio di tirare su nonostante la situazione, ritengo ben più grave di un neo laureato che ancora vive con mamma e papà senza responsabilità (non per invidia, ma perché ci siamo passati tutti in quello spensierato e splendido arco di vita).

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