Non è la prima volta che la polizia viene mandata a pestare studenti alla prima manifestazione della loro vita. Per un potere fetente come quello italiano, erede diretto del fascismo e dei Savoia, è un riflesso condizionato dettato dall’esperienza. Se li picchi subito, una buona parte di loro eviterà accuratamente di tornare in piazza. Perché è vero che una persona minacciata è una persona meno libera, come sa benissimo ormai ogni lavoratore di questo paese. E a poco serve anche il non essere da soli se quella minaccia è rivolta – dunque introiettata – da tutti. Certo, c’è sempre il rischio di farli imbestialire di più. Ma perché diventino una forza pericolosa serve esperienza, teoria, visione strategica, organizzazione… Tutta roba che oggi, diciamo così, o manca o viene rifiutata.
Non è neanche la prima volta che i poliziotti si esibiscono con molta “gioia” nel pestare dei ragazzi, mal difesi al massimo da uno scudo di polistirolo, portato su pessimo consiglio di qualche “maestrino” dei movimenti precedenti, ancora convinto di vivere nel mondo che non c’è più (quello in cui potevi dire “voglio violare la zona rossa” e contemporaneamente chiedere finanziamenti per le attività del tuo circolo, centro, ecc). Non siamo ai livelli di Genova 2001, con il potere consegnato ai sadici, scatenati contro un movimento vasto ma in definitiva totalmente pacifico, ma…
Ma qualcosa di nuovo c’è sicuramente.
Toglietevi dalle orecchie “l’ottimismo” che tivvù e giornali vi amplificano da Palazzo Chigi e guardate la vostra vita quotidiana. Lasciate scomparire nel nulla le frasi sulla democrazia e soppesate la “riforma costituzionale”, la nuova legge elettorale, i quattro anni di governi non eletti da nessuno, ma generati da una congrega di pseudo-parlamentari nominati con procedure cortigiane, pronti – tranne piccole quote peraltro disomogenee – a qualsiasi voto, per qualsiasi provvedimento, con qualsiasi schieramento. Cominciate a contare quanti funzionari controllano situazioni politicamente delicate, che richiederebbero esperienza specifica e capacità di mediazione sociale. Guardate la squadra di prefetti che “governa” la Capitale.
Mettete in fila gli sgomberi di stabili occupati, senza alcuna differenza tra occupazioni abitative o socio-culturali, tra collettivi “anarco-insurrezionalisti” e paciosi cultori di danze esotiche. Mettetegli di fronte la sconcertante solitudine in cui è costretto ogni soggetto – individuale o moderatamente collettivo – arrivato al dunque del rapporto col potere (dal licenziamento allo sgombero, dal rifiuto delle prestazioni welfaristiche alla riorganizzazione prefettizia della scuola, ecc).
Ce n’è d’avanzo, con tutta evidenza, per individuare i tratti di un regime autoritario che ha rinunciato alla mediazione sociale e fa ricorso quasi unicamente alla propaganda (“comunicazione”, certo…) e alla struttura militare. Senza che nessuno nell’Unione Europea si sogni minimamente di scandalizzarsi, al contrario di quanto era avvenuto in occasione del G8 del 2001. Del resto, non si è deciso di accettare Erdogan come il “male necessario”?
La mediazione sociale si fa con i soldi, con la spesa pubblica orientata in senso lato al welfare. Ma da 20 anni a questa parte il taglio della spesa pubblica è un dogma via via più stringente, millimetrato, scadenzato nei tempi e nel merito. Niente più spesa sociale, fine della mediazione.
Quindi poliziotti in prima fila, nelle scrivanie che contano ed ovviamente nelle piazze. Con un messaggio chiaro nelle orecchie: “se ci sono aumenti di stipendio da concedere, saranno solo per voi”. E’ avvenuto proprio in questi mesi, mentre al resto del pubblico impiego – senza contratto né aumenti da sette anni – vengono sputati in faccia cinque euro lordi.
C’è la crisi che continuerà ancora a lungo, avere delle milizie soddisfatte e consapevoli di essere dei semiprivilegiati è fondamentale.
Tutte quelle manganellate fatte piovere su un mare di disoccupati, ricattati, sfruttati, non saranno dunque una novità di portata storica. Ma segnano il prossimo futuro. Sono l’unica vera faccia del potere attuale. Che la faccia l’ha persa da tempo…
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