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Sinn Féin, primo partito d’Irlanda

Il Sinn Féin è il primo partito in Irlanda, ma il suo successo sembra avere avviato l’ennesima crisi politica per la Gran Bretagna.

Lo storico risultato alle elezioni di Stormont, in Irlanda del Nord, la scorsa settimana, in cui ha il partito indipendentista ha ottenuto 27 deputati, superando gli “unionisti” del DUP di Jeffrey Donaldson – fermi a 25 – si somma all’exploit alle urne in EIRE del febbraio del 2020, in cui è risultato il partito più votato con il 24,5% delle preferenze.

Ha ottenuto più di 250 mila voti, contro i 184 mila degli unionisti del Dup, mentre circa 116 mila voti sono andati ai “centristi” dell’Alliance Party.

La candidata del Sinn Féin e futura Prima Ministra Michelle O’Neil ha ottenuto più di 10 mila preferenze.

La formazione politica repubblicana, che i media mainstream si ostinano a chiamare “ex braccio politico dell’IRA” nonostante siano passati circa 25 anni dalla fine dei Troubles, ha condotto una campagna elettorale simile a quella svolta due anni fa per il parlamento di Dublino, concentrandosi sugli effetti più impattanti dell’attuale crisi sociale.

Focalizzarsi sulle questioni bread and butter è risultata una tattica vincente ai fini elettorali.

Hanno avuto la priorità la disastrosa situazione della sanità – sia per quanto riguarda l’utenza che il personale che vi opera -, il disagio abitativo dovuto alla speculazione edilizia e in ultimo, ma non meno importante, il costo della vita, mettendo in secondo piano le questioni legate all’unificazione dell’Isola, storica rivendicazione indipendentista al centro di una specifica campagna repubblicana.

Mary Lou McDonald, leader del SF succeduta a Gerry Adams, ha ribadito recentemente che il partito spingerà per la riunificazione, ma in maniera “pianificata, ordinata, democratica, ed interamente pacifica”, intravedendo questa possibilità in cinque anni e ribadendo che la cosa più importante è che “la preparazione cominci ora”.

Michelle 0’Neill, futuro primo ministro, ha promesso di investire un miliardo di sterline per affrontare il problema delle liste d’attesa e sostenere i lavoratori della sanità, mettendo nelle tasche delle Sei Contee 334 milioni di sterline…

Nel dettagliato manifesto elettorale Time for real change sono elencati i problemi che il SF intende affrontare e le ricette per risolverli: costo della vita, salute, pianificazione dell’unificazione, economia, casa, istruzione, diritti dei lavoratori, comunità rurali, crisi climatica, eguaglianza, diversità ed inclusione sono i punti esposti nella 20 pagine che ne compongono il programma.

Gli unionisti del DUP, che nell’assetto politico istituzionale previsto dai Good Friday Agreements, devono condividere il potere con il Sinn Fein – ma che saranno costretti per la prima volta a cedere il posto di Primo Ministro alla candidata repubblicana – hanno puntato tutto sul pericolo di un ipotetico successo repubblicano e sul superamento del protocollo firmato nel 2019 da Gran Bretagna e UE.

Tale accordo, che ora Londra vorrebbe mettere in discussione dicendosi pronta a cambiarlo anche unilateralmente, era stato il risultato delle trattative sulla Brexit dopo il divorzio tra Londra e Bruxelles, avviato con il referendum del 2016, che aveva visto la vittoria del Leave.

Liz Truz, ministra degli Esteri britannica, è stata perentoria affermando che preferirebbe una “soluzione negoziata” ma che non esiterà ad “agire per stabilizzare la situazione in Irlanda del Nord se non saranno trovate soluzioni”, facendo andare su tutte le furie Bruxelles che minaccia una guerra commerciale nel caso la Gran Bretagna agisse unilateralmente.

Bisogna dire che nel 2016 la maggioranza dei nord-irlandesi votò per il Remain, mentre il Democratic Unionist Party si espresse per un divorzio dalla UE, alleandosi come sempre con i conservatori britannici che avevano promosso il referendum.

Gli unionisti vennero poi “scaricati” da Boris Johnson, dopo le ultime elezioni britanniche, una volta che i loro voti non risultavano più necessari per assicurare il governo dei tories.

I risultati dell’accordo sono diventati legge il primo gennaio dello scorso anno, ma hanno causato la feroce opposizione unionista, nuovamente radicalizzata dopo la fine dei Troubles, sulla questione dei controlli sugli standard per le merci alimentari che entrano in Irlanda del Nord, secondo le regole del mercato unico dell’Unione Europea, da effettuarsi nei porti nord-irlandesi.

Un accordo frutto di un compromesso scricchiolante, come dimostrano le attuali parole della Foreign Secretary britannica Liz Truz, che vorrebbe cambiare l’accordo su pressione degli unionisti.

Il DUP ha minacciato il boicottaggio dell’iter per la formazione del nuovo esecutivo, dopo le dimissioni dell’ex primo ministro unionista all’inizio dell’anno – sempre sulla questione del protocollo – che avevano portato alle elezioni.

Questo “boicottaggio” tiene di fatto in ostaggio il Sinn Fein che non può così realizzare quelle misure di emergenza sociale che erano stato il fulcro della sua campagna elettorale.

L’alternativa al protocollo sarebbe stata il portare il confine tra UE e Gran Bretagna lungo quella linea immaginaria ed artificiale che da un centinaio d’anni divide l’Isola tra EIRE e Irlanda del Nord.

Cosa avrebbe creato non pochi problemi, vista la possibilità non peregrina di un riaccendersi delle tensioni, viste le minacce dei dissidenti repubblicani che hanno continuato la lotta armata, abbandonata dall’IRA, e il sentimento universale che considera quel confine una barriera artificiale.

La crisi di egemonia del DUP sul fronte unionista, ed il tentativo di una sua nuova legittimazione tra le file della comunità orangista, più volte sull’orlo dello strappo, insieme all’affermazione del Sinn Fein,  oltre a paralizzare il governo nord-irlandese, per una sorta di effetto domino ha investito la politica britannica ed i rapporti tra il Regno Unito e l’Unione Europea, minacciando quell’”unità euro-atlantica” funzionale ai progetti statunitensi, e preoccupa ora non poco Washington.

A 106 anni dall’esecuzione di James Connolly, da parte della Corona Britannica, le sue parole assumono ancora maggiore significato: “Il Governo britannico non ha diritto sull’Irlanda, non ha mai avuto alcun diritto sull’Irlanda, e non lo avrà mai sull’Irlanda”.

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