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Condanna politica contro Francesco Rizzo, dell’esecutivo nazionale USB: troppe stranezze nella ricostruzione dei fatti

La Quinta Sezione della Corte di Cassazione ha condannato in via definitiva a nove mesi di reclusione Francesco Rizzo, dirigente nazionale dell’USB e storico delegato dell’ex Ilva di Taranto, per la presunta, e per noi fantasiosa, aggressione di un ex collaboratore del sindacato, che sarebbe avvenuta nell’ottobre del 2013.

Chi conosce Francesco non ha dubbi sulla sua estraneità ai fatti che gli sono stati imputati. E l’assenza di prove a sostegno dell’accusa, avrebbe dovuto favorire un esito ben diverso. Francesco ha sempre cercato di far emergere la verità, spingendo gli inquirenti ad approfondire le indagini e a non lasciare nessun aspetto poco chiaro, fino a rinunciare all’avvenuta prescrizione, della quale hanno invece beneficiato gli altri imputati.

Viale Europa, a Talsano, è la seconda via più trafficata di Taranto, ma nessuno ha testimoniato di aver assistito all’agguato attribuito a Rizzo; sul luogo della presunta aggressione sono puntate quattro telecamere, ma le immagini non sono mai state visionate dagli inquirenti, inquirenti che hanno dichiarato in tribunale di aver fatto sopralluoghi, ma di non aver stilato verbali, in quanto non hanno riscontrato nulla a carico del sindacalista.

Nessuna prova, in particolare nessuna testimonianza, ma solo il racconto della presunta vittima, ritenuto dal giudice di primo grado, coerente e quindi sufficiente a giustificare la condanna. Un racconto tanto coerente da indurre il giudice ad anticipare, rispetto al racconto della presunta parte lesa, l’aggressione di 15 minuti, nel corso dei quali Rizzo è stato inoltre impegnato in quattro telefonate.

Negli stessi dieci minuti, tempo riferito dello scontro, il sindacalista avrebbe contemporaneamente parlato al cellulare e messo in atto ciò per cui è stato condannato.

Le dinamiche raccontate dalla presunta vittima risultano surreali. Ulteriore stranezza di questo processo, il fatto che l’uomo che oggi appare come vittima fosse in possesso di documenti interni, comunicazioni tra magistrati, certamente non a disposizione di tutti, che ha pubblicato sul social ancor prima del rinvio a giudizio. Fatto denunciato, sul quale però il giudice si è espresso con una archiviazione.

Nessun effetto ha inoltre determinato la denuncia da parte di Rizzo di atti ritenuti persecutori, posti in essere sempre dallo stesso soggetto per 12 anni, anche più volte nella stessa giornata, attraverso la condivisione su Facebook di commenti e post contro la persona del sindacalista o contro l’organizzazione tutta.

Si mette quindi una pietra tombale su una vicenda giudiziaria con la semplice ricostruzione fatta dalla presunta vittima, persona peraltro più volte condannata per diffamazione, e che ha perso diverse cause professionali proprio contro l’USB di Taranto.

È forte il sospetto che questa sentenza risponda a finalità politiche, ed in particolare alla volontà di  colpire l’immagine di un sindacalista amato dai lavoratori e conosciuto per il suo spessore umano. Attaccando Francesco, si vuol minare l’integrità di tutta l’USB, e mettere in discussione la battaglia che la stessa conduce, ormai da anni, al fianco dei lavoratori.

L’USB si stringe attorno a Francesco e, nell’esprimere il massimo della solidarietà al compagno, ribadisce che non si farà intimidire e non arretrerà di un centimetro.

Tocca uno, tocca tutti.

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