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L’AI produrrà milioni di disoccupati, a meno che…

L’analisi sulla natura e gli effetti dell’intelligenza artificale è ancora agli inizi, anche se le prime applicazioni concrete di questa evoluzione dei programmi informatici risale ormai ad alcuni decenni fa, subito dopo – in pratica – l’inserimento dei computer nel processo di produzione.

Fin quando l’automazione – l’applicazione di una AI molto limitata al “controllo delle macchine” – ha avuto come effetti pratici la parcellizzazione del lavoro manuale, “espropriando” competenze storiche dell’”operaio professionale”, ben pochi hanno sollevato il dubbio che questo processo storico, chiamato anche “terza rivoluzione industriale”, potesse avere effetti sociali profondamente negativi.

A quei pochi veniva opposto il tormentone propagandistico “finora l’innovazione tecnologica ha sempre prodotto una riduzione di alcuni lavori, ma la moltiplicazione di lavori del tutto nuovi, prima inimmaginabili; dunque il saldo non potrà che essere positivo anche stavolta”.

Si potrebbe obiettare che se si è passati mille volte al semaforo con il rosso, non è affatto detto che andrà bene ance la prossima volta. Ma ci sono argomenti anche più seri, nella realtà presente…

Se guardiamo con occhio disincantato il panorama industriale di oggi possiamo constatare che quella “sostituzione” di lavori vecchi con “lavori nuovi” è stata quanto meno “zoppa”.

Da un lato “alto”, certamente, sono emerse nuove figure professionali chiamate per pigrizia “cognitive” – programmatori, tecnici, sistemisti, l’infinita varietà di specialisti software e hardware – ma nell’insieme il totale degli occupati in questi ambiti è rimasto assai inferiore a quello un tempo impiegato nella “fabbrica fordista”.

Dal lato inferiore, invece, sono cresciute esponenzialmente una lunga serie di mansioni neo-servili a ridosso di iniziative imprenditoriali minime (ristorazione, alberghiero, cura della persona e degli animali domestici, servizi turistici in genere, ecc) o dell’”economia delle piattaforme” (consegne a domicilio, e-commerce, ecc). Ambiti con un solo tratto comune: zero qualificazione del lavoro e salari da fame.

Da qualche anno, però, l’AI si sta candidando a sostituire “naturalmente” anche la massa di lavori “cognitivi” un tempo appannaggio esclusivo del “lavoro di concetto”. E non solo impiegati pubblici – indicati come sempre al pubblico dileggio – ma anche e soprattutto nel mondo delle professioni.

Già venti anni fa i tabloid statunitensi cominciarono a utilizzare una AI molto rudimentale per compilare buona parte delle pagine dei quotidiani dedicate allo sport (risultati, classifiche, cronache ridotte all’osso, ecc). E oggi non c’è chi non veda come sia tranquillamente sostituibile una massa notevole dei “giornalisti” mainstream da tempo ridotti a “stenografi” obbedienti (all’editore, alla classe dirigente, a chi paga e decide della tua carriera).

In fondo l’AI – come ha provato a spiegare Noam Chomsky – è l’equivalente esatto dell’automazione in campo manifatturiero: una macchina che utilizza quel che c’è.

La mente umana non è, come ChatGPT e i suoi simili, una macchina statistica e avida di centinaia di terabyte di dati per ottenere la risposta più plausibile a una conversazione o la più probabile a una domanda scientifica”.

Al contrario… “la mente umana è un sistema sorprendentemente efficiente ed elegante che opera con una quantità limitata di informazioni. Non cerca di danneggiare le correlazioni dai dati, ma cerca di creare spiegazioni.

Smettiamola di chiamarla allora “Intelligenza Artificiale” e chiamiamola per quello che è e fa: un “software di plagio” perché “non crea nulla, ma copia opere esistenti, di artisti esistenti, modificandole abbastanza da sfuggire alle leggi sul copyright.

Questo è il più grande furto di proprietà intellettuale mai registrato da quando i coloni europei sono arrivati nelle terre dei nativi americani.”

Si può dire anche in termini marxiani: è la sussunzione reale del lavoro mentale al capitale, così come c’è già stata la sussunzione del lavoro manuale.

Una quarta rivoluzione industriale che fa a fette sottilissime il ceto medio.

Epistemologicamente è però quasi un suicidio dell’umanità. Perché le funzioni creative vengono ristrette e consegnate ai vertici dell’organizzazione sociale esistente, ma anche esse – per rispondere alle esigenze dell’accumulazione capitalistica e alla sua logica del profitto massimo nel tempo più breve – vengono drasticamente ridotte nella loro variabilità.

Il pensiero unico sembrava la la vittoria definitiva del capitalismo anche a livello ideologico, ma sta morendo senza neanche capire perché. Basta osservare con disincanto le classi dirigenti dell’Occidente neoliberista per verificarne l’assoluta inconsistenza: parlano tutti lo stesso linguaggio, obbediscono tutti alle stesse regole, ma non risolvono nessun problema, se non cercando di ricorrere alla forza (e pure lì…).

Non serve un etologo o un ambientalista critico per capire che se si riduce la biodiversità – anche al livello del pensiero – si perde tutto. Così come una coltura omogenea di enormi dimensioni può essere spazzata via da un parassita imprevisto, così un modo di ragionare senza alternative (do you remember Thatcher?) può collassare davanti a problemi irrisolvibili con i suoi strumenti (deve tener ferma la priorità e legittimità del profitto privato, null’altro).

L’AI, come giustamente dice Chomsky, non crea nulla. Fa riassunti, adatta formulazioni già pensate, copia, glissa, accosta, giustappone… ma non pensa, non inventa, non crea. Non risolve alcun problema nuovo, ma fornisce infinite mescolanze di soluzioni per problemi già risolti. E’ la fine della capacità di scoprire a favore del riciclo perenne del già noto.

Dal punto di vista è ovviamente utilissima, non scherziamo. Meccanizzare migliaia di azioni ripetitive è un risparmio di fatica umana e di spesa. Anche in ambito scientifico. La sua noiosa ripetitività consente di “liberare” (verso ricerche migliori o verso la disoccupazione…)  cervelli altrimenti destinati a verificare quasi manualmente quale delle tante possibilità sia quella giusta.

Un esempio per tutti. La famosa “proteina spyke” del coronavirus aveva una certa forma che consentiva, in un determinato punto, l’attacco di un anticorpo vaccinale. Analizzare una per una, “a occhio”, le migliaia di varianti di forma pressappoco simili avrebbe richiesto settimane o mesi di ricerca. L’AI, una volta memorizzati i dati, ha dato la risposta in termini di secondi, o minuti. E il vaccino efficace può essere scoperto in assai meno tempo di prima.

Questo vuol dire che l’umanità potrebbe – come per l’automazione industriale – risparmiare lavoro ripetitivo, spremuto da esseri umani ridotti a pura “forza lavoro”, per darsi altri compiti, altre ricerche, altri modi di vivere e stare insieme.

Ma se lo scopo del produrre è quello di alimentare il profitto di sempre meno imprese, sempre più colossali, allora quella “liberazione dal lavoro” non si tradurrà in una vita migliore per tutti, in cui il “tempo di lavoro” individuale si restringe; ma assisteremo ad una strage di posti di lavoro, a un’esplosione della disoccupazione di massa, con dinamiche sociali al momento imprevedibili ma certamente poco allegre.

Guerra mondiale permettendo, certo.

Questa lunga riflessione viene sollecitata dal rapporto dell’Institute for Public Policy Research (IPPR), un centro di ricerca inglese che ha provato a simulare gli effetti dell’AI sul mercato del lavoro britannco (poco più di 60 milioni di abitanti, come l’Italia).

I risultati quantitativi, seppure ipotetici, sono scontati: migliaia di mansioni scomparirano, anzi stanno già scomparendo, e milioni di disoccupati si riverseranno “liberi” nelle strade. Milioni in Gran Bretagna significa almeno un miliardo a livello planetario (non c’è ragione, infatti, perché le imprese di altri paesi dovrebbero “autolimitarsi” nell’utilizzo dell’AI).

La cosa sorprendente non è ovviamente questa, ma le indicazioni suggerite per evitare la catastrofe:

La tecnologia non è il destino e un’apocalisse lavorativa non è inevitabile: governo, datori di lavoro e sindacati hanno l’opportunità di prendere decisioni cruciali di progettazione ora che assicurino una gestione adeguata di questa nuova tecnologia. Se non agiscono presto, potrebbe essere troppo tardi”.

L’indicazione è chiara, e anche ovvia: la politica deve prendere il posto di comando e governare l’evoluzione sociale, anche della tecnologia, secondo un progetto e una visione che quanto meno subordina la dinamica del profitto di impresa.

Detto da un comunista sembra una vecchia proposizione ideologica; detto da un ricercatore liberale appare invece come una resa davanti alla realtà; il meccanismo capitalista, lasciato “libero” di agire senza limiti, produce catastrofe. E guerra. Va arrestato e almeno re-indirizzato secondo “un piano”.

Qui di seguito abbiamo tradotto l’abstract del documento, con ovviamente il link al testo completo in inglese.

Buona lettura.

*****

Fino a 8 milioni di posti di lavoro nel Regno Unito sono a rischio a causa dell’IA se il governo non interviene, scopre l’IPPR

– I lavori nell’amministrazione, di livello base e a tempo parziale sono i più esposti all’automazione, e le donne sono significativamente più colpite

L’11 per cento dei compiti è esposto all’IA generativa esistente, che sale al 59 per cento se le aziende integrano più profondamente l’IA

– Una serie di scenari dimostrano che un ‘apocalisse lavorativa’ non è inevitabile: al contrario, sono possibili enormi guadagni salariali e di PIL

– Un futuro alternativo è possibile se il governo, i datori di lavoro e i sindacati agiscono per preservare e contribuire a creare nuovi posti di lavoro al sicuro dall’automazione

Un’analisi di questo tipo sull’impatto dell’intelligenza artificiale generativa (IA) sul mercato del lavoro nel Regno Unito scopre un momento di svolta distintivo per il Regno Unito, con possibilità di enormi interruzioni lavorative in futuro o significativi guadagni di PIL, a seconda della politica governativa.

Il rapporto identifica due fasi chiave dell’adozione dell’IA generativa: la prima ondata, che è qui e ora, e una seconda ondata in cui le aziende integreranno ulteriormente e più profondamente le tecnologie IA esistenti nei loro processi.

L’analisi dell’IPPR su 22.000 mansioni nell’economia del Regno Unito, coprendo ogni tipo di lavoro, trova che l’11 per cento dei compiti svolti dai lavoratori è già esposto nella prima ondata.

Identifica i compiti ‘cognitivi di routine‘ (come la gestione dei database) e i compiti ‘organizzativi e strategici‘ (come la pianificazione o la gestione dell’inventario) come i più esposti all’IA generativa, che può leggere e creare testo, codice software e dati.

Tuttavia, questo potrebbe aumentare fino al punto che l’IA svolga il 59 per cento dei compiti nella seconda ondata. Ciò influenzerebbe anche compiti cognitivi non di routine (come la creazione e la gestione dei database) e colpirebbe lavori con guadagni sempre più alti.

Lo studio afferma che i lavori nell’amministrazione, di livello base e a tempo parziale sono a rischio più elevato di essere interrotti durante la prima ondata. Questi includono ruoli segretariali, di servizio clienti e amministrativi.

Le donne sono più propense a lavorare in tali posti, il che significa che saranno tra le più colpite, afferma il rapporto. Anche i giovani sono a rischio elevato poiché le aziende assumono meno persone per i lavori di livello base e introducono invece tecnologie IA.

Inoltre, coloro che percepiscono salari medio-bassi sono maggiormente esposti a essere sostituiti dall’IA.

L’IPPR ha modellato tre scenari illustrativi per l’impatto potenziale della seconda ondata di adozione dell’IA sul mercato del lavoro, a seconda delle scelte politiche:

Scenario peggiore – piena sostituzione: tutti i lavori a rischio vengono sostituiti dall’IA, con 7,9 milioni di posti di lavoro persi e nessun guadagno di PIL

Scenario mediano: 4,4 milioni di posti di lavoro scompaiono, ma con guadagni economici del 6,3 per cento del PIL (£ 144 miliardi all’anno)

Scenario migliore – pieno potenziamento: tutti i lavori a rischio vengono potenziati per adattarsi all’IA, invece di essere sostituiti, portando a nessuna perdita di posti di lavoro e un impulso economico del 13 per cento al PIL (£ 306 miliardi all’anno)

L’IPPR ha anche modellato tre scenari per l’impatto potenziale dell’IA generativa “qui e ora” sul mercato del lavoro:

Scenario peggiore – piena sostituzione: 1,5 milioni di posti di lavoro vengono persi, senza guadagni di PIL

Scenario centrale: 545.000 posti di lavoro vengono persi, con guadagni di PIL del 3,1 per cento (£ 64 miliardi all’anno)

Scenario migliore – piena potenziamento: nessun posto di lavoro viene perso, con guadagni di PIL del 4 per cento (£ 92 miliardi all’anno)

Inoltre, i guadagni salariali per i lavoratori potrebbero essere enormi – oltre il 30 per cento in alcuni casi – ma potrebbero anche essere nulli.

L’implementazione dell’IA potrebbe anche liberare manodopera per colmare le lacune legate a esigenze sociali non affrontate. Ad esempio, i lavoratori potrebbero essere riallocati ai servizi di assistenza sociale e salute mentale attualmente sottodimensionati.

La modellazione mostra che non c’è un percorso predeterminato unico su come l’implementazione dell’IA si svilupperà sul mercato del lavoro. Esorta anche a un intervento per garantire che i guadagni economici siano ampiamente diffusi, anziché accumularsi solo a pochi.

Senza azione governativa e con le aziende lasciate a se stesse, il peggior scenario è una possibilità concreta, afferma l’IPPR. L’IPPR raccomanda che il governo sviluppi una strategia industriale incentrata sul lavoro per l’IA che favorisca le transizioni lavorative e garantisca che i frutti dell’automazione siano condivisi ampiamente in tutta l’economia.

Questo dovrebbe includere:

1. Sostenere i lavori verdi, poiché i lavori verdi sono meno esposti all’automazione rispetto ai lavori non verdi

2. Interventi di politica fiscale, come incentivi fiscali o sovvenzioni per incoraggiare il potenziamento del lavoro rispetto alla piena sostituzione

3. Cambiamenti normativi, per garantire la responsabilità umana nelle questioni chiave, come ad esempio la salute

Carsten Jung, economista senior presso l’IPPR, ha dichiarato: “L’IA generativa già esistente potrebbe portare a una grande interruzione del mercato del lavoro o potrebbe enormemente stimolare la crescita economica, in entrambi i casi è destinata a cambiare il gioco per milioni di noi. Molte aziende stanno già investendo in essa, e ha il potenziale per velocizzare molti altri compiti man mano che più imprese la adottano.”

Nel corso dei prossimi cinque anni potrebbe trasformare il lavoro di conoscenza. La domanda ora è meno se l’IA possa essere utile, ma piuttosto quanto velocemente e in che modo i datori di lavoro la useranno. La storia dimostra che la transizione tecnologica può essere un vantaggio se ben gestita, o può finire in crisi drammatica se lasciata a svolgersi senza controlli. Infatti, alcune occupazioni potrebbero essere duramente colpite dall’IA generativa, a cominciare dai lavori in ufficio.”

Ma la tecnologia non è il destino e un’apocalisse lavorativa non è inevitabile: governo, datori di lavoro e sindacati hanno l’opportunità di prendere decisioni cruciali di progettazione ora che assicurino una gestione adeguata di questa nuova tecnologia. Se non agiscono presto, potrebbe essere troppo tardi.

Bhargav Srinivasa Desikan, ricercatore senior presso l’IPPR, ha detto:

Potremmo vedere lavori come copywriter, grafici e ruoli di assistenti personali essere pesantemente influenzati dall’IA. La domanda è come possiamo guidare il cambiamento tecnologico in modo che permetta nuove opportunità di lavoro, un aumento della produttività e benefici economici per tutti.”

Ci troviamo in un momento di svolta, e i decisori politici devono urgentemente sviluppare una strategia per garantire che il nostro mercato del lavoro si adatti al XXI secolo, senza lasciare indietro milioni di persone. È cruciale che tutti i lavoratori beneficino di questi progressi tecnologici, e non solo le grandi corporation tecnologiche.”

*

L’IA generativa si riferisce a nuovi software informatici che possono leggere e creare testo, codice software e dati. I modelli all’avanguardia hanno dimostrato anche capacità di ragionare e applicare concetti astratti in una serie di discipline, spesso a livello universitario.

Per vedere quali compiti e lavori saranno influenzati dall’IA, l’IPPR ha prodotto una metrica che indica quanti compiti potrebbero essere trasformati dall’IA e ha quindi valutato ciascun compito per quanto riguarda se un essere umano potesse svolgerlo il 50% più velocemente con l’aiuto dell’IA.

Esposizione all’IA “qui e ora”: questa è la prima ondata di adozione dell’IA, dove l’IA generativa esistente come GPT4 può già svolgere i compiti coinvolti.

Esposizione all’IA “integrata”: questa è la seconda ondata di adozione dell’IA, in cui l’IA generativa è collegata ad altri sistemi software, compresi i database, e ha la capacità di eseguire compiti (come fare prenotazioni o ordini) che le permettono di eseguire più passaggi.

L’IPPR (l’Istituto per la Ricerca di Politiche Pubbliche) è un’organizzazione benefica indipendente che lavora per una società più giusta, più verde e più prospera. Siamo ricercatori, comunicatori ed esperti di politiche che creano cambiamenti progressisti tangibili e trasformano idee audaci in realtà sensate.

Lavorando in tutto il Regno Unito, l’IPPR, l’IPPR North e l’IPPR Scotland sono profondamente legati alle persone delle nostre nazioni e regioni e alle questioni che le nostre comunità affrontano.

Abbiamo contribuito a plasmare le conversazioni nazionali e il cambiamento progressista delle politiche per oltre 30 anni. Dal fare il caso iniziale per il salario minimo e affrontare l’ineguaglianza regionale, alla proposta di una tassa straordinaria sulle compagnie energetiche, il lavoro di ricerca e politica dell’IPPR ha presentato soluzioni pratiche per le crisi che la società affronta. www.ippr.org

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3 Commenti


  • Emiliano

    Tempo fa, non ricordo quanto, ho letto un vostro articolo, mi pare a firma dello stesso Francesco Piccioni, in cui trattava il medesimo tema e si accennava a un nodo teorico connesso: se la sostituzione di forza lavoro umana con forza lavoro umana in una vasta gamma di settori supera “al ribasso” una certa soglia critica, la risultante composizione organica del capitale pone problemi in termini di creazione di nuovo valore e incremento dei profitti. La riflessione su questo punto è progredita? È in qualche modo accessibile?


  • m

    la AI è una macchina che lavora con una macchina
    la AI è l’industrializzazione dell’industrializzazione
    la AI è il braccio destro e sinistro del materialismo economico produttivo
    la AI è la crasi definitiva dell’elemento utile (e nobilitante) che perteneva il lavoro: il lavoro è lavoro e non riguarda affatto gli esseri umani e la loro realizzazione personale
    la AI è peggio del peggior vaticino distopico che gli inventori della fantascienza erano riusciti a immaginare


  • Giancarlo Staffo

    Proprietà pubblica dei mezzi di produzione, economia pianificata, interesse pubblico e sociale nel controllo della tecnologia, condizione preliminare per la liberazione del tempo di lavoro…

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