Corri troppo, Antonio, sei già oltre
la repressione del tempo,
e non hai torto:
si lavora su ciò che manca
e ciò che manca è l’attore.
Ma la tua corsa, credimi, anche se solitaria,
è necessaria: senza seguito
tu seguita a cercare, senza premi
continua: ogni gesto
che concedi, anche il meno convincente,
rompe il cerimoniale risaputo,
apre la cicatrice
del tempo.
Tu sei nel grumo, senza lirismo.
Ciò che dici è, per il tempo, infamia radicale.
E gli altri, quelli che ne controllano il flusso, ti cercano
per evitarti: non sei merce di scambio
e la tua irrequietezza riluce
sui banconi: la restaurazione pesa
come un incubo e resistere
non è da tutti.
Dunque, Antonio, fai rumore:
si lavora su ciò che manca
e ciò che manca è l’attore
è l’attore a disagio, estraneo al flusso del tempo,
il cui solo scopo è ricordarsi:
rinascere mettendosi a morte.
Se scavo nel senso
del tuo discorso ne ricavo lo stimolo ulteriore:
allegoria, grottesco, crudeltà,
poesia:
senza lamento
per l’esclusione, senza cedimento
all’omologazione:
si lavora su ciò che manca
e ciò che manca è l’attore
è l’attore in rivolta in suono e sintassi d’errore,
in corpo irriducibile non conforme ai ricevimenti
in ritmo-voce a muso duro
per sempre nella disputa
e perché tutto è tutt’altro che dato
è nel divenire il suo senso:
è l’attore in eccesso
nel tempo insensato.
Qui, Antonio, serve un po’ di ironia:
siamo fottuti, in ogni caso;
tanto vale buttarla in ridere. Ma sì, se restiamo nella collera
il tempo ci agguanta: l’attore ha bisogno
di irridersi, e il suo diritto al delirio,
il suo desiderio in atto,
non può che essere
comicamente autodistruttivo.
Ma morendo, davvero,
e morendo col ghigno sulle labbra,
rinasce, e non dà tregua: consumarsi
è per lui non cedere allo spettacolo.
Ne vale la pena? Sempre conviene
confrontarsi, sempre; altrimenti vince
il degrado. Ma sempre
la ferocia del tempo supera
il tentativo. E allora?
E allora
si lavora su ciò che manca
e ciò che manca è l’attore:
manca la maschera solidale, dove il senso
non è di dominio, e il gesto etico
e la raffinata tecnica
e l’eros segreto dell’attore, e l’osceno
del suo esporsi in una società
di troppe parole, e false: manca
la caduta senza scampo,
la poesia, manca
l’eresia.
.
Dedicato ad Antonio Attisani, per il suo libro “Un teatro apocrifo”, Medusa Edizioni.
Immagine: Mejerchol’d in “La morte di Ivan il Terribile”.
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