- Una carenza della cultura politica italiana
L’anno scorso ricorreva il centotrentesimo anniversario della nascita di Mao Zedong, noto alla mia generazione come Mao Tse-tung (1893-1976). Era facile prevedere che su quell’anniversario sarebbe calato, come infatti è calato, il totale silenzio non solo dei ‘mass media’ borghesi, ma anche, tranne poche eccezioni, delle stesse organizzazioni della sinistra comunista.
Sennonché, tralasciando i primi che, in quanto ‘armi di distrazione di massa’, si limitano a fare il loro mestiere, sarebbe invece opportuno interrogarsi sul comportamento delle seconde per capire le ragioni della debolezza manifestata dalla cultura politica italiana (e dalla cultura ‘tout court’) nei confronti dell’esponente di una delle maggiori esperienze, sia politiche che filosofiche, del Novecento.
In effetti, nonostante per alcuni versi la Cina sia ormai così vicina all’Italia da poter essere considerata (che si aderisca alla “Via della Seta” o che se ne esca) una delle componenti più rilevanti dell’economia del nostro paese, per altri versi, come dimostra la debolezza or ora menzionata, la Cina resta lontana.
Eppure, è difficile negare che se il pensiero di Mao non ha influito a sufficienza sulla cultura politica del nostro paese e non è stato a sufficienza assimilato e discusso dal fragile marxismo italiano, ciò si è risolto in un danno per quest’ultimo.
È infatti sorprendente che le pagine, pur verbalmente celebrate, del magistrale saggio di Mao Sulla contraddizione 1 non abbiano trovato l’attenzione e l’approfondimento che ancor oggi esse attendono.
Gli stessi comunisti di orientamento marxista avrebbero tutto l’interesse a condurre un’analisi delle classi della società italiana che fosse altrettanto rigorosa e perspicua quanto l’Analisi delle classi nella società cinese, che, quasi un secolo fa (e nello stesso anno in cui in Italia apparivano le Tesi di Lione del Partito comunista d’Italia), fu in grado di sviluppare Mao 2.
Né serve come alibi, essendo un simile postulato del tutto falso, affermare, come spesso si sente dire da parte dei sociologi, che la nostra società è più complessa ed articolata, poiché chi reitera questo ‘mantra’ adopera in realtà la complessità, cui si appella, non come un concetto teorico ma come una strategia politica, e quindi mente sapendo di mentire.
Allora, siccome le opere complete di Mao sono oggi disponibili grazie alle Edizioni Rapporti Sociali di Milano che le hanno pubblicate in 25 volumi, l’invito che va fatto a chi si interessa di argomenti come la leniniana dittatura del proletariato e la gramsciana egemonia, è quello, tanto per cominciare, di leggere l’intervento del 1948 Sulla questione della borghesia nazionale e dei signorotti illuminati 3, nonché il fondamentale testo del 30 giugno 1949 Sulla dittatura democratica popolare 4.
- La dialettica nel pensiero filosofico di Mao:“unità degli opposti” e/o “negazione della negazione”?
La dialettica elaborata da Mao va chiaramente inquadrata e approfondita in un duplice àmbito: quello di una tradizione antica che attraversa l’intera storia cinese e quello dell’insegnamento che l’autore ha saputo ricavare dalla lezione di Marx, di Engels, di Lenin e di Stalin.
In questa sede basterà richiamare le tesi tipiche della dialettica rielaborata da Mao: la particolarità, la pluralità e la complessità delle contraddizioni, la distinzione in contraddizioni principali e secondarie, l’asimmetria, l’instabilità e la reversibilità del rapporto tra i termini della contraddizione ecc., laddove tali caratteristiche vanno collegate strettamente ai contesti storici delle lotte fra le classi e alle alterne vicende della rivoluzione cinese e della politica internazionale da cui Mao ha ricavato le sue riflessioni dialettiche.
Orbene, se si tiene conto che, in base ai presupposti del pensiero marxista, la società è costituita da classi sociali in conflitto tra loro e che non si deve mirare all’assorbimento delle conflittualità, bensì alla loro soluzione rivoluzionaria, occorre allora riconoscere che tutto questo è stato espresso nel modo migliore, sul terreno della logica, dagli schemi di pensiero dialettici.
Per quanto riguarda dunque questi schemi, è da prendere in considerazione quello più famoso presentato da Mao (e desunto dallo scritto di Lenin A proposito della dialettica 5): “l’uno si divide in due”.
Da un punto di vista astrattamente logico, dire che in ogni cosa l’uno si divide in due (come asserisce Mao) non sembra avere un significato maggiore di quanto l’abbia il dire che ogni cosa può essere divisa in 3, in 4… in n. Ma dal punto di vista di una logica pratica, il quale dev’essere necessariamente anche un po’ semplificatorio, si è sempre notata la tendenza del pensiero a considerazioni dicotomiche, a polarizzarsi tra aspetti opposti.
Anche senza risalire alle opposizioni tipiche del cosiddetto pensiero primitivo o selvaggio (crudo-cotto, puro-impuro ecc.), va ricordata una plurimillenaria tradizione filosofica che si può ritrovare nel pensiero cinese, nella sapienza greca, nell’ebraismo ellenistico ecc. Ecco perché è senz’altro utile distinguere, nella concezione dialettica di Mao, un aspetto pratico e un aspetto teoretico (laddove, come si mostrerà più avanti, anche l’aspetto teoretico ha conseguenze importanti sul piano pratico).
Secondo il primo aspetto, nel chiarificare situazioni complesse è bene cominciare con l’ordinare i fattori in gioco per coppie di opposti, e vedere poi quale tra le “contraddizioni” che in tal modo si manifestano abbia in quel determinato momento il ruolo principale.
È evidente che un simile metodo risponde all’esigenza strategica di concentrarsi sempre, nell’agire, su un obiettivo, tra i tanti simultaneamente presenti, pur senza dimenticare l’esigenza di saper anche cambiare flessibilmente obiettivo al momento opportuno.
Non bisogna infatti ritenere che le contraddizioni individuate come secondarie debbano restare sempre tali e non possano passare in primo piano. E ancora: non si può pensare che il superamento di un opposto da parte dell’altro sia sempre definitivamente acquisito e non si possa rovesciare la situazione.
Questo permette a Mao di accorgersi, per esempio, che la borghesia, debellata in una certa forma, può rispuntare sotto un’altra, magari all’interno del partito comunista e degli apparati di Stato.
Se si accetta che la dialettica di Mao abbia un valore preminente come teoria di un agire pratico-strategico, non ci si dovrà dunque meravigliare che si concentri soprattutto sullo schema binario, più affine alle situazioni del tipo attacco-difesa, che contemplano uno scambio reciproco delle due parti, e ancora analogamente vittoria-sconfitta, stasi-avanzata, inferiorità-superiorità, fronte principale-fronte secondario, laddove questi schemi sono sempre aperti a scambi, conversioni, inversioni, capovolgimenti.
Di qui una certa dislocazione della dialettica di Mao rispetto allo schema triadico, tipico della dialettica hegeliana ma anche marx-engelsiana: affermazione-negazione-negazione della negazione (tesi-antitesi-sintesi).
Orbene, secondo alcuni interpreti, Mao non avrebbe mai fatto uso dello schema triadico; per di più sembra anche averlo esplicitamente negato nel Discorso filosofico del 1964: «Engels ha parlato delle tre categorie ma per quanto mi riguarda io non credo in due di queste categorie. L’unità degli opposti è la legge veramente fondamentale, la trasformazione della qualità e della quantità l’una nell’altra è l’unità degli opposti ‘qualità e quantità’, e la negazione della negazione non esiste affatto» 6.
Andando avanti nella lettura del passo si comprende che questo rifiuto della negazione della negazione involge un’interpretazione della dialettica come serie di negazioni a catena del tipo: A è negato da B, che poi a sua volta è negato da C e così via: «Affermazione, negazione, affermazione, negazione. Ogni anello della catena degli eventi nello sviluppo delle cose è sia affermazione che negazione. La società schiavista negava la società primitiva, ma in rapporto alla società feudale era a sua volta l’affermazione. La società capitalista era la negazione in rapporto alla società feudale, ma è a sua volta l’affermazione in rapporto alla società socialista… In una parola, uno divora l’altro, uno spodesta l’altro; eliminata una classe, un’altra avanza; eliminata una società, un’altra avanza».
La famosa immagine del “divorare” viene qui usata come sinonimo della negazione e sembra inglobare il tema della sintesi, benché quest’ultima non venga intesa, come ordinariamente avviene nel linguaggio dialettico, quale sinonimo della negazione della negazione. Il divorare, tuttavia, esprime una sintesi nel senso che chi divora qualcosa anche se ne nutre, ne conserva qualche elemento o aspetto.
Dice infatti Mao, nei già citati Discorsi inediti, che analisi e sintesi sono indivisibili, trattandosi di un caso di unità degli opposti: «Sintetizzare il nemico vuol dire mangiarselo. Come abbiamo sintetizzato il Kuomintang? Non lo abbiamo forse fatto appropriandoci del materiale del nemico e trasformandolo? […] Anche il processo di mangiare è un processo di analisi e sintesi. Per esempio si mangia la polpa ma non il guscio del granchio. Lo stomaco poi assorbe la parte nutritiva e si libera della parte inutile. […] Marx ha tolto il guscio della filosofia di Hegel e ha assorbito la parte interna utile trasformandola nel materialismo dialettico» 7.
In base a tutto questo non sembra perciò di dover opporre, come fanno taluni studiosi, lo schema binario di Mao a presunti resti di idealismo hegeliano impliciti nello schema, comprendente la negazione della negazione, ancora usato da Marx e da Engels 8. Occorre, semmai, tenere conto della diversità dei contesti.
Per esempio, Marx nel Capitale dice che il capitalismo nega il possesso delle condizioni di lavoro da parte del lavoratore, mentre il comunismo nega il capitalismo riportando il possesso delle condizioni di lavoro al lavoratore, ma non più nella forma individuale precedente bensì in quella socializzata; e tutto questo viene espresso appropriatamente come negazione della negazione. Lo stesso dicasi per lo schema dell’Anti-Dühring di Engels: comunismo primitivo-società classiste-comunismo moderno.
Ma in fondo lo stesso Mao usa talvolta schemi implicanti la negazione della negazione, e ciò sia implicitamente – come quando riprende da Lenin la teoria della conoscenza come processo di passaggio dalla realtà empirica, conosciuta intuitivamente e sommariamente, alla teoria e poi infine alla concreta realtà, conosciuta però in modo approfondito – sia esplicitamente come in un passo riportato nella già citata raccolta dell’editore Bertani: «Le cose devono necessariamente dirigersi verso il loro opposto. La dialettica della Grecia, la metafisica del medioevo: il rinascimento è la negazione della negazione. Anche in Cina è così: la rivalità delle cento scuole di pensiero all’epoca dei Regni combattenti era una forma di dialettica; l’insegnamento dei classici all’epoca feudale era una forma di metafisica. Ora siamo tornati a parlare di dialettica, non è vero? […] La dialettica di Lenin: la dialettica di oggi è la negazione della negazione». 9
In realtà, siccome non è facile uniformare tutti i discorsi di Mao ad un unico schema dialettico e, come si è visto, vanno tenuti presenti i diversi contesti in cui tali discorsi si collocano, non si può stabilire a priori che per tutte indifferentemente le questioni sia da applicare la formula “uno si divide in due”, che sia da scartare la formula triadica ecc.
Del resto, criticando il Manuale di economia politica ufficiale dell’URSS (nella IIIª edizione del 1959), un’opera progettata dallo stesso Stalin e poi soggetta a complesse vicende, Mao annota: «Vi è scritto che, nel sistema socialista, le contraddizioni non sono contraddizioni inconciliabili. Questo modo di esprimersi non è conforme alla dialettica. Tutte le contraddizioni sono inconciliabili. Dove sono le contraddizioni conciliabili? Certe contraddizioni sono antagonistiche, altre non lo sono. Ma non si può dire che ci siano contraddizioni inconciliabili e contraddizioni conciliabili. Anche se non c’è guerra nel sistema socialista, la lotta esiste sempre, una lotta tra differenti fazioni in seno al popolo» 10.
Questo scritto del 1960 sembra preparare già il terreno alla disputa, iniziata nel 1964 con l’avvio della rivoluzione culturale, tra le due formule “uno si divide in due” e “due si fondono in uno”. La questione è stata poi riassunta nell’articolo del comitato centrale del Partito comunista cinese, del 1971, Due si fondono in uno, filosofia della restaurazione capitalistica 11.
All’origine della disputa tra le due formule vi era un problema nettamente pratico: era in gioco la ripresa o la limitazione della lotta di classe per completare la socializzazione delle campagne e altri importanti processi della costruzione del socialismo. La formula basata sull’unità intesa come fusione, più che sulla lotta degli opposti, assumeva pertanto una particolare valenza politica in questa situazione, collocandosi anche sullo sfondo di tematiche confuciane sull’armonia sociale 12.
-
Da Mao ad Aristotele e ritorno
A questo punto, chi ha letto Mao rammenterà facilmente i tanti passi sulla “universalità della contraddizione”, in cui ricorrono affermazioni del genere: «Il vero e il falso sono degli opposti. Il giusto nasce dalla lotta contro l’errato. Il bello e il brutto sono degli opposti. Se non vi fossero uomini buoni non ve ne sarebbero di cattivi… Vi sono fiori fragranti ed erbe velenose, il vero si sviluppa nella lotta contro il falso…» 13.
In questo senso, non deve sfuggire, ma va sottolineata, in contrasto con certi aspetti dell’epistemologia occidentale attualmente dominante – aspetti che vanno criticati in quanto agiscono come veri e propri ‘ostacoli epistemologici’, ossia come fallacie che generano errori -, l’originalità metodologica e filosofica di Mao: originalità che, pur nella molteplicità dei diversi contesti pratico-strategici e delle diverse accezioni teoretiche in cui il pensiero dialettico si esprime, merita di essere pienamente sottolineata.
Una di tali fallacie, che qui non è possibile discutere, è, ad esempio, la definizione di conoscenza ‘oggettiva’ come conoscenza indipendente dal contesto e disinteressata, laddove la scissione tra conoscenza ‘pura’ e applicazioni pratiche trova riscontro nella scissione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, così come tra concezione ed esecuzione, che sempre più caratterizza ogni sorta di attività.
Anche se le radici di tale scissione si possono individuare nella Grecia classica e altrove, non è necessario spingersi così lontano nel tempo, giacché la forma oggi dominante risale all’Europa del Seicento.
Si pensi a Descartes, il quale fa immediatamente seguire alla dimostrazione della sua stessa esistenza – ‘cogito, ergo sum’ – una prova dell’esistenza di Dio, cioè dell’Altro, laddove l’opposizione ‘sé/Altro’ diviene il modello per tutta una serie di polarità dualistiche: ‘anima/corpo’, ‘mente/materia’, ‘uomo/natura’, ‘individuo/società’, ‘soggettività/oggettività’, ‘organismo/ambiente’, ‘noi/loro’ ecc.
In questo sistema fondato su un tipo di pensiero dicotomico, entrambi i termini appartengono allo stesso tipo logico, costituiscono, cioè, un’opposizione binaria. L’opposizione si risolve sempre fra gli aspetti positivi e gli aspetti negativi di un’essenza. Ciò la distingue, pertanto, dal tradizionale dualismo cinese, che contrappone due concetti essenzialmente distinti (ma interrelati).
Il dualismo occidentale conduce infatti ad assumere certi atteggiamenti (e a seguire i relativi comportamenti), uno dei quali è l’atteggiamento disgiuntivo ‘o/o’, mentre un altro è la risoluzione di opposizioni mediante la ‘media aurea’ o il compromesso, piuttosto che attraverso l’esclusione parziale di un opposto e la sintesi conseguente.
Il punto è che un particolare codice astratto – l’opposizione binaria – fa talmente corpo con il senso comune occidentale (così come con la stessa filosofia occidentale), che non solo questo codice viene costantemente impiegato per organizzare le nostre percezioni ed è abbastanza astratto da non essere condizionato da controlli empirici, ma esso sfugge anche ad ogni senso critico in quanto la maggior parte delle persone non è neppure consapevole di servirsene; inoltre, esso dispiega tutto il suo potenziale mistificante allorché pone sullo stesso piano i termini che costituiscono, ad esempio, le coppie del tipo: ‘mente/materia’, ‘anima/corpo’, ‘uomo/natura’ ecc., ignorando che non si tratta di opposizioni tra termini dello stesso tipo logico, ma di contraddizioni asimmetriche.
Il concetto di ‘contraddizione asimmetrica’ può essere chiarito prendendo le mosse dal concetto più generale di unità degli opposti, comunemente usato da Mao sulle orme di altri pensatori della tradizione dialettica moderna e contemporanea, quali Hegel, Marx, Engels, Lenin e Stalin.
Esso (s’intende il concetto di ‘contraddizione asimmetrica’) corrisponde, in realtà, a un buon numero di rappresentazioni, ed è probabile che proprio qui risieda la sua utilità pratica, giacché, parafrasando “il maestro di color che sanno”, cioè Aristotele, l’essere degli opposti si dice in molti modi.
E proprio dalla fine classificazione che Aristotele offre dei vari tipi possibili di opposizione conviene prendere le mosse, avvertendo nel contempo che dei quattro tipi individuati da Aristotele tre soggiacciono pienamente al principio di non-contraddizione (“tertium non datur”), mentre uno, quello dei contrari, ammette più di due opzioni tra loro alternative.
Nel libro X della Metafisica, al capitolo 4, essi vengono così elencati, secondo il criterio dell’estensione e dell’indeterminatezza decrescenti: 1) i contraddittori; 2) la privazione e il possesso; 3) i contrari; 4) i correlativi 14.
I contraddittori indicano una negazione completa l’uno dell’altro, come avviene tra l’affermazione e la negazione (ad esempio, ‘x è seduto’ e ‘x non è seduto’). Essi non hanno nulla in comune, neppure il genere, e non ammettono termini intermedi tra loro. Si tratta dell’opposizione più estesa e indeterminata, che abbraccia tutta la realtà.
La privazione e il possesso sono termini che appartengono al medesimo genere, ma tali che l’uno non costituisce il contrario, bensì semplicemente l’assenza dell’altro (ad esempio, la cecità e la vista). Essi sono un caso particolare di contraddittori, cioè l’affermazione e la negazione nell’àmbito del medesimo genere, all’interno del quale stabiliscono tuttavia un’alternativa totale (che esclude, cioè, termini intermedi).
I contrari sono i termini più lontani l’uno dall’altro nell’àmbito del medesimo genere (ad esempio, il bianco e il nero). Essi rappresentano un caso particolare di privazione e possesso, cioè, per l’appunto, quella privazione e quel possesso che sono più lontani tra loro. Rispetto al caso precedente, i contrari hanno un’estensione minore poiché, oltre ad avere in comune il genere, non stabiliscono all’interno di esso un’alternativa totale (“tertium datur”), ammettendo quindi termini intermedi (ad esempio, il grigio).
I correlativi, infine, sono quei contrari che si implicano reciprocamente sia quanto alla nozione sia quanto all’esistenza (ad esempio, il doppio e il mezzo). Essi sono dunque un caso particolare di contrari e possiedono l’estensione minore di tutti poiché hanno in comune, oltre al genere, il fatto che ciascuno dei due non può essere definito né esistere senza l’altro.
Sennonché il modo evasivo e, in taluni casi, elusivo con cui è stato trattato, nel corso della storia della filosofia, il caso degli opposti correlativi induce a guardare con una speciale attenzione a questo tipo di opposizione.
In realtà, è difficile non riconoscere che il caso dei correlativi è il più indicato a cogliere lo scontro di classe. Della qual cosa già Aristotele si era accorto, poiché tra gli esempi di correlazione, accanto a quello del doppio e del mezzo, pose l’esempio del padrone e dello schiavo 15, laddove la prima critica che gli si può rivolgere è che, oltre ad intendere la lotta di classe come un caso particolare e subordinato di opposizione, egli qualificava la negazione reciproca tra i termini contraddittori come l’antagonismo massimo e l’opposizione tra i correlativi come l’antagonismo minimo.
È stato dunque un merito del filosofo francese Alain Badiou quello di distinguere, stimolato dal pensiero dialettico di Mao, nell’esame della teoria degli opposti i processi asimmetrici e, correlativamente, i processi simmetrici 16.
I secondi valgono per il conflitto tra opposti omogenei (ad esempio, le guerre mondiali interimperialiste, sfociate in immense distruzioni senza determinare null’altro che un mutamento di egemonia nei rapporti di forza tra le potenze su scala mondiale); i primi valgono invece, almeno in linea teorica, a determinare il processo della rivoluzione proletaria, fondata sull’eterogeneità (o discontinuità qualitativa) della forza delle classi popolari rispetto a quella delle classi dominanti.
Di conseguenza, occorre riformulare la distinzione tra i quattro tipi di opposizione, distinguendo i correlativi simmetrici dai correlativi asimmetrici e affermando, in particolare nel campo teorico-pratico del materialismo dialettico, la separazione di due concezioni antagonistiche: quella delle classi dominanti e di coloro che, impadronendosi del potere, vogliono solo sostituirle, e quella di chi tende ad abolire definitivamente ogni forma di oppressione.
Sarà utile mettere in rilievo, a scanso di facili irenismi, che questa distinzione riguarda e attraversa anche i proletari, tanto che lo stesso Lenin nei mesi successivi alla rivoluzione d’Ottobre manifestava apertamente tale pericolo: «E coloro che vedono la vittoria sui capitalisti come la vedono i piccoli proprietari – “loro hanno arraffato, adesso lascia che arraffi io” – rappresentano ciascuno la fonte di una nuova generazione di borghesi» 17.
La conclusione che, alla luce del materialismo dialettico, deriva da questa fondamentale rettifica della teoria degli opposti è che la lotta di classe è un insieme di processi guidati da correlativi asimmetrici, cioè qualitativamente disomogenei. Occorrerà quindi riformulare la classificazione degli opposti nel modo seguente: 1) correlativi asimmetrici/correlativi simmetrici; 2) privazione/possesso; 3) contrari; 4) contraddittori.
Ma vi è di più, giacché – e questo è il corollario logico e critico che deriva da quanto si è precisato in precedenza – le opposizioni si diversificano non solo secondo il tipo, ma anche secondo il livello (per così dire, complanare oppure gerarchico).
Valga, a questo proposito, un esempio. Nonostante il fatto che nella società moderna sussistesse una distinzione gerarchica tra i sessi (una relazione di dominanza e subordinazione basata su precisi rapporti di forza e di potere: relazione che oggi, nelle società occidentali, si è in parte rovesciata per tutta una serie di cause che non è qui possibile analizzare), era comune sentir parlare di tale relazione come della “battaglia dei sessi”.
Questa espressione neutralizzava, simmetrizzandola, la reale relazione tra i sessi nelle nostre società. In sostanza, in base ad uno scopo ideologico facilmente identificabile, la maggioranza delle persone, condizionata da una falsa identità degli opposti, riceveva questa impressione dal rapporto tra maschi e femmine nella società.
In realtà, allora come oggi, identità e opposizione non esistevano e non esistono (e ciò indipendentemente dalle nostre esplicite o implicite convinzioni); esisteva soltanto, ed esiste, un conflitto, ed è un conflitto non paritetico.
I due aspetti del conflitto, quello socialmente dominante e quello socialmente subordinato, possono essere complementari (giacché nessuno dei due può in ultima analisi fare a meno dell’altro), ma la complementarità non è quella reciproca degli uguali. Ecco perché questa particolare situazione dovrebbe essere descritta, così come quella che si produce nel rapporto tra capitale e lavoro, nei termini (logici e ontologici) degli opposti correlativi asimmetrici.
Da questo punto di vista, il termine ‘opposizione’ può essere sostituito al termine ‘contraddizione’ (dato il carattere esclusivamente logico del termine ‘contraddizione’ nella teoria aristotelica degli opposti), poiché le relazioni testé descritte non si manifestano a un solo livello, ma implicano almeno due livelli, uno dei quali dominante sull’altro.
Così, è opportuno, in primo luogo, correggere l’idea di una relazione simmetrica (uguali e opposti) indicandone la fondamentale asimmetria e, in secondo luogo, includere nella descrizione la realtà per cui ‘maschio’ e ‘femmina’ – come ‘capitale’ e ‘lavoro’ nell’attuale sistema economico – sono opposti interdipendenti o complementari. Questa interdipendenza può estrinsecarsi in numerosi modi, tutti peraltro legati al rapporto di subordinazione che istituiva nell’età antica la complementarità tra padrone e schiavo.
Naturalmente, resta inteso che, in condizioni socio-economiche diverse, l’interdipendenza o complementarità potrebbe assumere un aspetto completamente differente e tradursi in una relazione di reciprocità. A questo proposito, va inoltre sottolineato con forza il fatto che la necessità della lotta contro il revisionismo moderno, di cui Mao è stato storicamente il protagonista, trova il suo fondamento teoretico proprio nel concetto di ‘correlativo asimmetrico’, in quanto nasce e si sviluppa dalla relazione immanente (non solo della borghesia contro il proletariato ma altresì) della borghesia all’interno del proletariato, talché – come ha affermato Lenin, per un verso – «la lotta contro l’imperialismo, se non è indissolubilmente legata con la lotta contro l’opportunismo, è una frase vuota e falsa» 18, e – come precisa Mao, per un altro verso – «non è ancora veramente deciso chi vincerà nel campo ideologico, se il proletariato o la borghesia», ragione per cui «dovremo lottare ancora per un lungo periodo contro le idee borghesi e piccolo-borghesi» 19.
Per quanto riguarda la simmetrizzazione, questa si riferisce a un modo ideologicamente usuale, proprio del pensiero borghese e revisionista, di neutralizzare l’importanza di un’affermazione o il significato di una relazione del mondo reale.
Si tratta, in questo caso, di un processo attraverso il quale relazioni disuguali, gerarchiche o multiplanari, tra persone, gruppi o parti di un insieme, vengono trasfigurate in un improprio rapporto di presunta uguaglianza ad un unico livello (è ciò che accade, per esempio, in quel “tessuto di menzogne” che è la Costituzione, una “rivoluzione promessa” in cambio di una “rivoluzione mancata”, come riconobbe persino Piero Calamandrei che fu uno dei suoi ‘padri’).
4. Categoria della mediazione e “verità ellittica”
Sennonché il modo più corretto e più proficuo di rendere omaggio al Grande Timoniere è quello di riportare il “Discorso alle Guardie Rosse” tenuto nel 1966 all’avvìo della rivoluzione culturale e scandito da un ‘incipit’ formidabile: “Ogni cosa si trasforma”.
Quel discorso, in cui non vi è parola che non sia al suo posto e che non sia connessa ad un preciso sistema di concetti, costituisce una pagina magistrale della dialettica marxista applicata alla lotta di classe sul terreno teorico e politico ed un’illustrazione esemplare dei valori che stanno alla base della rivoluzione socialista, la quale si articola, per essere veramente tale, in una triplice rivoluzione: economico-sociale, politico-istituzionale e ideologico-culturale.
Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, condizionati dall’immagine vulgata di un grande rivoluzionario quale è Mao Tse-tung, la categoria che si trova al centro di questo discorso e, più in generale, al centro del pensiero di Mao, è la categoria della ‘mediazione’, eredità fra le più importanti di quella “fonte e parte integrante” del marxismo che è la dialettica hegeliana.
Ma vi è di più, poiché nella centralità della categoria della “mediazione” è operante, anche quando Mao avanza verso di essa taluni circoscritti rilievi critici, l’influsso potente e onnipervasivo della lezione teorico-politica di Giuseppe Stalin, in cui il materialismo dialettico e il materialismo storico rappresentano, a partire dalla prassi rivoluzionaria e in vista di essa, i due fuochi della stessa ellisse (giacché, come amava notare Feuerbach riferendosi alla “rivoluzione astronomica” dell’età moderna e all’innovazione introdotta da Keplero nella rappresentazione geometrica delle orbite dei pianeti, “la verità è ellittica”) 20.
All’interno di quella ellisse il ‘leitmotiv’ della parte pratico-politica del discorso, che discende organicamente dalla parte teorico-metodologica che lo introduce, ha un rigore algebrico.
«Chi non riconosce la mediazione, in campo politico cade nell’opportunismo di sinistra o di destra». Da queste premesse tanto lucide quanto rigorose procede quindi, attraverso una corretta mediazione fondata sul carattere asimmetrico delle due deviazioni, la linea di condotta che occorre seguire nel riconoscere, nel combattere e nel superare i due tipi di deviazione dalla corretta strategia rivoluzionaria.
«Ogni cosa si trasforma. Ogni cosa si trasforma secondo le sue proprie leggi. Anche noi siamo oggetti e soggetti delle trasformazioni, ne siamo parte passiva e parte attiva, consapevole, con nostri obiettivi e piani.
Ogni cosa si trasforma in un’altra e questa in un’altra ancora e poi ancora, costituendo gli anelli di una catena. Se prendiamo un anello della catena, esso è attaccato al primo, ma solo attraverso gli anelli intermedi. Se vogliamo comprendere il legame che unisce una cosa ad un’altra da cui proviene, se vogliamo comprendere come sta trasformandosi una cosa, dobbiamo ricostruire nella nostra mente le fasi intermedie attraverso le quali la prima si è trasformata in quella che stiamo esaminando.
Ogni cosa diviene secondo le sue leggi e tramite le circostanze esterne e accidentali che incontra. Se vogliamo comprendere come mai una cosa si è trasformata proprio in quest’altra e non in qualcosa di diverso, dobbiamo non solo conoscere le leggi proprie di quella trasformazione, ma anche ricostruire nella nostra mente le circostanze esterne e accidentali che hanno determinato passo dopo passo quel percorso.
Si dice che una cosa è divenuta un’altra attraverso la mediazione degli anelli intermedi e delle circostanze esterne. La mediazione è un aspetto universale della trasformazione.
Chi non riconosce la mediazione, in campo politico cade nell’opportunismo di sinistra o di destra. La lotta contro gli opportunisti di sinistra (gli estremisti di sinistra) è una lotta interna alle nostre fila. Anche la lotta contro gli opportunisti di destra è una lotta interna alle nostre fila, ma solo fino ad un certo punto. Dove sta la differenza tra i due fronti?
Gli opportunisti di sinistra negano le mediazioni (le fasi, i passaggi, i processi) attraverso cui si svolge ogni trasformazione reale. Essi politicamente sono ostili all’imperialismo e alla borghesia, ma in campo culturale, dell’orientamento e della concezione del mondo si limitano a negare le posizioni della borghesia, non le superano, le conservano rovesciate, vedono il mondo come la borghesia solo dal lato opposto.
Essi quindi subiscono ancora fortemente l’influenza della borghesia e non è strano che ogni tanto alcuni di essi di punto in bianco, sotto l’influsso di qualche evento traumatico, passino dall’altra parte. Gli opportunisti di sinistra possono essere dei discreti combattenti, mentre la loro direzione è rovinosa, sotto la loro direzione la sconfitta è certa. La permanenza di un opportunista di sinistra nelle nostre fila è positiva solo finché riusciamo a contenerne l’influenza e a determinare un processo in cui egli si trasforma e corregge a fronte dei compiti assegnatigli.
Gli opportunisti di destra negano anch’essi le mediazioni dei processi reali, quindi non vedono i passaggi attraverso cui il presente di supremazia della borghesia si trasforma nel domani di supremazia del proletariato, in definitiva vedono un baratro invalicabile tra il presente e gli obiettivi della nostra rivoluzione e restano ancorati alla sponda del presente. Hanno poca fiducia nella nostra vittoria perché non vedono i passaggi del cammino che la rende possibile.
La loro opposizione alla borghesia è debole, sono inclini alla conciliazione, a staccarsi così poco dal presente da aderirvi quasi. A differenza degli opportunisti di sinistra essi hanno però l’appoggio della classe dominante, esprimono l’influenza della classe dominante nelle nostre fila, sono veicolo della sua influenza.
Gli opportunisti di sinistra esprimono un’influenza indiretta della borghesia, un’influenza culturale e di concezione del mondo, attraverso la negazione. Gli opportunisti di destra invece esprimono la cultura e la concezione del mondo dominante, quella più diffusa ed esprimono l’influenza politica della borghesia.
I veri e propri portavoce della classe dominante tra le masse si confondono con loro. Quindi essi usufruiscono della forza che deriva loro dall’appoggio della classe dominante, dal conservatorismo, dalla forza dell’abitudine, dalla rassegnazione, dalla stanchezza, dal servilismo, dal cedimento al ricatto e alla paura.
Essi sono più dannosi (degli opportunisti di sinistra) anche come semplici militanti e la loro permanenza nelle nostre fila deve essere strettamente limitata a quelli che stanno trasformandosi. Gli altri possono essere, devono essere accettati nelle organizzazioni di massa.
Qui il nostro obiettivo è determinare l’orientamento generale e controllare saldamente l’apparato, ma non possiamo escludere in linea di principio la partecipazione degli opportunisti di destra alle organizzazioni di massa, perché anch’essi, come gli opportunisti di sinistra, incarnano in modo unilaterale e organico un limite reale delle masse ed escluderli dalle organizzazioni di massa vuol dire rifiutare di trattare e trasformare, di fare i conti con questo limite delle masse, cioè rinunciare al nostro compito e ai nostri obiettivi rivoluzionari. 21»
5. Un poeta d’avanguardia in quanto legato alla tradizione classica
Per finire, è doveroso ricordare che Mao non è stato solo un grande rivoluzionario e un notevole pensatore, ma anche un raffinato poeta. Questo aspetto della personalità di Mao viene lumeggiato da Girolamo Mancuso, qualificato traduttore dei componimenti poetici di Mao.
Nelle considerazioni premesse a Tutte le poesie di Mao 22 e nell’affascinante capitolo “La lingua cinese come mezzo di poesia” del saggio Pound e la Cina 23, lo studioso descrive sia la struttura della lingua cinese in generale sia il procedimento della poesia classica cinese.
Molto brevemente, prima di tornare a Mao, sarà quindi opportuno chiarire che la lingua cinese è isolante, cioè non flessiva, e ha una grammatica posizionale, ossia una stessa parola può avere funzione di verbo, sostantivo, aggettivo, preposizione, e così via, a seconda della sua posizione nella frase; questa ‘posizionalità’, estremamente rigida nella prosa, diventa assai più libera nella poesia. Inoltre, non essendo la lingua flessiva, il verbo non ha coniugazione.
Nella lingua corrente si usano una serie di espedienti per precisare modo, tempo, persona del verbo; nella lingua classica tali espedienti sono deliberatamente ignorati. Se si aggiungono le squisitezze della prosodia e della metrica (alternanza di toni, rime, allitterazioni, omofonie; parallelismi e opposizioni semantiche tra verso e verso) si vede come l’ambiguità e l’essenzialità siano caratteri peculiari della poesia cinese.
E qui il sinologo in parola fa un’osservazione di estremo interesse quando dice che in Occidente soltanto la letteratura d’avanguardia ha cercato di affrancare la poesia dalle regole grammaticali del linguaggio comune, ottenendo, sebbene parzialmente, quegli effetti che, in cinese, sono invece peculiari della poesia classica e tradizionale.
Sembrerebbe, dunque, che la lingua poetica classica dei cinesi non abbia bisogno di andare oltre se stessa e che la contraddizione stia semplicemente nel fatto che questa lingua d’avanguardia non è conosciuta dalle masse.
Sennonché Mao non poteva perdere le qualità stilistiche della poesia classica, non poteva regredire stilisticamente di fronte ai suoi interlocutori ideali: i cinesi del passato. Vuole invece orgogliosamente che ascoltino, che intendano il suo messaggio: «Osammo comandare a luna e sole / di darci un nuovo cielo» 24.
Secondo gli esperti, un limite della poesia classica cinese è il progressivo accumularsi delle espressioni formulari, delle immagini stereotipe, delle citazioni di repertorio, delle allusioni convenzionali, che difatti ricorrono anche nei versi di Mao, Ma questo limite è compensato dalla ricchezza delle parole antitetiche, dal modo di pensare dialettico, tipico dei cinesi, che si rivela nel trimillenario I Ching (Il libro dei mutamenti) come nel saggio di Mao Sulla contraddizione.
Certamente, le poesie di Mao sono interessanti perché esprimono la personalità non solo indomabile e gioiosa, ma anche straordinariamente oggettiva e fertile di creatività sociale, dell’autore. Da questo punto di vista, si può ritenere Kunlun l’autoritratto etico-politico di un guerriero pacifico (un autoritratto profetico, si potrebbe aggiungere dal punto di vista geopolitico guardando all’ascesa internazionale della Cina odierna).
«Attraverso lo spazio sorgi dalla terra, / grande Kunlun, / testimone di tutte le gioie del mondo. / Tre milioni di draghi di giada / si levano in volo, / nel gelo pungente / rabbrividisce tutto il cielo, / nei giorni d’estate / si sciolgono le nevi, /n le acque scorrono rigonfie, straripano lo Yangzi e il Huanghe, / gli uomini si trasformano / in pesci e tartarughe. / Mille autunni di meriti e colpe: / chi mai li avrebbe biasimati? / Ma oggi io dico al Kunlun: / non serve tanta altezza, / non serve tanta neve. / Come posso appoggiarmi al cielo / e sguainare la preziosa spada, / per prenderti e tagliarti in tre parti? / Una parte la darei all’Europa, / una parte all’America, / una parte resterebbe all’Oriente. / Grande equilibrio nel mondo, freddo e caldo eguali su tutta la terra.» 25
Nel rigore, che la fantasia del guerriero non abbandona mai, trapelano con delicatezza i sentimenti dell’amicizia e dell’amore. E all’interno di una forma classica Mao rivela il suo profondo, epico legame con la civiltà contadina cinese: «Felice osservo di riso e fagioli / mille onde pesanti, // da ogni dove gli eroi / scendono nella sera fumosa» 26.
Che questa qualità poetica emerga anche dalla sua prosa filosofica è un’altra sorprendente scoperta che riserva il saggio filosofico Sulla contraddizione. La lettura di questo passo conferma tale scoperta (chi scrive si è limitato ad inserire gli a capo):
«La nostra pratica dimostra / che le cose percepite / non possono essere immediatamente comprese / e che soltanto le cose comprese / possono essere / ancor più profondamente / percepite» 27.
Chiunque rilegga questo saggio, scritto ovviamente in prosa, e soffermi l’attenzione su queste righe, non può non avvertire, oltre alla loro verità cognitiva, la loro impressionante solennità. Da qui è partita l’idea di suggerirne una rilettura che ponesse in evidenza la forma di quel contenuto.
Che altro dire se non che il contributo di Mao al pensiero comunista è fondamentale e che, in quanto comunisti, non possiamo non dirci maoisti?
1 Mao Tse-tung, Sulla contraddizione (agosto 1937), in Opere di Mao Tse-tung, vol. n. 5. La raccolta dei 25 volumi delle Opere di Mao Tse-tung in formato PDF, da cui si cita, è reperibile sulla Rete al seguente indirizzo: https://www.nuovopci.it/arcspip/articlee6e8.html.
2 Id., Opere cit., Analisi delle classi della società cinese (1° febbraio 1926 e marzo 1926) in Opere di Mao Tse-tung, Edizioni Rapporti Sociali, Milano 2007, volume n. 2.
3 Id., Opere cit., Sulla questione della borghesia nazionale e dei signorotti illuminati (1° marzo 1948), volume n. 10.
4 Id., Opere cit., Sulla dittatura democratica popolare (30 giugno 1949), vol. n. 11.
5 Cfr. V. I. Lenin, Quaderni filosofici, in Opere complete, vol. XXXVIII, Editori Riuniti, Roma 1970, p. 361: «Lo sdoppiamento dell’uno e la conoscenza delle sue parti contraddittorie (cfr. la citazione di Filone su Eraclito all’inizio della III parte, Sulla conoscenza, dell’Eraclito di Lassalle) è l’essenza (una delle “essenzialità”, una delle note caratteristiche o peculiarità fondamentali, se non la fondamentale) della dialettica».
6 Mao Tse-tung, Discorsi inediti 1956-1971, Mondadori, Milano 1975, p. 179.
7 Ivi, p. 190.
8 È il caso, tra gli altri, di Riccardo Guastini, autore di una saggio Sulla dialettica, pubblicato in «Rivista di filosofia», 1, 1975, pp. 113-130. Non meraviglia che il rifiuto, prima, del concetto di negazione della negazione e poi della stessa dialettica, entrambe liquidate come superfetazioni di un caduco retaggio hegeliano, sia sfociato nell’adesione di questo studioso, un tempo marxista, ad un piatto positivismo.
9 Mao Tse-tung, Discorsi inediti cit., p. 51 e ss.
10 Id., Su Stalin e sull’URSS, Einaudi, Torino 1975, pp. 28 e ss.
11 L’articolo è contenuto nella raccolta a cura di M. A. Bonfantini e M. Macciò, La filosofia della rivoluzione culturale, Bompiani, Milano 1974.
12 Nella stesura di questo paragrafo mi sono avvalso della pregevole relazione di Ferdinando Vidoni Sulla dialettica in Mao, contenuta in Attualità di Mao – Atti del convegno, «Quaderni In/Contro», 2°, 1982, pp. 27-36.
13 Cfr. la raccolta di passi di Mao, Senza contraddizione non c’è vita, Bertani, Verona 1976, p. 35.
14 Sul tema qui discusso risultano particolarmente illuminanti i chiarimenti forniti da G. Bottiroli nel volume Contraddizione e differenza, Giappichelli, Torino 1980, pp. 9-44.
15 Aristotele, Le categorie, 7, 6b, 27.
Cfr. sulla Rete https://www.nilalienum.it/Filosofia/Filosofia/Autori%20e%20Opere/Aristotele/Aristotele-Organon.pdf (capitolo settimo, pp. 23-25).
16 A. Badiou, F. Balmès, De l’idéologie, Maspero, Paris 1976.
17 Cfr. Seduta del comitato esecutivo centrale di tutta la Russia (29 aprile 1918) – Rapporto sui compiti immediati del potere sovietico, in Lenin, Opere complete, Editori Riuniti, Roma 1967, p. 269.
18 V. I. Lenin, L’imperialismo, fase suprema del capitalismo, cap. X, in Opere scelte, Editori Riuniti, Roma 1968, p. 670.
19 Mao Tse-tung, Discorso alla Conferenza nazionale di propaganda del Partito comunista cinese (12 marzo 1957), in Opere cit., volume n.° 14.
20 L. Feuerbach, La filosofia dell’avvenire, trad. di C. Cesa, Laterza, Bari 1969, p. 164.
21 Mao Tse-tung, Discorso alle Guardie Rosse, in «Rapporti Sociali – rivista di dibattito per il comunismo», n. 2, novembre 1988, p. 14.
22 Id., Tutte le poesie (con testo cinese a fronte), introduzione di Alberto Moravia; cura e traduzione di G. Mancuso, Newton Compton, Roma 1972.
23 G. Mancuso, Pound e la Cina, Feltrinelli, Milano 1974.
24 Mao Tse-tung, Tutte le poesie cit., p. 123. La poesia Ritorno a Shaoshan, in cui compare questo distico, è stata composta nel giugno 1959.
25 Ivi, pp. 93-95. La poesia Kunlun è stata composta nell’ottobre 1935.
26 Ivi, p. 123. È la chiusa del Ritorno a Shaoshan.
27 Id., Opere scelte cit., p. 317.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa