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Giocare a cazzo con le parole, cioè Saviano

Una delle grandi tragedie culturali del presente, qui in Occidente, è la scomparsa di ogni legame tra “la parola” e “la cosa”, tra la realtà e il discorso che dovrebbe descriverla.

Ci sono sempre meno analisti capaci di riconoscere i problemi e abbozzare delle soluzioni efficaci. Mentre si incontrano ad ogni angolo “esperti di comunicazione” pronti a suggerire una “narrazione” persuasiva.

A raccontare cazzate, insomma, per nascondere o rendere potabile una realtà imbevibile.

Pensavamo di aver raggiunto il fondo con un protagonista del “grande fratello” assunto a capo della comunicazione di Palazzo Chigi.

Poi, stamattina, leggiamo su La Stampa (organo storico della famiglia Agnelli, oggi affiancato da Repubblica) il titolo De Luca è come Chavez, la camorra approfitta di questo malessere”.

De Luca, che paga ai privati 1.000 euro l’uno posti letto in affitto, sarebbe “simile” a un Chavez che ha dotato di una sanità pubblica un paese che non ne aveva mai avuta una?

Poi si capisce che “l’analogia” – diciamo così – viene rintracciata nella tecnica discorsiva tipica di tutti i leader sudamericani: il comizio dalla lunghezza sterminata. Ovviamente in monologo.

Protagonista dell’audace accostamento? Roberto Saviano, noto per la sua fama, specialista in monologhi proprio come De Luca, incaricato di ridurre il mondo a due sole entità:il bene e la camorra. Senza dubbi, come un verbale di polizia. Senza altre figure, che pure nel mondo girano e andrebbero spiegate…

E capiamo che il fondo è terribilmente lontano.

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