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Brevi appunti e considerazioni dalla Spagna indignata e insorgente

Il Sindacato Obrero de ampo, le esperienze di autogestione e di lotta in difesa dei beni comuni, i centri sociali occupati e autogestiti che in Spagna ancor oggi fioriscono e si moltiplicano, mantenevano aperte alcune finestre di conflittualità sul territorio, ma apparivano incapaci di articolare una controffensiva efficace rispetto alle politiche di precarietà, di privatizzazione estrema, di continui tagli alle spese sociali che il governo Zapatero ha varato negli ultimi anni sotto dettatura e imposizione dei cosiddetti “mercati internazionali”.

In verità un lento lavoro di incubazione e preparazione stà dietro al riemergere della “talpa” sbucata fuori all’improvviso.

Un cartello molto largo di associazioni, comitati e movimenti ha indetto per il 15 maggio una manifestazione autoconvocata in oltre cinquanta città spagnole, la cui parola d’ordine è stata “RIPRENDIAMOCI LE PIAZZE, DEMOCRAZIA ORA”.

“Toma la calle, democrazia ya” è nata essenzialmente dal bisogno di costruzione di uno spazio politico alternativo di partecipazione dal basso, in grado di rilanciare le istanze e le rivendicazioni sociali che sembravano ormai soffocate e oscurate dalla tenaglia bipolarista che ha avvelenato per mesi il dibattito politico spagnolo a partire dall’acutizzarsi dello scontro politico tra popolari e socialdemocratici in vista della scadenza elettorale del 22 maggio.

Il successo della manifestazione era già percepibile alcuni giorni prima dell’M-15 quando le adesioni e le convocazioni in piazza erano improvvisamente incominciate a piovere da ogni angolo della Spagna.

Quando in Puerta del Sol a Madrid ci si è ritrovati in oltre ventimila persone , alcune delle realtà promotrici si sono poste il problema di come non dissipare quell’enorme successo: dinanzi al dubbio amletico-leninista che ti assale al termine di una grande giornata di mobilitazione, sicuramente la mossa vincente è stata l’intuizione, già peraltro apertamente discussa nelle riunioni preparatorie, di restare in piazza ad oltranza per denunciare la “farsa elettorale” della domenica successiva, con intenzione esplicita di adottare il modello di protesta islandese e maghrebino.

A dare man forte ai settori maggiormente disposti alla lotta ad oltranza, che il primo giorno erano ridotti ad una sparuta rappresentanza di trecento attivisti, è giunta la stupidaggine delle forze dell’ordine, che hanno pensato bene di sgomberare con violenza il presidio durante la notte, arrestando 19 attivisti dopo una vera e propria caccia all’uomo per le strade del centro della città.

Quest’atto di violenza e di prepotenza ha dato slancio e forza al movimento che fin dalle prime luci dell’alba si è ritrovato compatto al sol e di lì è stato un crescendo di partecipazione che ha travalicato i confini tradizionali dell’attivismo sociale madrileno, riportando in piazza migliaia di persone in tutta la Spagna piazza che da quel momento sono diventate praticamente un formicaio impazzito di creatività, partecipazione, presa di parola.

La forza e la maturità di questo movimento è sicuramente rintracciabile nella capacità di concatenare istanze propriamente “politiche” di difesa degli spazi di agibilità e di partecipazione con istanze di trasformazione ed equità “sociale”: la concatenzazione imprescindibile di queste due dimensioni, di critica al sistema politico della rappresentanza e di critica sociale al modello economico dominante, ha radicalizzato e al tempo stesso reso più comprensibile la valenza anticapitalistica di queste mobilitazioni.

Nessun terreno di mediazione, di contrattazione, di compromesso, ma una critica frontale al dualismo sociale che la crisi economica e la crisi delle democrazie occidentali hanno accentuato in maniera esponenziale: da una parte i banchieri, i politici, la finanza, le multinazionali, dall’altra i precari, i lavoratori, i migranti, i pensionari, le giovani generazioni.

La critica politica spazia dal sempreverde approccio anarco-astensionista contro il sistema politico della rappresentanza elettorale, alla critica maggiormente condivisa contro la cosiddetta partitocrazia, fino alla polemica accentuata contro il falso bipolarismo del partito unico del PPSOE (dall’unione delle sigle del Partito Popolare e del Partito Socialista) correllata con l’invito a sostenere qualsiasi piccolo partito.

La legge contro l’elegibilità dei condannati per corruzione (qui almeno in spagna sanno fare la differenza tra chi è condannato per corruzione e chi per le lotte sociali!), il ritorno ad un sistema puramente proporzionale, la costruzione di forme di controllo popolare degli eletti e di sperimentazione di percorsi democrazia partecipativa, l’opposizione alla legge antipirateria telematica sono altri punti politici che permettono di qualificare queste mobilitazioni come espressioni di protesta e proposta civica.

L’altro forte elemento di indignazione sociale è la gestione della crisi economica come strumento di radicalizzazione delle sperequazioni sociali: i profitti dei banchieri negli ultimi anni, i miliardi di euro regalati alle banche, i tagli alle spese sociali, vengono interpretati come alcune delle forme più evidenti di saccheggio della ricchezza sociale da parte delle classi sociali alte nei confronti dei più deboli.

La renta basica, la reintroduzione di vecchie o l’invenzione di nuove forme di distribuzione della ricchezza, sono le istanze che pongono in discussione alcuni degli ordini discorsivi dominanti, compreso il totem della moneta unica sbeffeggiata con ironia nei differenti tavoli di distribuzione gratuita di beni di prima necessità, cibo e bevande che costellano gli accampamenti, mentre intorno ad essi gli stessi prodotti vengono venduti a prezzi particolarmente esorbitanti dai tradizionali esercizi commerciali del centro città.

Questa capacità di autoregolazione e autorganizzazione degli accampamenti, dall’approviggionamento alimentare allo smaltimento autogestito dei rifiuti, dalla partecipazione volontaria alla responsabilizzazione collettiva nel divieto di abuso di alcol e droghe, è a sua volta innalzato da alcuni attivisti come terreno concreto di dimostrazione della riprodubilità anche su vasta scala di forme di economia autogestionarie e cooperative fondate sulla logica del dono, così come l’intensa attività assemblearia e subassemblearia diventa paradigmatica di un possibile modello alternativo di decisionalità collettiva orizzontale, “fomentata” dall’intenso utilizzo del web 2.0 come strumento per la circolazione delle informazioni e delle idee.

Nel guardare con gli occhi italiani questa protesta, il dato più interessante è certamente la compenetrazione della cultura e delle tematiche “grilline” all’interno delle componenti più radicali dei movimenti sociali che ha reso possibile l’incubazione e la deflagrazione di questo movimento: sarebbe il caso di domandarsi se e quanto l’orizzontalità decantata dal movimento 5 stelle in Italia non sia in verità subordinata e mortificata dalla verticalità della personalizzazione politica di cui anche il fenomeno Beppe Grillo, probabilmente suo malgrado, ne è protagonista.

Il valore e la riscoperta della partecipazione e della democrazia diretta come strumenti di riappropriazione dal basso del proprio “qui ed ora”, del proprio spazio urbano, della dimensione biopolitica del priprio presente, sono sicuramente il patrimonio più inestimabile venuto a galla attraverso l’irruzione sociale del movimento “democrazia ya”, l’antidoto più potente contro la degenerazione mortifera implicita non solo nella burocratizzazione partitica o sindacale ma anche nella versione postmoderna della personalizzazione estrema.

Nel sostegno e nell’augurio a distanza per una vittoria elettorale nei ballottaggi per miei carissimi amici e compagni Giuliano e Luigi, terrei però in dovuta considerazione queste indicazioni politiche ispaniche circa le modalità di costruzione di percorsi di democrazia reale che sappiano guardare oltre le vicessitudini elettoralistiche per cogliere invece più in profondità la natura dei processi politici in corso: la gravità della crisi delle democrazie occidentali e del capitalismo neoliberista ci impongono questo sforzo di immaginario, ma anche di ribellione.

In conclusione, dove arriveranno gli indignad@s spagnoli?

E’ difficile da dirsi.

Per il momento anche in Spagna il movimento sembra aver iniziato, come anche naturale che sia, ad abbandonare la fase di effervescenza dello statu nascente.

Le piazze restano ancora tutte occupate e presidiate da centinaia di indignati, la cui preoccupazione è come dare costanza all’iniziativa politica, ritrovando una parziale risposta all’interno di un processo di territorializzazione del movimento che vedrà il suo punto di precipitazione nell’organizzazione delle assemblee di quartiere che ci saranno il 28 maggio in tutte le città spagnole.

Dal TomaLaCalle al TomaLosBarrios, cioè una volta portato a casa il PRENDIAMOCI LE PIAZZE, adesso è il momento del PRENDIAMOCI I QUARTIERI: Il radicamento sociale diventa la sfida per la sedimentazione del movimento.

Del resto il racconto e l’attenzione mass-mediatica, sgonfiatasi nella stessa Spagna all’indomani delle elezioni del 22 maggio, ha rappresentato probabilmente il tentativo di governamentalizzare la protesta dentro uno schema discorsivo fluido, la cui critica verso qualcosa di indefinito e inafferrabile – i giovani e il loro futuro – trova una sua ragion d’essere a ridosso della stantia rappresentazione elettoralistica, come critica specifica e contingente, al fine di offuscare e negarne il suo carattere di critica generale.

Ma come recita uno striscione in puerta del sol: “Estamos cansados de ser el futuro, somos el presente”. Siamo stanchi di essere il futuro, noi siamo il presente

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