Menu

Costituente dei beni comuni e partito sociale

La vittoria del referendum non è semplicemente la riaffermazione nello spazio politico della potenza democratica rispetto alle scelte dei propri governanti ma, rappresenta l’originalità di un movimento costituente di nuove forme dell’azione collettiva che investe oggi la crisi della politica e della rappresentanza dentro la crisi del sistema capitalista. Per certi aspetti, possiamo dire la crisi della politica la risolve creando nuove istanze “irrappresentabili”. La piazza del PD e dell’IDV, semivuota, il giorno prima dei referendum ne è l’esempio concreto, come quella piena del 14 dicembre. Con il senno di poi, andrebbe letta attentamente anche la polemica che gli esponenti dei comitati hanno avuto con Santoro e Floris rispetto alla rappresentazione mediatica “centralizzata” sui partiti dei referendum. Se anche il sistema mediatico più attento ai movimenti, non è riuscito di fatto a cogliere, rappresentare e riprodurre il tessuto reticolare, di esperienze “federate” per obbiettivo, del movimento per l’acqua un motivo ci dovrà pur essere. In qualche modo possiamo dire che nessuno aveva previsto una vittoria di questo tipo ed ancora di più che nessuno si era accorto che questa vittoria avrebbe investito in forma straordinaria le forme dell’aggregazione collettiva. Il nostro partito non può e non deve rimanere a guardare quanto accade senza riflettere su questa esperienza e senza misurarsi con coraggio a quanto sta avvenendo intorno a noi. Ritengo che la sperimentazione fatta fino ad ora del modello del partito sociale, e del suo consolidamento ci dia degli elementi utili per questa discussione. Abbiamo detto che questo modello si afferma nell’incrocio tra un partito che si socializza e un sociale che si politicizza, e fino ad ora abbiamo detto e lavorato utilizzando le pratiche sociali come luogo di questo incontro. Qual’è l’utilità di questo processo rispetto al rapporto con le nuove forme della politca? Secondo me è data dal fatto che mette al centro il principio di cooperazione paritaria tra soggetti distinti e non distanti e non la riproposizione del solito schema tra le associazioni che fanno il sociale e i partiti che rappresentano il politico. Non fondersi pertanto con il movimento, ma cooperare con il movimento. La cooperazione delle pratiche in chiave neo mutualistica, del saper fare solidale, è un patrimonio potenzialmente politico ( basta pensare per esempio ai GAS ) oggi diffidente se non ostile rispetto alla politica. E’ anche vero però che questo movimento guarda con sempre più attenzione all’esperienza dei GAP e al loro modo originale di intervenire nella crisi che vivono le classi popolari. Ultimamente, in alcuni territori, si è cominciato a lavorare insieme confrontandosi ad esempio su proposte di legge regionali. Cosa ci dice questo esempio? Ci dice che la nostra credibilità con il popolo dei beni comuni non si misura più sul terreno della loro rappresentazione, ma sulla capacità di cooperazione sugli obbiettivi nei territori con essi. Una cooperazione tra pari che riconosce l’autonomia, all’interno della quale dobbiamo esercitare però il nostro punto di vista senza cadere nel “codismo”. In qualche modo dobbiamo essere capaci di misurarci nel lavoro in rete con il lavoro nella rete supportando ad esempio associazioni con un chiaro punto di vista anticapitalista. In questo scenario contano molto di più i contenuti che le retoriche, le pratiche delle etichette. Non è lontano il popolo dei beni comuni con il popolo degli indignados che in queste ore attraversa l’Europa, entrambi sfidano in maniera radicale il sistema, sfidano governi ed istituzioni europee ed il liberismo. Entrambi utilizzano la stessa modalità pacifiche e radicali di azione ( Gli indignados vogliono un referendum sull’austerity sul modello islandese), criticano il liberismo partendo dal terreno sociale e democratico, sviluppano autorganizzazione. Sbaglia, e di molto chi pensa che questi movimenti nascono sulla rete virtuale, essi sono invece un sedimentato di esperienze e pratiche che in questi anni, se non decenni, hanno contribuito a dissodare il terreno in cui agiscono oggi conflitto e progetto. Ritengo che il nostro compito, quello di un partito comunista del XXI secolo, che non ha ceduto a pentimenti e non ha rinnegato nulla della straordinaria storia della lotta di classe nel vecchio continente debba gettarsi senza esitazione nella mischia.

Compito nostro è quindi quello di favorire l’organizzazione nei territori di spazi pubblici di discussione e cooperazione di pratiche contro un capitalismo che per fame di profitto, privatizza i beni comuni e socializza la crisi che lui stesso ha provocato. Favorire insomma, un nuovo processo costituente che difende lavoro e beni comuni.
Ed è in questi spazi che secondo me, dovremmo discutere di come misurarci tra il nostro partito e movimenti sul nodo ancora tutto irrisolto della rappresentanza. Se vogliamo ragionare con i movimenti ed essere presi sul serio dobbiamo lavorare su questo nodo da ora. Con quali procedure trasparenti, con quali regole costruiamo insieme una nuova forma di rappresentanza tra la nostra organizzazione e i movimenti? Non quindi la candidatura sottobanco a pochi giorni dalle elezioni, tra un leader di un comitato o di un centro sociale che di fatto riproduce l’accordo tra vertici tipico del processo di americanizzazione della società. Ma quale processo per costruire nuova democrazia insorgente? Abbiamo la forza ed il coraggio per uscire dalle nostre stanze e misurarci con questa sfida? Non lo so, io però sono per provarci. Dopo la vittoria dei referendum davanti a tutti noi, le classi dirigenti europee e italiane, con la complicità di centro destra e centro sinistra europeo hanno alzato il muro della responsabilità nazionale. Tutti chiederanno al nostro popolo di pagare la crisi per rassicurare i mercati, tutti chiederanno sacrifici senza farne mezzo. A questo occorre saper rispondere con la massima radicalità, cominciando ad organizzare l’ottobre, partecipando a tutte le forme di conflitto che in questo momento attraversano il paese, dagli operai delle fabbriche in crisi ai no tav, dai precari della scuola alla lotta contro lavoro nero per l’accoglienza degna dei migranti. Cooperare per ricomporre senza cadere in facili slogan, essere umili nel rapporto con i movimenti, generosi come nessuno fa con l’indignazionione di massa contro l’austerity, utili nel quotidiano della tenaglia della crisi, radicati in quei luoghi dove la sinistra non esisteva più. Forse è la volta buona che Rifondazione si rifonda per davvero nella sfida aperta per il “comune” verso il comunismo. Io sono per provarci.

* curatore della newsletter www.controlacrisi.org

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *