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Il declino dell’America

Questa tematica risulta convincente (e con una certa ragione) per un grandissimo numero di persone, anche se bisogna far presente alcune precisazioni. Tanto per iniziare, il declino del paese è iniziato subito dopo aver raggiunto l’apice del potere dopo la seconda guerra mondiale, e l’eccezionale trionfalismo emerso alla fine della prima guerra del Golfo non era in gran parte che un auto-inganno.

Un altro tema ricorrente, almeno tra quelli che rifiutano di mettersi i paraocchi, è che l’America stessa è in gran parte responsabile del proprio declino. L’opera buffa rappresentata sul palcoscenico di Washington questa estate, che provoca il disgusto degli stessi cittadini della nazione e stupore nel resto del mondo, potrebbe non trovare analogie negli annali delle democrazie parlamentari.

Lo spettacolo ha però finito per spaventare perfino gli stessi sponsor della sciarada: le corporation stanno cominciando a preoccuparsi che gli estremisti che essi stessi hanno aiutato a piazzare nel Congresso potrebbero in realtà far crollare l’edificio su cui poggiano tutte le loro ricchezze e privilegi, cioè il potente stato-bambinaia che si prodiga a soddisfare tutti i loro interessi.

L’ascendente del potere delle corporation sulla politica e sulla società, specialmente in termini di potere finanziario, è arrivato a tal punto che entrambe le grandi organizzazioni della politica, che in questo momento rassomigliano solo vagamente a partiti politici nel senso classico della parola, si trovano infatti a destra della popolazione sui temi principali del dibattito politico.

Per i cittadini, la preoccupazione principale a livello nazionale è la disoccupazione. Nel quadro attuale quell’aspetto della crisi si può superare solo con un significativo programma di dispositivi fiscali per stimolare l’economia molto più vigoroso rispetto a quello messo in atto recentemente da Obama che ha appena coperto il calo della spesa pubblica a livello statale e municipale, mossa che per quanto modesta, ha probabilmente salvato milioni di posti di lavoro.

Per le istituzioni bancarie e finanziarie il deficit primeggia come preoccupazione principale, per cui solo di questo è lecito dibattere nel Congresso. Secondo un sondaggio congiunto del Washington Post-ABC News, una grandissima maggioranza della popolazione (72%) è a favore dell’idea di ridurre il deficit imponendo tasse agli ultra-miliardari. Sfavorevole ai tagli alla sanità pubblica è una grande maggioranza della popolazione (69% contro i tagli al Medicaid, programma di assistenza sanitaria agli indigenti, e 78% contro i tagli al programma Medicare, assistenza sanitaria ai pensionati). In tutta probabilità, saranno i desideri della netta minoranza a imporsi.

Scrivendo a proposito di un sondaggio effettuato dal Program on International Policy Attitudes (PIPA) che raccoglieva informazioni sulle soluzioni proposte dai cittadini per eliminare il deficit, il direttore Steven Kull afferma, “Chiaramente sia l’Amministrazione democratica che la Camera dei Rappresentanti sotto direzione repubblicana non sono sulla stessa frequenza con i valori e le priorità del pubblico per quanto riguarda il budget federale”.

Il sondaggio testimonia l’enorme divario che separa i cittadini dai politici, “ la più grossa differenza è che i cittadini erano a favore di grossi tagli alla difesa, mentre l’amministrazione democratica Obama e la Camera dei Rappresentanti sotto leadership repubblicana proponevano modesti aumenti in quel settore. I cittadini erano a favore di aumenti della spesa pubblica per programmi di addestramento al lavoro, istruzione e controlli ambientali mentre l’amministrazione Obama e la Camera dei Rappresentanti osteggiavano tali aumenti”.

Il “compromesso” finale –o più accuratamente, la capitolazione all’estrema destra, va contro il sentimento popolare in tutte le categorie, e quasi certamente porterà a un rallentamento della crescita come pure a danni nel lungo termine per tutti tranne che per i ricchi e le corporation, che stanno battendo i record di utili.

Non viene neppure preso in considerazione il fatto che, come ha dimostrato l’economista Dean Baker, si potrebbe eliminare il deficit se al sistema sanitario disfunzionale privatizzato venisse sostituito un sistema simile a quello di altri paesi industrializzati, che dimezzano i costi per capita e producono esiti uguali o migliori.

Lo strapotere delle istituzioni finanziarie e delle grandi imprese farmaceutiche rende poco praticabile la discussione di un sistema sanitario collegato in qualche modo allo stato, sebbene la sua attuazione altrove dimostri che non sia affatto un concetto utopico. Per ragioni simili, non entreranno mai nell’ordine del giorno altre opzioni economiche altrettanto sensate, quali una piccola tassa sulle transazioni finanziarie.

Nel frattempo c’è chi non la smette di elargire nuovi regali a Wall Street. La House Appropriation Committee (la commissione parlamentare che decide sugli stanziamenti di fondi) ha tagliato la richiesta di fondi della Securities and Exchange Commission, la principale barriera contro le frodi finanziarie ed è altamente probabile che neanche la Consumer Protection Agency riuscirà ad uscire indenne dai tagli.

Nella sua battaglia contro le generazioni future il Congresso si avvale anche di armi addizionali. Di fronte all’opposizione repubblicana alla protezione dell’ambiente, secondo quanto riportato dal New York Times l’American Electrical Power, una delle principali corporation nel settore energetico ha archiviato “il maggiore tentativo compiuto dalla nazione per catturare l’anidride carbonica prodotta da una centrale elettrica alimentata a carbone, sferrando un grosso colpo contro gli sforzi per far diminuire le emissioni responsabili per il riscaldamento globale”.

Mentre aumenta la forza di questi colpi auto-inferti, non bisogna pensare che si tratti di una recente innovazione. Se ne trova già traccia negli anni 70, quando la politica economica nazionale subì grandi trasformazioni, mettendo fine a quella che era stata comunemente chiamata “l’Eta dell’oro” del capitalismo (di stato).

Due importanti elementi di tale trasformazione erano stati la finanziarizzazione (cioè lo spostamento delle preferenze degli investitori dalla produzione industriale ai settori conosciuti con l’acronimo FIRE- finance, insurance, real estate, ossia finanza, assicurazioni, immobiliari) e lo spostamento della produzione industriale verso altri paesi con costi del lavoro minori, cioè l’offshoring. Il trionfo ideologico delle “dottrine del libero mercato”, come sempre altamente selettive, ha inferto ulteriori colpi tradotti in deregolamenti, regole di governance delle corporation che collegavano grandissimi premi per gli amministratori delegati agli utili conseguiti nel breve termine, come pure altre decisioni che imponevano politiche simili.

La conseguente concentrazione della ricchezza ha portato anche a una maggiore concentrazione di potere politico, accelerando un circolo vizioso che ha portato a ricchezze straordinarie per l’1% della popolazione, costituito principalmente dagli amministratori delegati delle corporation più importanti, i gestori di hedge funds e simili, mentre la larghissima maggioranza ha subito la virtuale stagnazione dei redditi reali.

In parallelo, i costi elettorali sono saliti alle stelle, ed entrambi i partiti si sono diretti a gran velocità verso le tasche delle corporation. Quel che rimane della democrazia politica è stata ulteriormente minato nel momento che entrambi i partiti hanno iniziato a mettere all’asta le posizioni congressionali di leadership. Come sottolinea l’economista Thomas Ferguson nel Financial Times, “I principali partiti politici hanno preso in prestito una pratica dei grandi magazzini che vendono prodotti in grandi confezioni tipo Walmart, Best Buy o Target. Unica tra le legislature dei paesi sviluppati, i partiti congressionali statunitensi adesso esibiscono il prezzo da pagare per occupare le cariche strategiche del procedimento legislativo.” I legislatori che contribuiscono la maggiore quantità di fondi al proprio partito ottengono la carica. Il risultato di tutto questo, secondo Ferguson , è che in Congresso nei dibattimenti “si ripetono all’infinito una manciata di slogan che hanno dato prova della loro efficacia e apprezzamento da parte dei blocchi nazionali di investitori e interest groups sui quali la leadership fa affidamento per ottenere fondi.” Che la nazione vada pure a farsi benedire.

Prima del collasso del 2007, le nuove istituzioni finanziarie sorte dopo l’Epoca D’oro (alle quali spetta pure gran parte della responsabilità del crollo) avevano ottenuto un potere economico sorprendente, più che triplicando la propria fetta di utili corporativi. Dopo il collasso, un certo numero di economisti incominciò ad indagare sulla loro funzione in termini puramente economici. Robert Solow, vincitore di un Nobel per l’economia, conclude che il loro impatto generale potrebbe essere negativo, “ I loro successi probabilmente contribuiscono poco o niente all’efficienza dell’economia reale mentre i loro disastri trasferiscono la ricchezza dai contribuenti fiscali agli operatori dell’alta finanza”.

Distruggendo quel che resta della democrazia politica, le istituzioni finanziarie gettano le basi per l’avanzamento di questo procedimento letale –purché le loro vittime siano disposte a soffrire in silenzio.

 

tratto dalla rivista In These Times, traduzione di Pina Piccolo

 6 agosto 2011-08-06

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