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Cgil al bivio finale. Si romperà la finzione unitaria?

Il quadro delle diverse posizioni appare davvero molto semplificato. Da un lato la Camusso e la sua orda di burocrati, fermamente intenzionati a “ricucire l’unità sindacale” con Cisl e Uil, per tre anni benedette da Maurizio Sacconi come organizzioni “complici” del governo e delle imprese. Dall’altra la minoranza “La Cgil che vogliamo”, confuso aggregato di funzionari trombati a fine carriera (Carlo Podda, ex segretario generale della Funzione Pubblica, per dirne solo uno), pezzi sparsi di delegati di varie categorie e la maggioranza Fiom.

Dal lato della Camusso c’è una chiarezza “strategica”. Il suo sindacato deve essere un “sindacato di mercato”, che non rappresenta gli interessi dei lavoratori (iscritti; gli altri interessano solo al momento della firma di un contratto, quando devono comunque pagare l’una tantum), ma una funzione di mediazione necessaria tra imprese e forza lavoro. La legittimazione ad operare viene dunque dalla “controparte” padronale e dal governo, non da coloro che dovranno subire le conseguenze degli accordi che questi “funzionari di una funzione” firmano. Stabilito questo, è facilmente comprensibile perché l'”unità sindacale” tra complici si una priorità: va occupata una posizione tale da rendere impossibile la costruzione o la crescita di sindacati dei lavoratori (quelli “di base”, in primo luogo), ma anche di possibili “sigle di comodo” che firmerebbero accordi al posto loro.

Una questione di “pane”, se ci è consentito dirlo, perché queste confederazioni elefantiache nutrono un esercito di “professionisti della mediazione sul lavoro” e se diminuissero iscritti e quote – come inevitabilmente avviene nella crisi e nei confronti di organizzazioni palesemente “vendute” – il crack organizzativo si tradurrebbe (si tradurrà) in uno “crisi sociale” di questo personale. Che avvenga ci sembra scontato: con tutto il rispetto del pluralismo anche finto, ma pezrché dovrebbero esistere te organizazioni sindacali che fanno esattamente la stessa cosa (firmare gli accordi che le imprese ritengono più adeguati alle proprie esigene)? Ne basta e avanza una sola, e anche molto “snella” nella dimensione. Al massimo, potranno sopravvivere i Caf e altri servizi a pagamento similari (peraltro sottoposti alla concorrenza anche privata).

Dal lato dei “resistenti” Cgil la chiarezza strategica è invece assente nell’insieme, assai deficitaria nelle “nicchie di pensiero” che fortunatamente esistono.

Dove va la loro strenua opposizione? Fin quando sarà loro concesso di esistere all’interno della Cgil? Ma soprattutto: se un sindacato generale dei lavoratori, espressione dei loro interessi immediati nel rapporto con gli imprenditori, deve esistere, è pensabile che possa venir fuori da una al momento impensabile “palingenesi della Cgil”?

A noi non sembra possibile. I segnali di “decimazione” punitiva della minoranza sono numerosi, vanno dall’indisponibilità delle strutture confederali per poter svolgere la propria attività al rispedire in azienda i funzionari che arrivano  fine mandato (rompendo la tradizione che li voleva “assunti” a titolo definitivo dalla stessa Cgil).

La crisi sta cambiando  il quadro generale dei rapporti tra impresa e forza lavoro. Qualsiasi sindacato, anche quelli di base, ci deve fare i conti. E’ tornato il momento delle scelte di chiarezza (si sta “dentro” il sistema di rapporti che la controprte impone o si dà battaglia per definirne uno nuovo in cui i lavoratori non siano semplicemente “una merce tra le altre”?). Ritardare la presa d’atto che la situazione è strategicamente cambiata rischia di produrre un solo risultato: lo sfilacciamento di un corpo militante di “sindacalisti operai” e di un know how costruito in un secolo di storia. Un regalo che i padroni e la craxiana Camusso non meritano davvero.

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Qui di seguito l’avvelenata nota di Gianni Rinaldini, coordinatore della minoranza “La Cgil che vogliamo”. sulle conclusioni del Direttivo nazionle della Cgil riunitosi il 9 settembre. Per conoscere la discussione lì avvenuta si può leggere l’articolo di Francesco Piccioni, da “il manifesto” e qui ripreso, “La Cgil ritorna in gabbia”.

 

Gianni Rinaldini
Scelte Cgil «gravi e sbagliate»

Durissima presa di posizione, all’indomani della riunione del Direttivo nazionale, da parte del Coordinatore nazionale dell’area programmatica «La Cgil che vogliamo», Gianni Rinaldini. «Le decisioni assunte dal Comitato direttivo nazionale della Cgil in riferimento al rapporto tra l’ipotesi di accordo interconfederale del 28 giugno scorso e il Decreto sul lavoro, previsto nella manovra finanziaria, sono sbagliate e gravi». Un giudizio non improvvisato e fondato su punti di merito rilevanti.
«Sbagliate. Perché non può coesistere il sostegno di Confindustria, Cisl e Uil ad un decreto che prevede la cancellazione del Contratto nazionale, del diritto del lavoro, la legittimazione dell’accordo Fiat, con un accordo unitario su democrazia e regole sindacali. È incompatibile l’approvazione del Decreto lavoro – anche grazie al sostegno fondamentale di Confindustria, Cisl e Uil – e la richiesta agli stessi soggetti di confermare l’applicazione di quell’ipotesi di accordo.
Un capolavoro di ipocrisia, dove la Confindustria e le altre organizzazioni sindacali portano a casa la legge senza conseguenze sul piano delle relazioni sociali». Era stata invece respinta la proposta – avanzata da «La Cgil che vogliamo» – di «sospendere la riunione del Comitato Direttivo per chiedere a Cisl, Uil e Confindustria, una posizione comune per il ritiro del Decreto dalla manovra finanziaria. Questo avrebbe permesso all’organismo dirigente della Cgil di decidere di conseguenza, senza alcuna forma di ambiguità. Devo constatare di avere male interpretato le affermazioni fatte durante le manifestazioni nel corso dello sciopero generale», dove la frase «”il Decreto o l’accordo sindacale” voleva dire “il Decreto e l’accordo sindacale”».
«Gravi. Perché il Comitato direttivo nazionale, a maggioranza, ha dato mandato alla segreteria di svolgere la verifica con Cisl, Uil e Confindustria sul fatto che si applica l’ipotesi di accordo sindacale del 28 giugno, e su questa base procedere alla firma. Come dire che è stata abolita la democrazia interna, cioè il voto vincolante degli iscritti alla Cgil come previsto dalle norme statutarie della nostra Organizzazione, perché a quel punto la consultazione dopo la firma è una colossale presa in giro, non rispettosa della dignità dei lavoratori.
Di fatto si vuole in questo modo imporre l’accordo del 28 giugno che non a caso non prevede il voto dei lavoratori e delle lavoratrici sui loro accordi. Non riesco a capacitarmi del fatto che si discute, si delibera, si decide sui contratti e sulla democrazia senza che i diretti interessati possano mai pronunciarsi e decidere liberamente. Una vera e propria deriva che può riguardare la stessa mutazione genetica della Cgil, visto che è stato perfino possibile fare un documento nel mese di agosto con tutte le forze sociali e presentarlo al governo, dove al primo punto è prevista la richiesta di inserire nella Costituzione il pareggio di bilancio, mentre il documento Cgil sulla contro-manovra dice esattamente l’opposto.
Nel Direttivo tutti hanno ritenuto opportuno di non parlarne».

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