La quale schiera, ci corre l’obbligo di far notare, risulta ormai composta dai “liberati” dalla presenza di Berlusconi tanto quanto dai suoi più pervicaci apologeti. Ormai manca solo Scilipoti. Ma siamo gente paziente…
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Quel che accomuna Monti e Berlusconi
Ermanno Rea
Non credo che il professor Mario Monti abbia commesso una semplice e comunque perdonabile leggerezza nell’accettare l’invito di Bruno Vespa a presentare la nuova manovra economica lacrime e sangue nel suo «salotto» televisivo Porta a Porta (addirittura prima che in Parlamento). Come non credo che il professor Mario Monti abbia tamponato la falla e mostrato ravvedimento spostando l’appuntamento con il medesimo talk-show di qualche giorno, dando la precedenza alle istituzioni. L’avvenimento fa rabbrividire (almeno me), perché mette a nudo quella carenza di sensibilità, quella superficialità, quell’inclinazione all’omaggio verso i più torvi cerimoniali del potere costituito che avevamo pensato sospese e messe in sonno, anche se soltanto provvisoriamente, dall’emergenza economica.
Era così difficile limitarsi a tenere una conferenza stampa in un luogo consono all’importanza e alla gravità delle rivelazioni da fare? Era così difficile tenersi alla larga da ogni forma di spettacolarizzazione e di melliflua mediazione televisiva? Invece no: il provincialismo codino e la storica incapacità tutta italiana a muoversi con la schiena sempre diritta hanno avuto ancora una volta la meglio. Forse, a pensarci bene, dobbiamo ringraziare il professor Monti per questa sua non accidentale, anzi rivelatrice caduta di stile: ci ha ricordato quanto siano fuori luogo certi entusiasmi, encomi e panegirici nei confronti della sua persona prodigatigli a larghe mani da stampa e televisioni. La sobrietà decisamente non è nelle nostre corde. Come mi è già capitato di scrivere, l’Italia è diventata soprattutto una produttivissima «fabbrica dell’obbedienza» e del conformismo.
Preciso che con questo mio legittimo sfogo non intendo affatto affermare che l’ «esperimento Monti» sia da boicottare, ma soltanto da seguire con distacco e grande spirito critico. La mia opinione, per quel che vale, è che il Presidente della Repubblica si è mosso con tatto e intelligenza, affidando l’incarico di primo ministro a colui che ha ritenuto essere il miglior economista di mediazione presente su piazza. Purtroppo, la nostra classe dirigente è quella che è, e se Monti è «er mejo fico der bigonzo» del liberalismo italiano, non dimentichiamoci che il fico peggiore, il più marcio, si chiama Berlusconi. Non può far meraviglia perciò che entrambi abbiano alla fin fine qualcosa in comune. Vespa, per esempio. Un nome che vale un marchio di fabbrica e una solida tradizione di sacrestia.
Non c’è niente da fare: siamo, e resteremo chissà fino a quando, il Paese della Controriforma.
Era così difficile limitarsi a tenere una conferenza stampa in un luogo consono all’importanza e alla gravità delle rivelazioni da fare? Era così difficile tenersi alla larga da ogni forma di spettacolarizzazione e di melliflua mediazione televisiva? Invece no: il provincialismo codino e la storica incapacità tutta italiana a muoversi con la schiena sempre diritta hanno avuto ancora una volta la meglio. Forse, a pensarci bene, dobbiamo ringraziare il professor Monti per questa sua non accidentale, anzi rivelatrice caduta di stile: ci ha ricordato quanto siano fuori luogo certi entusiasmi, encomi e panegirici nei confronti della sua persona prodigatigli a larghe mani da stampa e televisioni. La sobrietà decisamente non è nelle nostre corde. Come mi è già capitato di scrivere, l’Italia è diventata soprattutto una produttivissima «fabbrica dell’obbedienza» e del conformismo.
Preciso che con questo mio legittimo sfogo non intendo affatto affermare che l’ «esperimento Monti» sia da boicottare, ma soltanto da seguire con distacco e grande spirito critico. La mia opinione, per quel che vale, è che il Presidente della Repubblica si è mosso con tatto e intelligenza, affidando l’incarico di primo ministro a colui che ha ritenuto essere il miglior economista di mediazione presente su piazza. Purtroppo, la nostra classe dirigente è quella che è, e se Monti è «er mejo fico der bigonzo» del liberalismo italiano, non dimentichiamoci che il fico peggiore, il più marcio, si chiama Berlusconi. Non può far meraviglia perciò che entrambi abbiano alla fin fine qualcosa in comune. Vespa, per esempio. Un nome che vale un marchio di fabbrica e una solida tradizione di sacrestia.
Non c’è niente da fare: siamo, e resteremo chissà fino a quando, il Paese della Controriforma.
da “il manifesto”
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