Russia – Grande avanzata dei comunisti, si rafforza lo schieramento antimperialista
di Fausto Sorini, segreteria nazionale, resp. esteri PdCI
Fuori gioco le componenti liberiste filo-occidentali e filo-atlantiche
Con il 93,5% delle schede scrutinate questi sono i risultati: “Russia Unita” 49,7% ( -15%), PCFR 19,2% (+ 8%), “Russia Giusta” (sinistra di ispirazione genericamente socialdemocratica e patriottica) 13,2% (+5%), Partito liberal democratico di Zhirinovsky (nazionalisti di destra, anti-americani) 11,7% (+4%). I liberisti amici degli americani tutti insieme arrivano al 3,2%, non superano lo sbarramento elettorale (7%) e restano fuori dal Parlamento (Duma). L’affluenza alle urne e’ stata di circa il 60%. Nel 2007 aveva sfiorato il 64%. Il dato rilevante di queste elezioni, quello che l’imperialismo ed anche le forze filo-atlantiche di casa nostra non riescono a digerire, oltre allo splendido successo dei comunisti, è l’ennesimo rigetto da parte dei russi dei partiti liberali, liberisti e filo-occidentali, tanto esaltati dai nostri media. Non contano nulla. Oggi i comunisti e le forze di sinistra con maggiore sensibilità sociale rispetto alla condizione della parte più povera del Paese contano molto di più e possono incidere maggiormente sulle scelte complessive del governo russo, sia in quelle economico-sociali che di politica estera. Su queste ultime esiste peraltro una larga convergenza tra Putin e i comunisti. Le tendenze più “concilianti” con l’imperialismo (che in alcuni momenti era parso fossero interpretate almeno in parte dal presidente Medvedev) escono fortemente ridimensionate. Si rafforza la strategia “euroasiatica” che punta sull’asse preferenziale con la Cina, e sul consolidamento delle relazioni con i paesi del Medio Oriente, dell’America Latina e dell’Africa con una marcata collocazione antimperialista. Il presidente Medvedev ha telefonato ai leader dei quattro partiti che entrano nella Duma, prendendo atto del loro positivo risultato, augurandosi una collaborazione costruttiva “per il bene dei cittadini” e non escludendo accordi sulle questioni da affrontare. “Questo è il confronto parlamentare, questa è la democrazia”, ha dichiarato ai suoi interlocutori. Secondo calcoli preliminari i 450 seggi della Duma dovrebbero essere assegnati: a “Russia Unita” 235-240. Ai comunisti andrebbero oltre 90 seggi. “Russia Giusta” e liberaldemocratici nazionalisti dovrebbe ottenere circa 60 seggi per uno. Il partito di Putin, pur mantenendo la maggioranza assoluta dei seggi, perderebbe quella dei 2/3 che gli consentiva finora di introdurre modifiche costituzionali, che ora dovranno essere concordate con altri.
Il segretario del PdCI, Oliviero Diliberto, ha inviato al presidente del PCFR, Ziuganov, e al CC del partito un messaggio di congratulazioni.
Russia, un voto che non scalfisce lo zar
Enrico Piovesana – Peacereporter
Questi i risultati ancora non definitivi delle elezioni di domenica per la Duma russa: il partito putiniano Russia Unita scende dal 64 al 49 per cento (da 315 a 238 seggi), il Partito Comunista di Gennady Zyuganov raddoppia dall’11 al 20 per cento (da 57 a 92 seggi), i socialdemocratici di Nikolai Levichev salgono dall’8 al 13% (da 38 a 64 seggi) sorpassando i nazionalisti di Vladimir Zhirinovsky, che passano comunque dall’8 al 12 per cento (da 40 a 56 seggi).
Peacereporter ha chiesto un commento del voto a Giulietto Chiesa.
Putin perde voti ma non certo potere. Le opposizioni avanzano ma denunciano brogli. Come legge questo voto?
Queste votazioni sono state certamente pilotate in qualche misura, come lo sono sempre state in Russia. L’unico dubbio riguardava se Putin avrebbe scelto di avere più del 50 per cento o meno: stando ai dati ancora non definitivi rimarrebbe sotto la soglia della maggioranza assoluta. Ma non è ancora detto, potrebbe ancora salire. Secondo me sarebbe un errore del Cremlino quello di voler strafare. Come lo è stato quello di mantenere la soglia di ingresso alla Duma al 7 per cento, escludendo l’unica vera forza di opposizione a Putin, i liberali filoccodentali di Yabloko di Grigory Yavlinsky, che hanno preso meno del 4 per cento a livello nazionale ma con punte del 10 per cento nelle principali città.
Insomma, una Duma ancora docile strumento del potere putiniano?
La stampa occidentale che scrive che queste elezioni segnano una sconfitta di Putin, scrive una grossa stupidaggine. Questo voto, a prescindere dalle percentuali, conferma un parlamento russo ancora dominato dal partito di Putin, con due partiti di opposizione, ma opposizione leale, come comunisti e socialdemocratici, e uno strumento del Cremlino come sono sempre stati i nazionalisti. Le proporzioni di rappresentanza di queste forze sono state graduate secondo i desiderata dello stesso Putin: il partito comunista di Zyuganov, ad esempio, vale molto di più del 20 per cento che gli è stato assegnato sulla carta. Le forze che siedono nella Duma sono plurali ma comunque tutte accettabili per il Cremlino, in quanto producono una dialettica assolutamente ridotta e molto formale con il potere. Insomma: non costituiscono una minaccia.
D’altronde Putin si era già messo in tasca quel che voleva: la riforma costituzionale che gli permetterà di mantenere un potere incontrastato sulla Russia per i prossimi dodici anni.
Ma certo, è evidente! Infatti la prima dichiarazione postelettorale fatta ieri sera da un Putin sorridente, soddisfatto e perfino divertito, è stata: “Ora abbiamo garantito di fronte a noi un periodo di completa stabilità”. Il potere di Vladimir Putin rimane, come dicono gli inglesi, unchallanged, inattaccabile. Sarebbe bene che in Occidente si smetta di alimentare illusioni sul declino del potere putiniano, perché il risultato sarà quello di ottenere degli schiaffi in faccia.
Il rafforzamento dei due partiti di sinistra, che insieme passano da 95 a 156 seggi, non produrrà comunque una svolta ‘sociale’ della politica interna russa?
Una politica più sociale ci sarà, ma non perché c’è questa opposizione. E’ il contrario: alle opposizioni di sinistra è stato consentito di rafforzarsi in parlamento perché Putin e i suoi collaboratori, avvertono l’esigenza di una politica sociale più generosa che sarà il Cremlino stesso a promuovere. Anzi, lo sta già facendo con l’aumento dei salari e quello preannunciato delle pensioni. Provvedimenti che la Russia, in questa fase storica, può permettersi perché non è stata investita dalle crisi come lo è stato l’Occidente e perché gode della rendita delle risorse energetiche di cui è ricca. Nei prossimi anni la Russia avrà a disposizione grandi risorse finanziarie, che in minima parte verranno usate per politiche sociali più spinte che daranno maggior prestigio e maggior forza a Putin.
E sulla politica estera – euromissili, Siria e Iran – queste elezioni avranno qualche riflesso?
La posizione russa sulle prime due questioni è già chiara e molto ferma. La contesa con gli Usa e la Nato sul dispiegamento di missili ai confini occidentali della Russia non finirà a tarallucci e vino: su questo punto, Putin e i vertici militari russi non transigeranno e metteranno in atto tutte le contromisure a loro disposizione per impedirlo. Se gli Stati Uniti andranno avanti, addio a qualsiasi ipotesi di distensione. Stesso discorso vale per la Siria, anche se qui la veemenza russa è minore. La Russia non abbandonerà la Siria non solo per non perdere la sua base militare là, ma per mantenere la propria influenza nell’area mediorientale. I Russi non accetteranno un attacco militare occidentale contro la Siria come hanno fatto per la Libia. La questione iraniana suscita invece maggiore imbarazzo e difficoltà: “Rischiamo una possibile guerra nucleare ai nostri confini”, ha detto di recente il capo di stato maggiore delle forze armate russe, generale Makarov. Qui Mosca c’è preoccupazione ma non è chiaro quale sarà la reazione a un attacco israeliano contro le centrali nucleari iraniane.
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