Con la domanda di energia in crescita e le fonti di approvvigionamento in calo, stiamo di fatto entrando in una nuova era, l’«Era geo-energetica». E le dispute sulle risorse vitali domineranno gli affari internazionali nel prossimo futuro. Conflitti ed energia saranno ancor più legati fra di loro, dando sempre maggiore importanza ad alcuni punti geografici chiave.
Primo fra tutti lo Stretto di Hormuz, che già sta scuotendo il mercato dell’energia. Collega il Golfo Persico con l’Oceano Indiano e anche se non ha l’imponenza della rocca di Gibilterra o del Golden Gate, è probabilmente il passaggio più strategico del Pianeta. Ogni giorno passano attraverso lo Stretto di Hormuz 17 milioni di barili di petrolio, il 20 per cento del greggio consumato nel mondo. Così, appena un alto esponente del governo iraniano ha minacciato di bloccare lo Stretto come risposta a un’eventuale nuova tornata di sanzioni economiche da parte di Washington, il prezzo del petrolio è salito. Mentre le forze armate Usa hanno subito proclamato che avrebbero mantenuto lo Stretto aperto, le preoccupazioni degli analisti su una possibile crisi di lunga durata fra Teheran, Washington e Tel Aviv hanno gettato altre ombre sull’economia mondiale, già in rallentamento.
Lo Stretto di Hormuz, però, è solo uno dei molti punti caldi dove energia, politica e geografia sono intrecciati in un mix pericoloso. Vanno tenuti d’occhio soprattutto i mari cinesi, il Mar Caspio e l’Artico, ricco di idrocarburi e sempre meno coperto di ghiacci. In tutte queste regioni diverse nazioni si stanno disputando il controllo della produzione e del trasporto di energia e litigano su confini e diritti di passaggio. Le regioni chiave per la produzione, come il Golfo Persico, rimangono decisive, ma oro lo sono anche le strozzature come lo Stretto di Hormuz e quello della Malacca e le linee marittime di comunicazione, Slocs nell’acronimo inglese.
Lo si può già vedere nell’ultimo rapporto del Dipartimento della Difesa americano, presentato al Pentagono il 5 gennaio dal presidente Barack Obama e dal capo del Pentagono Leon Panetta. Mentre si immagina un corpo dei Marines più snello, il rapporto sottolinea con enfasi l’importanza delle capacità marittime e aeronautiche, specialmente quelle disposte a protezione delle reti mondiali per il commercio energetico. Nella nuova «Era geo-energetica» il controllo delle fonti di energia e il loro trasporto ai mercati sarà al centro delle crisi globali. Tre punti caldi sono da tener d’occhio in modo particolare: il già citato stretto di Hormuz, il Mar cinese meridionale, il Mar Caspio.
Lo Stretto di Hormuz è una stretta striscia d’acqua che separa l’Iran dall’Oman e dagli Emirati arabi uniti. È la sola via marittima fra il Golfo persico con i suoi giacimenti di petrolio e gas e il resto delmondo. Una notevolissima percentuale del greggio prodotto da Iran, Iraq, Kuwait, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati viene trasportato attraverso questo passaggio su base giornaliera. Per il dipartimento dell’Energia americano «è la strozzatura più importante per il petrolio a livello mondiale». Alcuni analisti hanno stimato che un blocco prolungato porterebbe a un aumento del 50% del prezzo del greggio e all’innesco di una recessione globale. È del tutto plausibile che gli iraniani mettano Washington alla prova. Ma può davvero l’Iran bloccare lo Stretto? Molti analisti ritengono che le dichiarazioni del ministro degli Esteri Mohammad al Ramihi e dei suoi colleghi siano un bluff teso a scuotere i leader occidentali, far crescere il prezzo del petrolio e strappare future concessioni se dovessero ripartire i negoziati sul programma nucleare. Ma le condizioni economiche in Iran stanno cominciando a diventare disperate, ed è sempre possibile che un leader estremista e disperato senta l’urgenza di qualche azione drammatica, anche a costo di una tremenda risposta Usa.
Il Mar Cinese meridionale è invece un parte semichiusa dell’Oceano Pacifico occidentale, delimitato a nord dalla Cina, dal Vietnam a Ovest, a Est dalle Filippine e a Sud dal Borneo. Il mare però comprende anche due grandi arcipelaghi praticamente disabitati, le isole Paracel e le Spratly. A lungo importante per la pesca, il Mar cinese meridionale incorpora anche un’importante via di comunicazione marittima fra Asia orientale, Medio Oriente, Europa e Africa. E più recentemente ha acquisito ulteriore importanza per la scoperta di giacimenti di petrolio e gas, con grandi riserve attorno alle Paracel e alle Spratly. Alcune delle isole nella zona ricca di idrocarburi sono rivendicate dalle nazioni confinanti, compresa la Cina, che ha mostrato la disponibilità di usare la forza militare per imporre il suo dominio nella regione. Inevitabili gli attriti con i vicini, alcuni alleati degli Stati Uniti. Il ministro degli Esteri cinese Yang Jiechi ha avvertito Washington a non interferire. Qualsiasi mossa «farebbe solo peggiorare la situazione e renderebbe più difficile una soluzione». È scoppiata una guerra di parole fra Usa e Cina. Durante una visita a Pechino, nel luglio 2011, il capo degli Stati maggiori congiunti, l’ammiraglio Mike Mullen ha espresso le sue preoccupazioni: «Il timore, fra i molti che ho, è che un incidente possa portare a conseguenze che nessuno aveva calcolato». Gli Stati Uniti hanno poi condotto massicce esercitazioni nel Mar cinese meridionale assieme a Vietnam e Filippine. La Cina ha risposto con sue manovre navali. Come nello Stretto di Hormuz, un incidente potrebbe portare a un confronto su larga scala.
Il Mar Caspio è uno specchio d’acqua interno delimitato da Russia, Iran e tre ex repubbliche sovietiche: Azerbaigian, Kazakhstan e Turkmenistan. Gli altri ex pezzi dell’Urss nella regione, Armenia, Georgia, Kirghizistan, lottano per scrollarsi di dosso la tutela di Mosca. Anche se non avesse immensi giacimenti di idrocarburi, il Mar Caspio sarebbe lo stesso l’epicentro di potenziali conflitti. Non è la prima volta che il Caspio è conteso in una lotta tra grandi potenze. Nel 1942 Hitler cercò disperatamente di impossessarsi dei pozzi di petrolio di Baku. Il fallimento fu l’inizio della sua disfatta. Ora, nuove scoperte di giacimenti, offshore questa volta, lo hanno riportato al centro degli appetiti.
Secondo il gigante petrolifero Bp, l’area del Caspio possiede riserve per 48 miliardi barili di greggio e 12 mila miliardi di metri cubi di gas. Più che le riserve di gas delle Americhe e quelle di petrolio dell’Asia. La Russia punta a diventare il distributore monopolista di queste ricchezze, attraverso la modernizzazione dei gasdotti sovietici e la costruzione di nuovi. L’Occidente ha lanciato un grandioso progetto, il Nabucco, per bypassarla attraverso Georgia e Turchia. La Cina ha firmato accordi con il Turkmenistan. Ma tutti questi gasdotti passano in aree segnate da conflitti etnici, secessioni territoriali, come quella dell’Ossezia del Sud, ribellioni islamiche come in Cecenia.
* La Stampa 12 gennaio 2012
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