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Russia: si distruggono i prodotti agricoli sotto embargo introdotti illegalmente

Che i russi non avessero accusato più di tanto la carenza di prodotti alimentari di provenienza UE, USA, Australia, Canada e Norvegia, posti sotto embargo un anno fa – misura poi prorogata di un anno – in risposta alle sanzioni statunitensi ed europee contro la Russia, poteva spiegarsi fino a oggi con l’ipotesi che, in ogni caso, l’acquisto di alcune “prelibatezze” sul mercato russo fosse appannaggio di una ristretta cerchia di popolazione e che la stragrande maggioranza dei cittadini avesse continuato, come prima dell’embargo, a privilegiare la produzione nazionale, più a buon mercato. Ora, si può desumere che ciò non fosse vero in assoluto: in qualche modo – una bustarella qui, un favore là, ecc. – molti di quei prodotti non avevano mai smesso di arrivare nei retrobottega dei gastronom russi e, in definitiva, le perdite accusate dai produttori occidentali a causa dell’embargo non dovevano essere così eccessive, tanto da convincerli a far pressione sui propri governi per la fine delle sanzioni anti russe e la conseguente revoca dell’embargo.

Questo è quanto, almeno a prima vista, si può desumere dalla decisione di Mosca di passare alle vie di fatto: “il processo di sostituzione dei prodotti importati è entrato giovedì in una nuova fase”, scriveva venerdì scorso Interfax; “dal fermo delle merci introdotte illegalmente e la loro restituzione ai mittenti, si è passati all’utilizzo dei macchinari pesanti: schiacciasassi, bulldozer, pressarifiuti, inceneritori”. Dopo l’ordine impartito il 29 luglio da Vladimir Putin, il via all’operazione è stato dato dalla regione di Belgorod (confinante con quella ucraina di Kharkov), con 9 tonnellate di formaggio sotto embargo passate sotto i rulli compressori e sotterrate. “Questo formaggio era stato confiscato a fine luglio nei pressi della frontiera con l’Ucraina” hanno detto a Interfax i commissari dell’Ispezione agricola regionale; “mancava qualsiasi marchio e dunque l’origine era sconosciuta. Del tutto possibile che il formaggio provenisse da uno dei paesi sotto embargo”. Stessa sorte è toccata nella regione di Orenburg ad altro formaggio prodotto in Lettonia, ma entrato in Russia dal confinante Kazakhstan. 20 tonnellate di prodotti caseari tedeschi sono stati inceneriti nella regione di Leningrado. E ancora, sono finite schiacciate dai bulldozer 40 tonnellate di pesche provenienti dal Marocco prive di documenti di accompagnamento; centinaia di chilogrammi di mele polacche; interi container di carne a Smolensk; colonne di camion con frutta e verdura nell’area di Brjansk; prodotti vegetali a Tver. Particolare scrupolo è stato dimostrato per la carne di maiale dalla Polonia, in cui sarebbe attiva la peste suina africana.

Il portavoce presidenziale Dmitrij Peskov ha inquadrato l’operazione nell’ambito più generale della lotta al contrabbando. Insomma, pare che un qualche mal di stomaco ai produttori occidentali sia in procinto di venire, a vedersi andare in cenere merci – oltre 370 tonnellate nei soli primi due giorni – accuratamente introdotte in Russia.

Ma nella Russia stessa sono in molti a dispiacersi per la decisione presidenziale: in una situazione di crescente (per dirla con un eufemismo) sofferenza sociale di qualcosa come quasi l’80% della popolazione, in cui le stesse statistiche ufficiali parlano di oltre 20 milioni di poveri, veder semplicemente distrutta quella grossa quantità di prodotti alimentari non fa certo piacere. E’ così che, al di là della petizione che oltre trecentomila persone hanno indirizzato all’amministrazione presidenziale, affinché tali prodotti vengano distribuiti alle persone bisognose e che lo stesso Peskov ha detto essere attentamente considerata, parole di disaccordo sono venute anche da sinistra, per non dire del silenzio di alcune voci solitamente pronte a far da megafono alle scelte presidenziali. Nella petizione si nota che “le sanzioni occidentali hanno causato un sensibile rincaro dei prodotti alimentari nei negozi”; come risultato “pensionati, veterani di guerra, famiglie numerose, invalidi e altre persone bisognose sono state costrette a limitare fortemente la propria alimentazione, fino alla fame. La distruzione dei prodotti richiede ora ulteriori spese, mentre della loro distribuzione potrebbero occuparsi organizzazioni di beneficenza, senza aggravi per il bilancio pubblico”.

E se il Ministro per l’Agricoltura Aleksandr Tkačev ha detto a Rossija 24 “La distruzione delle merci di contrabbando è una pratica in uso in tutto il mondo. Oltretutto, si tratta di merci di dubbia provenienza, di carni prive dei documenti veterinari e non possiamo rischiare la salute dei nostri cittadini, distribuendola, come proposto da alcuni, negli orfanotrofi o in altri istituti di assistenza”, il segretario del Partito comunista, Ghennaij Zjuganov ha definito “atto barbaro” la distruzione dei prodotti alimentari. “Io sono contrario” ha detto; “metà della popolazione vive con 15mila rubli al mese o anche meno e non ce la fa a pagare le spese comunali e a nutrirsi adeguatamente”. Secondo Zjuganov, invece di distruggere i prodotti introdotti in Russia in modo illegale, privi di documentazione o con bolle di accompagnamento contraffatte, questi potrebbero essere distribuiti a bimbi e anziani; “tutto è utilizzabile. Importante è farlo in modo efficace. Sul pianeta vivono 7 miliardi di persone; di essi, ogni sera 2 miliardi vanno a dormire affamati. La Russia, ogni 5 giorni invia aiuti alla Novorossija”.

Sovetskaja Rossija ha scritto che, proprio nell’anniversario della prima bomba atomica, il 6 agosto, “hanno decretato un’altra hiroshima sui prodotti importati”. “Un tale inasprimento dimostrativo della politica di Mosca” scrive il giornale “dice che la risposta russa alle sanzioni UE, a un anno dalla sua adozione, non ha dato i risultati attesi dal Cremlino” in termini di pressione dei produttori agricoli sui loro governi per l’abolizione delle sanzioni. “Ma già un anno fa, bastava ascoltare attentamente le dichiarazioni degli alti funzionari russi per capire che l’obiettivo dell’embargo non era esterno, ma interno, protezionistico. Le sanzioni occidentali sono state il pretesto ideale per Mosca tornare a erigere barriere per i prodotti agricoli stranieri, da cui a malincuore aveva dovuto rinunciare in forza dell’adesione all’Organizzazione mondiale del commercio”. E’ così che “dal 2012 si è cominciato ad aumentare attivamente l’uso di meccanismi non tariffari per proteggere i produttori nazionali, soprattutto quelli monopolistici”. Ma in un anno di embargo, “l’effetto tanto atteso non è venuto. E’ vero che l’agricoltura russa, sbarazzatasi di tutti i principali concorrenti, ha aumentato la produzione. Ma non nella misura, qualità e prezzi attesi”. Ecco che allora si è fatto ricorse a misure più energiche.

In sostanza, sembra dire Sovetskaja Rossija, la misura ora adottata non risponde che agli interessi dei monopolisti russi, nel quadro della politica del Cremlino dello sviluppo della nuova élite borghese russa, dei super ricchi in miliardi di $ e a scapito dei bisogni primari della stragrande maggioranza della popolazione. Ancora una volta, e oggi anche in Russia, per dirla con le parole di Karl Marx, nell’intervista a The World del 1871, “La classe operaia rimane povera in mezzo alla crescita della ricchezza; si trova in condizioni miserevoli in mezzo alla crescita del lusso”. 

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