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Irlanda. Perché dovremmo ripudiare il debito sovrano?

Il debito di decine di miliardi che ha portato questo Stato sull’orlo del baratro e ha causato l’inclusione nella lista nera dei mercati internazionali e assoggettato alle regole della UE e della FMI, non è il nostro debito. Non è un debito creato dalle spese per le scuole o gli ospedali o le strade; non è un debito accumulato dallo Stato per servire i propri cittadini: è il debito di un esiguo numero di imprenditori, uomini della finanza e i loro sostenitori politici – the Golden Circle – che è stato socializzato e imposto ai contribuenti e alle generazioni future del nostro popolo.

Il “debito odioso” è definito come debito sovrano, accumulato non per le esigenze del paese, ma per rafforzare il regime contrario agli interessi della nazione. Il debito accumulato dagli amici di Fianna Fáil [partito al governo], sostenuto dallo Stato, non è stato fatto nell’interesse della nazione, ma è servito a mantenere il regime durante gli anni della cosiddetta “Tigre Celtica”, di conseguenza è odioso.

Il punto di partenza nella costruzione di una economia che serva il popolo – e non un manipolo di capitalisti e finanziatori privati – è quello di rifiutare il debito e cercare altre fonti, compresi i fondi sovrani che finanzino una nuova Irlanda libera da questo fardello paralizzante.

Qualcuno lo ha mai fatto prima?

Ripudiare il debito non creerebbe l’apocalisse come alcuni cosiddetti esperti e politici vorrebbero farci credere. Infatti non è insolito per gli stati sovrani e in particolare per i nuovi governi, rifiutare il debito che il popolo crede illegittimo. Storicamente è stato fatto più volte, in diverse circostanze, senza le previsioni catastrofiche della visione dell’élite.

Nel 1776 gli Stati Uniti rifiutarono il loro debito all’Inghilterra.

Il Messico ha rifiutato alcuni pagamenti del debito e altri sospesi a causa di circostanze politiche ed economiche (1867, 1914-1942).

Dopo la guerra civile nel 1870 il governo degli Stati Uniti ripudiava il debito federale nei confronti delle banche sudamericane.

Nel 1898 Cuba ha ripudiato il debito che considerava odioso verso la corona spagnola.

Nel 1912 la Turchia, gravemente colpita da una crisi finanziaria, vince una causa presso la Corte Internazionale a sostegno del suo ripudio del debito alla Russia zarista.

Nel 1918 l’URSS ha ripudiato il debito zarista, in particolare quello accumulato per finanziare la Prima Guerra Mondiale.

Nel 1919 un nuovo governo del Costa Rica, considerati i debiti del precedente regime illegittimo, ha di conseguenza chiesto il loro annullamento, che è stato regolarmente autorizzato in un tribunale degli Stati Uniti.

Nel 1919 il trattato di Versailles esonera il nuovo stato polacco dal debito accumulato dalla Germania e scaricato sulla Polonia durante la prima guerra mondiale.

Nel 1930 quattordici paesi dell’America Latina ripudiano debiti privati, che ritenevano essere illegittimi.

Nel 1953 l’accordo di Londra annullava il 51% del debito tedesco accumulato durante la Seconda Guerra Mondiale, poiché si riteneva che il debito non dovesse ammontare più del 3,5% dei proventi delle esportazioni, questo annullamento è stato la chiave per la crescita dell’economia tedesca.

Dopo la rivoluzione del 1959, Cuba ha ripudiato il debito della dittatura di Batista.

Il governo del Sudafrica post-apartheid ha cancellato i debiti che il regime di segregazione razziale doveva a Namibia e Mozambico.

Nel 2002, in mezzo a una recessione e crisi politica causata da prestiti e politiche del FMI, il governo Argentino ha annunciato la più grande sospensione dei pagamenti sul debito in assoluto, pari a 80 miliardi di dollari; negli anni successivi l’economia argentina è cresciuta dell’ 8 e 9% annuo!

Sotto l’occupazione degli Stati Uniti e con il sostegno del presidente George Bush, il debito nazionale iracheno – stimato tra i 125 e i 300 miliardi di dollari- fu “rinegoziato” al ribasso di oltre l’80%.

Una varietà di paesi in differenti stadi di sviluppo, per una serie di ragioni e in circostanze diverse, hanno ripudiato tutto o parte del loro cosiddetto debito sovrano. A volte erano debiti generalizzati, altre volte correlati a prestiti specifici, ma tutti erano debiti illegittimi e non appartenevano al popolo.

Questo è un passo coraggioso ma necessario, che deve essere fatto se l’Irlanda vuole costruire un’economia democratica e sostenibile su cui avere il controllo. Quando questo passo è stato compiuto in altri paesi, ha avuto un effetto diretto e positivo sulla crescita economica.

Perché occorre riappropriarsi dei poteri fiscali ceduti alla UE?

Per costruire un’economia nella direzione determinata dai bisogni popolari e dalle potenzialità e i punti di forza del nostro paese, è di vitale importanza che lo Stato eserciti un controllo sovrano sulla politica fiscale.

La politica fiscale è essenziale per costruire una società giusta ed equa. Il controllo è essenziale per annullare le politiche ingiuste e antipatriottiche che favoriscono i ricchi, inflitteci per decenni e che hanno contribuito in modo significativo all’attuale bassa capacità finanziaria dello Stato. E’ anche la chiave per controllare l’inflazione.

E’ fondamentale riprendere il controllo sulla nostra moneta e non sottometterci più alla Banca Centrale Europea. La BCE ha favorito bassi tassi di interesse per facilitare l’esportazione di capitali dall’economia tedesca, che stava accumulando enormi eccedenze. Paesi periferici, come Irlanda, Portogallo e Grecia, sono stati inondati di capitali a basso costo, che hanno alimentato la bolla immobiliare a scapito di un’economia sostenibile. La Banca Centrale Europea continua ad agire nell’interesse delle economie tedesca e francese a scapito dei paesi più piccoli.

La capacità di uno stato di determinare le proprie politiche fiscali e le spesa è la chiave per influenzare e orientare sia la produzione che la domanda e quindi, costruire un’economia sostenibile.

Perché dovremmo nazionalizzare il nostro petrolio e gas?

Il Governo irlandese ha stimato un potenziale di € 560 miliardi di petrolio e gas nei mari d’Irlanda. Solo che tale potenziale non è di proprietà dello Stato irlandese.

Le nostre risorse e questa massa di denaro astronomica anche per gli standard odierni, sono in mano a privati. Così, mentre da un lato lo Stato si accolla il debito privato, dall’altro dà via le nostre risorse e il futuro.

Le compagnie petrolifere posseggono il 100% del petrolio e del gas che si trova nelle acque irlandesi. Non pagano diritti allo Stato irlandese. Deducono il 100% dei loro costi dall’imponibile fiscale. I loro utili sono tassati all’aliquota del 25%, a fronte di una media internazionale del 68%. Lo stato norvegese riceve più soldi dal nostro petrolio e gas, che noi.

Il denaro che potrebbe essere garantito attraverso la nazionalizzazione di queste risorse, potrebbero essere reinvestito nell’economia per lo sviluppo delle fonti di energia sostenibili e rinnovabili, creando posti di lavoro e affrontando il debito statale “legittimo”. Potrebbe anche essere utilizzato per costruire relazioni commerciali utili e reciprocamente vantaggiose a livello mondiale.

Perché dovremmo nazionalizzare le risorse marine?

L’apertura del Mare di Irlanda nell’ambito della politica sulla pesca europea, è costato miliardi in entrate allo Stato irlandese, privandoci delle risorse di cui avremmo oggi bisogno.

Le norme sono state deliberatamente progettate per estrarre una risorsa preziosa e per trasferire le entrate dai paesi periferici ai paesi centrali, come Germania, Belgio e Francia. E le quote del pescato, più recentemente introdotte, hanno lasciato l’Irlanda con una quota minore, nonostante il valore delle nostre risorse.

E’ stato stimato che l’assoggettamento dell’Irlanda a questa rapina è costata allo Stato più di € 200 miliardi che pesano ancor più ora in un momento in cui tutte le entrate sono necessarie per ricostruire l’economia. Piuttosto che essere un beneficiario netto dei fondi UE, come sostenuto, abbiamo rinunciato a molto più di quanto abbiamo ottenuto.

La politica dell’UE è uno spreco ed è ambientalmente insostenibile. Centinaia di migliaia di tonnellate di vita marina sono gettate in mare a marcire e molte specie ittiche sono sovra pescate.

E’ fondamentale nazionalizzare i nostri mari e la loro vita marina per lo sviluppo di un ambiente sostenibile che possa aumentare il nostro patrimonio essenziale e creare posti di lavoro di cui abbiamo molto bisogno.

Perché dovremmo instaurare una Impresa per lo Sviluppo nazionale?

L’economia irlandese è strutturalmente molto debole. Si è voluto fare affidamento direttamente sugli investimenti esteri, un settore finanziario gonfiato e accompagnato da bolle speculative in cambio delle nostre risorse nazionali, naturali e strutturali.

Tuttavia, vi è un enorme potenziale. Le risorse naturali dell’Irlanda dovrebbero essere utilizzate dallo Stato. Lo Stato dovrebbe investire e sviluppare in fonti energetiche rinnovabili e in tecnologie, quali l’energia eolica e il moto ondoso, per uso domestico e per l’esportazione. Lo Stato dovrebbe capitalizzare la crescente competenza in prodotti farmaceutici per sviluppare una società di proprietà statale.

Queste sono solo alcune delle potenzialità, da sviluppare in base a una pianificazione, che non possono essere lasciate alle forme irresponsabili e arbitrarie di investimento privato che abbiamo subito. I rapporti mostrano che durante gli anni della bolla, gli investimenti pubblici sono stati di gran lunga più produttivi del privato. Gli investimenti privati erano in gran parte inutili e speculativi.

Deve essere creata un’ Impresa per lo Sviluppo nazionale per la ricerca e la pianificazione delle aree di investimento più efficienti e produttive per il capitale. Collegandolo all’università, lo stato sarebbe in grado di utilizzare il talento e le idee della nostra popolazione istruita, a differenza di oggi in cui è il settore delle imprese a trarne profitto. Si dovrebbe cercare di sviluppare le aree di cooperazione transfrontaliera per lo sviluppo delle economie adiacenti, in un modo sostenibile per le persone in tutta l’isola.

Perché dovremmo istituire una Banca per lo sviluppo dello Stato?

Il salvataggio di istituzioni finanziarie insolventi e delle imprese è in aumento in termini di costo ogni giorno. Se aggiungiamo la ricapitalizzazione delle garanzie delle banche, il costo crescente di NAMA e i debiti in essere accumulati da queste istituzioni nazionalizzate dalla Banca Centrale Europea, il dato stimato si avvicina al mezzo trilione. Ed è assolutamente insolvibile.

Il denaro che è già stato pompato in queste istituzioni fallite, è uscito dal retro verso le banche tedesche, francesi e britanniche. Non è stato fatto nulla per aumentare il prestito o stimolare l’economia.

Abbiamo bisogno di creare una banca statale di sviluppo ben capitalizzato, sotto il controllo sovrano dello Stato, con una miscela di parti interessate (governi, lavoratori, piccole imprese e comunità) con rappresentanti e professionisti specializzati che compongono il suo Consiglio di Amministrazione. Ci sono soldi in questo paese e se la gente deve sopportare, sicuramente è meglio farlo con la consapevolezza che stiamo costruendo un’economia per il popolo. Potrebbe essere utilizzati i fondi pensionistici di riserva, e altre fonti interne diverse dall’UE e dal FMI.

Lo scopo della banca sarebbe quello di fornire credito alle imprese produttive e sostenibili, alle famiglie e ai singoli, quale servizio all’economia, piuttosto che come un settore in sé come è oggi. Agirebbe come creditore per le priorità economiche decise democraticamente e le aree di crescita. Opererebbe in collaborazione con la società per l’Impresa nazionale e finanziando le potenzialità e facendo crescere l’economia.

Perché dobbiamo combattere le privatizzazioni delle aziende partecipate?

Il governo ha sponsorizzato il famigerato economista Colm McCarthy per produrre un relazione che raccomanda la vendita dei beni dello Stato, includendo infrastrutture critiche e in attivo, come BSE, CIE, An Post, An Bord Gáis, Iarnród Éireann, Dublin Bus, tre autorità aeroportuali, dieci compagnie portuali, due stazioni televisive nazionali e altro ancora. Complessivamente la potenziale vendita riguarda ventotto aziende operative. Inoltre, prende in esame una serie di beni immateriali, come spettri radio, emissioni di carbonio e licenze rilasciate dallo Stato.

La revisione attualmente in corso non è un esame obiettivo di come rendere più efficiente o massimizzare le entrate per lo Stato: è un’operazione per vendere questi beni essenziali, come il suo mandato afferma chiaramente: “Considerare il potenziale del patrimonio del settore pubblico, compresi gli organismi statali commerciali, in vista dell’indebitamento dello Stato. “

Questo approccio alla svendita dei beni nazionali, non solo ha breve respiro, nel senso che si tratta di imprese partecipate in attivo che garantiscono entrate per lo Stato e forniscono servizi infrastrutturali fondamentali per le persone, ma è tanto più miope visto che i dollari in cambio si deprezzano in valore.

Dobbiamo respingere questo business e cercare di sviluppare e far crescere questo settore, come parte essenziale e redditizio dell’economia.

Perché i sindacati devono cambiare rotta?

I sindacati agiscono come “pompieri” nei casi di perdita dei posti di lavoro, tagli salariali, attacchi sulle pensioni, assalto generale alle condizioni di lavoro. I sindacati e i membri sindacali, devono invece combattere le cause dell’incendio.

I sindacati ed il più ampio movimento sindacale e popolare, devono iniziare a cooperare e mobilitandosi sulle cause politiche ed economiche da cui derivano i tagli e le perdite dei posti di lavoro. I sindacati devono affrontare le questioni nazionali del controllo sulla nostra economia e la direzione necessaria per la creazione di un’economia sana e sostenibile per i sindacalisti e la società.

I leader sindacali e i loro membri, hanno l’obbligo di condurre, mobilitare e guidare i sindacati in avanti. E’ solo una combinazione di leadership e di mobilitazione che è in grado di affrontare le cause della violenza sui lavoratori.

I sindacati hanno connotazione politica che devono esprimere. La domanda è: da che parte stanno? Nascondono la testa o vogliono guidare un movimento capace di sfidare l’istituzione e la costruzione di una società progressista per i suoi membri?

Perché dovremmo costruire un’alternativa politica per il popolo?

Non possiamo costruire un’ economia sostenibile e di lungo periodo sotto il dominio della UE e del FMI. Né possiamo farlo modificando alcune tasse qua e là o con il taglio di alcune spese o allungando il periodo di “violazione” del patto di stabilità. Per costruire un’economia serve il controllo e questa è una questione politica.

Le raccomandazioni fatte sin qui sono necessarie, nel loro insieme, per la costruzione di un’economia popolare, controllata a livello nazionale. Ma questo progetto troverà la resistenza da parte del Governo, da parte dell’UE e del FMI, delle grandi imprese, dei mass media e dall’establishment degli intellettuali ed economisti.

Per superare questa opposizione abbiamo bisogno di politiche in favore del popolo e di un movimento politico. E’ ora che il popolo si alzi e inizi a contare. E’ giunto il momento di compiere lo sforzo di costruire un movimento che lotti per i propri principi.

L’Unione Europea ha da tempo, nelle sue relazioni economiche esterne, agito in modo prepotente e predatorio nei confronti dei paesi più poveri, dettando accordi commerciali disuguali negli interessi delle sue multinazionali. Gli sviluppi recenti hanno evidenziato lo sfruttamento e i rapporti neo-coloniali tra paesi più forti e più deboli dell’Unione Europea. Questo è chiaro adesso, in relazione ai paesi ex-socialisti dell’Europa dell’Est e anche per l’Irlanda, ora che la bolla celtica è scoppiata. La decisione della Commissione europea di andare avanti con l’Irlanda è stata preceduta da un incontro privato tra i governi britannico, francese e tedesco, mostrando chi ha in carico l’Unione Europea.

 

da http://www.communistpartyofireland.ie/qa.html

Traduzione dall’inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

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