All’OIM (Organizzazione Internazionale Migrazioni), si transita per tornare a casa dopo un’avventura migrante fallita. Per i numerosi ospiti dei centri di Niamey c’è diritto a mezzo pane asciutto la mattina, qualcosa di decente verso il mezzodì e la cena frugale alle 18. Tra i pasti citati c’è chi mendica cibo attorno al quartiere in attesa che si realizzino le condizioni per la partenza. Probabilmente non tutto quanto è destinato ai migranti arriva a destinazione. In fondo gli impiegati non hanno torto. Anche i cittadini normali della città hanno fame e la prima migrazione della storia è quella dei piedi guidati dallo stomaco.
Ormai si sa. Le carestie del Sahel sono diversamente annunciate, apprezzate e vendute. Da ogni parte, alla faccia delle millantate tre N del rinascimento nigerino, i granai sono desolati e vuoti. Le tre enne, i Nigerini che Nutrono i Nigerini, funziona sulla carta dei ministeri e dei donatori di fondi del pronto intervento che arriva in ritardo. I sistemi di allerta precoce non mancano e neppure i rapporti che fanno della fame potenziale il loro ‘piatto forte’. Le carestie sono un sistema di controllo politico.
In uno di questi rapporti, stilato dal Comitato Inter-Statale di lotta contro la siccità nel Sahel (CILSS), si parla di oltre 7 milioni di persone minacciate dalla carestia nel Sahel e nell’Africa Ocidentale. La scarsa pluviometria, le cavallette, i conflitti armati, gli spostamenti di popolazione, la ricerca di pascoli per gli allevatori di bestiame e altri fattori contribuiscono alle carestie annunciate. Lo studio sulla vulnerabilità all’insicurezza alimentare delle famiglie in ambito rurale nel Niger, realizzata dall’Istituto Nazionale delle Statistiche, rivela che 2,67 milioni di persone si trovano in insicurezza alimentare. Ciò rappresenta il 14,5% della popolazione. Questo rapporto preliminare aggiunge che quasi 6 milioni di cittadini sono ritenuti ‘a rischio’e cioè in uno stato di fragile sicurezza alimentare. In alcune regioni la percentuale della popolazione in stato di insicurezza alimentare severa o moderata sfiora il 25%. Siamo in buona compagnia. L’ultimo rapporto mondiale sulle crisi alimentari ricorda che nel 2017 circa 124 milioni di persone hanno sofferto lo stesso.
Le carestie sono talvolta negate o taciute il più a lungo possibile. Sono poi da notare quelle create e infine quelle pubblicizzate come strumento di propaganda umanitario. Cicliche come un calendario immaginario delle stagioni. Sono invece e anzitutto il frutto di scelte politiche dei governanti. Nel Niger e in altri paesi come lui, ad esempio, è il 15 % del bilancio dello stato a essere devoluto alla sicurezza (dal terrorismo delle frontiere). L’educazione, contrariamente alle promesse presidenziali, invece del 25%, usufruisce di meno del 10%. Le scuole secondarie e le università, non casualmente, sono chiuse e l’anno ‘bianco’ non è dichiarato solo per timore di penalità. Alla giustizia, in stato fallimentare anche visti gli ultimi sviluppi della società civile decapitata con detenzioni illimitate e delocalizzate, si riserva l’1%. All’agricoltura e all’allevamento, cruciali rispetto alla nutrizione, rimane uno squallido 5,6%. Le crisi alimentari sono dunque quanto rimane della politica che sceglie di armarsi, organizzare lo spettacolo e pensare al futuro dei ricchi.
Ma è soprattutto alle politiche internazionali che dovrebbe rivolgersi lo sguardo di chi cerca di capire la non ineluttabilità delle crisi alimentari. Lo smantellamento dell’agricoltura famigliare, al meglio lasciata a se stessa.L’incuria delle reti di sostegno (strade ad esempio), la priorità alle industrie estrattive creano le condizioni per privilegiare interessi privati in terreni arabili. Il ricatto è politico nel senso che il cibo, arma temibile, si negozia coi politici per la gestione e distribuzione che si adeguano alle alleanze politiche del momento. Dimmi cosa non mangi e ti dirò chi che partito sei. Le carestie sono, da sempre, un ricatto politico.
Niamey, maggio 018
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