La “shock economy” in Europa non funziona
di Costantinos Dimoulas** Panteion University, Atene
Mentre l’economia greca è sconvolta dal quinto anno consecutivo di recessione e la riduzione del suo prodotto interno lordo – a causa delle misure di «austerità» imposte al paese dalla troika – ha superato il 17%, si sta verificando una catastrofe sociale senza precedenti.
Il tasso di disoccupazione ha oltrepassato il 21%, il che significa che in un paese con meno di 11 milioni di abitanti e una forza lavoro inferiore a 5 milioni, oltre 1.200.000 persone non riescono a trovare nemmeno un lavoro part time che gli permetta di guadagnare 400 euro al mese, e tra queste soltanto il 30% ha diritto, per un periodo massimo di 12 mesi, al povero sussidio di disoccupazione di 300 euro.
Inoltre, per le stesse ragioni, il paese sta assistendo alla distruzione dei servizi sociali (sanità, istruzione, assegno di disoccupazione, assistenza pensionistica e sanitaria) e i poveri (pensionati, disoccupati e sottopagati) sono costretti a pagare di tasca propria i farmaci e le cure mediche, oltre alla fornitura di elettricità (acqua etc.), proprio mentre la compagnia Greek Petroleum ha annunciato di aver aumentato del 5% i suoi profitti e la Banca Piraeous del 18% circa.
Il 29 maggio scorso le autorità economiche europee hanno annunciato il trasferimento di 18 miliardi di euro alle quattro principali banche private greche, le quali controllano oltre il 70% del settore bancario ellenico e le cui azioni sono detenute in maggioranza da fondi europei privati e istituzionali, per aumentare la loro adeguatezza patrimoniale. In questa misura di assistenza finanziaria europea non sono invece state incluse le due banche pubbliche del Paese.
Il giorno successivo (il 30 maggio) l’Agenzia nazionale per la salute (Eoppy) ha annunciato di non essere in grado di rimborsare ai farmacisti i soldi che deve a questi ultimi per i medicinali prescritti.
Nel frattempo i funzionari dell’Unione europea e i loro protettori (speculatori, banchieri e leader politici) fanno a gara a chi spaventa di più il popolo greco, affinché non voti contro i partiti che hanno sottoscritto le misure di «austerità» e quelle previste dal Memorandum, in cambio della liquidità accordata con nuovi prestiti al settore bancario ellenico. Un memorandum – sottoscritto da Nuova democrazia, Laos e Pasok – che invece di favorire il ri-orientamento produttivo dell’economia greca riducendo l’enorme evasione fiscale della quale beneficiano gli operatori medio alti e gli intermediari, cancella almeno il 30% dello stipendio annuale dei lavoratori e delle classi medio-basse, annulla gli standard del contratto collettivo mentre l’inflazione avanza al ritmo del 4-5%.
Si pretende inoltre che i lavoratori paghino a caro prezzo beni e servizi di prima necessità e di tasca propria i servizi sociali, nonostante sborsino già contributi assicurativi altissimi, così come alta è la tassazione sul reddito e l’Iva a cui sono sottoposti.
Ma c’è di più dietro queste misure punitive: il tentativo è quello di far sentire colpevole il cittadino greco se non riuscirà – a qualsiasi costo, per sé e per la sua famiglia – a restituire, ad alti tassi d’interesse, i debiti che le sue classi dirigenti hanno contratto per importare dalla Germania, dall’Olanda e dall’Italia merci che hanno spazzato via dal mercato interno i prodotti greci e danneggiato le sue prospettive produttive e di impiego.
Le classi dominanti europee e greche, il cui dominio si basa su patrimoni finanziari immateriali, sanno molto bene che nel contesto capitalistico la riformulazione dell’economia europea presuppone la distruzione delle classi medie che si sono sviluppate nel secondo dopoguerra e la degradazione dei servizi pubblici e di quelli sociali. Quale migliore e inevitabile soluzione per l’enigma greco provano dunque ad applicare la scelta del «letto di Procuste», ribattezzata per l’occasione Financial assistance facility agreement.
Secondo questo accordo, il popolo greco deve pagare più denaro ai suoi creditori (oltre 35 miliardi di euro ogni anno per i prossimi 30 anni) e meno per salari, pensioni e misure assistenziali. Salari e pensioni, secondo l’accordo, vanno corrisposti solo dopo che i creditori hanno ottenuto le rate dei loro rimborsi.
In passato una parte di questi prestiti, che andava ad alimentare i consumi, garantiva il consenso delle classi medie al progetto dell’area euro, anche se la maggior parte di quel denaro serviva per riprodurre il privilegio dell’élite politica e della borghesia compradora e finanziaria.
Negli ultimi vent’anni il paese si è trasformato in un’economia di servizi basata sul turismo e sul commercio e il popolo greco, a causa dell’euro forte, ha perso una porzione importante della sua capacità produttiva, ma non dei suoi valori umani. Nonostante le élite europee e nazionali gli chiedano di accettare il destino di diventare vassalli, i greci resistono seguendo i loro sentimenti di libertà e le loro aspirazioni a una vita dignitosa. Proprio questa prospettiva alternativa rappresenta ciò che le élite europee temono di più, perché può dare l’avvio a una catena di cambiamenti radicali in tutta l’Europa.
Il voto del 6 maggio scorso ha rivelato che l’applicazione della dottrina dello shock, descritta in maniera autorevole da Naomi Klein, non è applicabile all’Europa, dove la memoria storica e la cultura democratica, invece di essere cancellate, risvegliano la coscienza libertaria dei popoli.
Le ultime elezioni in Grecia hanno dimostrato che l’Europa sta dando l’addio all’era neoliberale. Ma questa prospettiva non è ancora sicura, perché siamo in un equilibrio precario in cui – come direbbe Antonio Gramsci – «il nuovo non è ancora nato e il vecchio resiste».
È per questo che in Grecia molte aziende stanno distribuendo ai loro dipendenti dei questionari che chiedono in quale paese preferirebbero trasferirsi per lavorare, nel caso Syriza diventasse il partito di governo dopo le elezioni del prossimo 17 giugno. È per questo che in tutta Europa le classi dominanti stanno utilizzando il loro arsenale per terrorizzare il popolo greco e convincerlo a non votare contro i partiti che hanno sottoscritto la violazione della sua esistenza dignitosa.
Questa testimonianza dall’anello debole della catena europea si trasmetterà all’Europa progressista, spingendo verso la legittimazione di un governo europeo autorevole e reattivo. O siamo diretti verso la disintegrazione e il rafforzamento dei nazionalismi?
La risposta non «soffia nel vento», ma nei sentimenti dei popoli e nella loro aspirazione a una vita dignitosa.
Un commento di un lettore:
E’ vero ! E’ necessario oggi che i lavoratori dipendenti, i pensionati, i lavoratori precari e sotto occupati e i disoccupati si rendano conto che è pura follia appoggiare o eleggere un governo liberista o composto dai medesimi politici o aree politiche che hanno condotto la popolazione europea nell’attuale disastrosa situazione : lo è in Italia, lo è ancora di più in Grecia ….
In Grecia le prossime elezioni politiche sono forse l’ultima occasione a disposizione del popolo greco per salvarsi, come lo sono le elezioni del 2013 per gli Italiani ….
Se non si riesce ad imprimere una svolta radicale in queste due occasioni, ci avvieremo verso la distruzione totale dei diritti dei lavoratori e dello stato sociale …..
13-06-2012 14:44 – L’ultima occasione
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«Se vince ma non può formare un governo si torna nelle strade» –
Intervista di Michelangelo Cocco a Stathis Kouvelakis, docente di Teoria politica al King’s College di Londra
da “il Manifesto” del 13.06.2012 – Eurocrack
ATENE – Se Syriza vincerà le elezioni di domenica prossima ma non riuscirà a formare un governo, i Greci torneranno a occupare le piazze del Paese per raggiungere quello che è ormai l’obiettivo di un intero popolo: la cancellazione immediata dei memorandum che stanno gettando nella povertà il Paese.
Stathis Kouvelakis, docente di Teoria politica al King’s College di Londra (ad Atene per dare il suo voto alla coalizione della sinistra radicale) è convinto che la mobilitazione popolare svolgerà un ruolo decisivo nelle prossime settimane.
Come è cambiata Syriza dopo il 6 maggio scorso?
Subito dopo le ultime elezioni, sono sbocciate assemblee locali in tutti i quartieri e le città del Paese. In queste sedi attivisti locali, quadri e leader discutono assieme alla popolazione. Queste “strutture” rappresentano un’anticipazione di ciò che la coalizione della sinistra radicale mira a diventare: un’aggregazione con al suo interno una convergenza più ampia di forze popolari e sociali. Syriza è alla ricerca dell’equilibrio tra la sua forza elettorale, cresciuta vertiginosamente con l’ultimo voto, e la sua struttura, rimasta quella di quando rappresentava il 5% degli elettori.
Cosa c’è in comune tra l’esperimento di Syriza e la Rifondazione comunista di Bertinotti? L’idea di Bertinotti di connettersi con i movimenti sociali post Genova assomiglia a ciò che Syriza prova a fare fin dalla sua nascita (nel 2004, ndr). La differenza – e si tratta di un elemento decisivo – è che ora Syriza, in una situazione di crisi sociale e politica generalizzata, si propone come asse portante di una soluzione di governo. È una cesura netta con l’intera cultura della sinistra: Syriza non considera più il suo ruolo solo come un’estensione dei movimenti sociali, una forza d’opposizione all’interno della società, ma lo vede come egemonico (in termini gramsciani), si propone come forza portante per condurre la società in una direzione alternativa, per evitare che continui il disastro che è sotto gli occhi di tutti.
Quali sono le contraddizioni e le differenti agende politiche che potrebbero indebolire Syriza? Syriza è un’organizzazione estremamente pluralistica, che in passato ha sofferto molto a causa dei conflitti al suo interno. Ma da quando gli elementi più di destra sono usciti e hanno dato vita alla Sinistra democratica, è diventata più coerente e coesa. La questione cruciale che – anche attraverso dichiarazioni contraddittorie – è emersa all’interno di Syriza dopo le elezioni del 6 maggio, è quella della condanna dei memorandum: bisogna agire unilateralmente, cancellando le politiche di austerità concordate con la Troika dai governi precedenti e rinegoziando il debito partendo da zero, oppure mettere in campo un approccio “negoziale”, evitando atti unilaterali, cercando di migliorare le cose facendo leva su possibili spazi di manovra, sulle contraddizioni interne all’Ue, sulla vittoria di Hollande in Francia? C’è stato un aspro dibattito al termine del quale all’interno di Syriza e di Synaspismos (il partito più grande della coalizione, ndr) è prevalsa la linea dello “scontro”, quella che Tsipras sta ripetendo: cancellazione dei memorandum – attraverso un atto del Parlamento – come atto fondante di un eventuale governo di Syriza. Sul debito l’obiettivo è quello, possibilmente attraverso il negoziato, di una sua ristrutturazione, netta e giusta.
E i governi europei?
Nessun governo europeo, nemmeno quello francese di Hollande, è pronto ad accettare una denuncia unilaterale dei memorandum da parte della Grecia. Se la coalizione della sinistra radicale vincerà ma non riuscirà a dare vita a un esecutivo, saranno necessarie nuove forme di intervento popolare. Le politiche dei memorandum ormai sono respinte dalla stragrande maggioranza del popolo greco, anche da tanta gente che ha votato per gli altri partiti, e Syriza deve diventare lo strumento per rendere concreta l’aspirazione popolare alla loro cancellazione. Se Syriza non ce la facesse, la coalizione di forze politiche e sociali che è cresciuta negli ultimi due anni rischierebbe di disintegrarsi. Per evitarlo, è necessaria l’azione diretta da parte della gente nelle strade – così come abbiamo fatto nella primavera 2011 occupando le strade e le piazze del Paese -, per spingere le forze politiche a dare vita a un esecutivo che abroghi immediatamente i memorandum.
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Tsipras parla da premier
di Argiris Panagopoulos
da “il Manifesto” del 13.06.2012 – Eurocrack
ATENE – Syriza e l’unità delle sinistre possono battere le politiche dei Memorandum e proporre un programma per la ricostruzione economica e sociale del paese all’interno dell’Europa.
Questo ha sostenuto ieri il leader di Syriza, Alexis Tsipras, nella sua ultima intervista generale prima delle elezioni di fronte a centinaia di giornalisti greci e stranieri.
L’interrogatorio fiume a cui si è sottoposto ieri il leader di Syriza ha mostrato la determinazione di Tsipras a prendere le redini del paese per portarlo fuori dalle politiche distruttive dei Memorandum e della troika.
Tsipras ha fatto un discorso di sinistra. Ha risposto ai ricatti dei neoliberali, che coltivano la paura, parlando per la società reale, per i poveri e i disperati, per l’esercito dei disoccupati che non potranno trovare mai più un lavoro dignitoso, per i giovani messi all’angolo della società e costretti ad emigrare.
Ha cercato di riscattare ieri i Greci dalla distruzione delle loro vite prospettata da Samaras e Venizelos, attaccando il nocciolo duro delle controriforme che ha imposto la troika.
Si è impegnato per il ripristino dei contratti collettivi nazionali e per i diritti dei lavoratori cancellati, per il ritorno del salario minimo ai livelli prima del forte taglio della troika, per l’abolizione delle supertasse sulla casa per gli disoccupati, i poveri e quelli con redditi bassi e medi e per la cancellazione parziale o totale dei debiti delle famiglie in difficoltà alle banche.
Per Tsipras è arrivato il momento che i ricchi paghino la crisi e che finiscano di succhiare il denaro pubblico. E che i ministri e i politici corrotti rispondano alla giustizia per le loro malefatte.
Per il leader di Syriza il saccheggio del paese finisce domenica, e lunedì comincia la sua ricostruzione.
Tsipras non ha avuto il tempo di finire la sua intervista che subito è arrivata la dura reazione della Nuova Democrazia e del Pasok, che hanno denunciato per l’ennesima volta che Syriza porterà la Grecia fuori dall’Unione Europea e dall’euro.
Samaras avverte il pericolo della sconfitta dai sondaggi, mentre nel Pasok cresce il nervosismo per il pericolo di un nuovo crollo di consensi a una percentuale a una sola cifra.
Venizelos ha ammesso che non è possibile un governo senza Syriza, perché la pressione sociale lo travolgerebbe.
Il leader dell’estrema destra di Laos, Karatzaferis ha alzato il tiro sostenendo che anche se Nuova Democrazia e Pasok formeranno un governo, Syriza non lascerà loro un giorno di pace ad Atene.
I partiti dei tagli ND e Pasok hanno fatto male anche il loro calcoli per l’amministrazione delle tasse, visto che si aspettavano di vincere le elezioni a maggio, e rimandare a dopo le dure tasse che deve pagare la gente sui redditi, gli immobili e su qualsiasi cosa si possa tassare.
Con le casse dello Stato vuote, il governo ad interim è stato costretto a far pagare negli ultimi giorni parte delle tasse sugli immobili e la prima partita di tasse su 420.000 dichiarazioni sui redditi.
A parte le ingiuste tasse sugli immobili, dove ogni proprietario deve continuare per un secondo anno a pagare una specie di affitto per la sua stessa casa, il secondo Memorandum prevede anche la tassazione dei disoccupati, la tassazione per la liquidazione per il licenziamento, e la tassazione di chi ha redditi anche più bassi rispetto ai livelli di povertà considerati dalla stessa Unione Europea.
Il Memorandum che hanno firmato Samaras e Venizelos prevede che le agenzie di tasse possano confiscare beni immobili e mobili, come case o macchine, per chi ha debiti nei confronti dello Stato che superano i 300 euro. Con la stessa facilità, le agenzie di tasse passano a riscuotere direttamente dai conti bancari della gente o dalle pensioni, quando si tratta di pensionati.
(Traduzione di Michelangelo Cocco)
da “il Manifesto” del 13.06.2012 – Eurocrack
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