Nelle elezioni presidenziali islandesi risulta rieletto il Presidente uscente, Ólafur Ragnar Grímsson, che ottiene il 52,78 per cento dei voti. La sua principale avversaria, Þóra Arnórsdóttir, è ferma al 33,16; gli altri candidati ottengono tra l’1 e l’8,6 per cento dei voti. La partecipazione al voto è stata quasi del 70 per cento.
La rielezione di Ólafur Ragnar può essere considerata una buona notizia: sebbene non sia esente da responsabilità per la crisi, avendo contribuito ad avallare i “successi” economici delle coalizioni che hanno portato l’Islanda alla bancarotta, ha però dimostrato grande apertura e correttezza politica nei confronti dell’impetuoso movimento popolare che negli ultimi anni ha imposto le dimissioni del vecchio governo rivendicando soluzioni alternative. Inoltre Ólafur Ragnar non ha mai nascosto le sue perplessità nei confronti della proposta di aderire all’Unione Europea. La sua figura storica è quella di un vecchio comunista, resosi indipendente dai partiti politici con la sua prima elezione a Presidente (nel 1996) e che a lungo si è adagiato nella sua carica, ma che di fronte al terremoto economico e politico degli ultimi anni ha ripreso una certa libertà di pensiero e capacità d’iniziativa.
Paradossalmente però, stando ai sondaggi delle ultime settimane, Ólafur Ragnar avrebbe raccolto il voto soprattutto dell’elettorato dell’opposizione di destra, mentre il voto dei sostenitori del governo di centrosinistra sarebbe andato in prevalenza a Þóra. La ragione non è solo l’immagine “nuovista” di Þóra, donna giovane, neomamma, giornalista televisiva mai impegnata in politica, ma soprattutto la sua posizione favorevole a una neutralità politica del presidente, che non interferisca in alcun modo con le dinamiche del parlamento e del governo. E ora nel parlamento la maggioranza sostiene un governo di centrosinistra egemonizzato dall’Unione socialdemocratica cui partecipa anchela Sinistra Verdecon esponenti della sua componente più moderata. L’Unione spinge fortemente per l’adesione all’Ue e questo è uno dei temi cruciali della politica islandese.La Sinistra Verdesarebbe contraria, ma non può dirlo troppo forte per non indisporre l’alleato egemone. Þóra non ha mai svolto un’attività politica propria, ma viene da una famiglia di solida tradizione socialdemocratica e prometteva di restare politicamente neutrale; per “non disturbare il manovratore” sarebbe stata la candidata ideale. Per alcune settimane Þóra è stata addirittura in testa ai sondaggi sulle intenzioni di voto, grazie alla sua immagine di persona gentile, colta ed estranea ai giochi della politica. Quando però la campagna elettorale è entrata nel vivo, gli argomenti di sostanza hanno prevalso e hanno ribaltato i primi pronostici. Il risultato di queste elezioni, quindi, può essere letto alla luce non tanto della classica contrapposizione sinistra/destra, quanto dell’adesione o no all’UE e, sia pure in grado minore, dell’apertura o indifferenza rispetto alle istanze dei movimenti.
Il movimento islandese però, dopo alcuni anni sulla cresta dell’onda, ora si trova in difficoltà. La nuova costituzione non è ancora stata varata, la situazione economica migliora ma con lentezza, le riforme sono modeste, la sfiducia nei confronti del governo e del parlamento è diffusa ma le nuove organizzazioni politiche, Hreyfingin (il Movimento) e Beztu Flokkurinn (il Partito Migliore) rappresentano più che altro istanze piccolo-borghesi.La Sinistra Verdeè divisa e durante le vacanze di natale è stato estromesso dal governo il suo esponente più radicale, Jón Bjarnason, fautore di una redistribuzione abbastanza incisiva delle quote di pesca e pubblicamente ostile all’adesione all’Ue. Sondaggi recenti indicano che, se si tenessero ora le elezioni politiche, probabilmente vincerebbe il Partito dell’Indipendenza (conservatore). È il partito che ha maggiori responsabilità per la gestione
corrotta delle banche che ha causato il crollo dell’economia islandese, ma non sarebbe la prima volta che un governo di centrosinistra subordinato alla borghesia si scava da sé la fossa deludendo le aspettative popolari – con l’aggravante, in questo caso, di insistere a cercare l’adesione all’UE, le cui politiche draconiane sono ben note.
Ci sono speranze di una ripresa della “rivoluzione islandese”? Forse sì. In ottobre si terrà il referendum sulla nuova costituzione, elaborata con la partecipazione diretta della popolazione (una nuova costituzione che le destre hanno cercato in ogni modo di osteggiare). La recente riforma delle quote di pesca, approvata dal governo di centrosinistra, per quanto preveda ridistribuzioni molto modeste e graduali, ha già suscitato una serrata da parte degli armatori (e manifestazioni popolari contro gli armatori). I motivi di conflitto non mancano. Ma se il movimento popolare antiliberista non trova modo di esprimersi anche in forme organizzate politicamente (diciamo, per semplificare, una qualche specie di Syriza islandese dotata di un programma adeguato) sarà inevitabile che la borghesia e i suoi partiti politici riprendano il sopravvento.
* Il Megafono Quotidiano 2 luglio 2012
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