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Il messaggio che viene dalle piazze europee in lotta


Diverse città europee hanno visto sfilare in questi giorni manifestazioni di protesta contro la crisi e le politiche economiche dei governi e della BCE. 
Con modalità ed intensità diverse da paese a paese l’Europa è attraversata da movimenti di protesta contro le politiche di austerità e tagli promosse da governi subordinati alla BCE .

La portata dell’attacco da parte della leadership economica e finanziaria europea si dispiega in maniera più intensa nei paesi che costituiscono la periferia dell’Unione Europea. Ma anche all’interno dei paesi della fascia mediterranea la reazione da parte della classe lavoratrice e dei settori popolari che vengono via, via impoveriti continua manifestarsi in maniera differenziata.

In Italia livello di risposta fatica ancora a costituire una efficace reazione , nonostante le lotte generose che si sono sviluppate, ma che nella maggior parte dei casi sono rimaste legate al territorio, è il caso dell’Alcoa, prima ancora di Termini Imerese, ed ora dell’ILVA. Queste lotte necessarie ed importanti come l’azione costante fatta di scioperi generali e di innumerevoli iniziative promosse dall’USB non hanno trovato uno sbocco di carattere più generale ed una risposta di massa.

Nonostante la profondità dell’attacco che ha portato, il Governo Monti sta lavorando in un clima di malessere e non di conflittualità sociale e politica.

Le recenti manovre del Governo Monti hanno assestato colpi micidiali al sistema pensionistico, a quello che rimaneva degli ammortizzatori sociali e del Welfare State e hanno aggravato ulteriormente la situazione complessiva del sistema paese. C’è infatti un generale arretramento delle condizioni di vita e dei salari, dimostrato tra l’altro dai consumi reali delle famiglie italiane che nel giro di 4 anni sono crollati del 4,4% .

Ma queste condizioni da sole non sembrano essere sufficienti alla ripresa e all’allargamento del conflitto in Italia.

Sicuramente un ruolo importante in negativo lo hanno giocato sia la scomposizione della forza lavoro introdotta dai processi di riorganizzazione e sia il ruolo giocato dai sindacati confederali e dalle organizzazioni collaterali, fino agli ultimi accordi e alla resa nei confronti del Governo .

I partiti e i sindacati, in profonda crisi di credibilità vengono tenuti in ostaggio dai governi tecnici come quello Monti e dalle istituzioni economiche europee in quanto utili strumenti di concertazione e consenso.

La situazione oggi appare ingessata, ma visto il quadro generale nulla toglie che possiamo trovarci di fronte a cambiamenti e ad accelerazioni improvvise.

La crisi economica e finanziaria sta confermando il suo carattere sistemico e non congiunturale, sono le stesse dichiarazioni delle istituzioni internazionali a rivedere al ribasso le previsioni di crescita non solo dei PIIGS, come l’Italia ma anche della locomotiva tedesca e delle economie statunitense e cinese. Stando così le cose per il futuro le contraddizioni sembrano destinate ad allargarsi e potremmo trovarci di fronte a delle accelerazioni che possono determinare le condizioni per un protagonismo sociale di massa.

La manifestazione del 27 ottobre si colloca in questo scenario, è un passaggio importante, non è decisivo ovviamente, ma rappresenta il risultato di un lavoro prezioso fatto da centinaia di compagni e compagne per dare testa e gambe al conflitto di classe .

Escludendo il 15 ottobre, dopo quella di Milano del 31 marzo, questa è la seconda manifestazione nazionale indetta nel giro di pochi mesi da un cartello di forze che nel tempo si è ampliato e che mette insieme i sindacati di base e conflittuali come l’USB, Unicobas, Slai Cobas,Cobas insieme a pezzi di CGIL, organizzazioni storiche della sinistra di classe come la nostra . Nel mezzo assemblee nazionali, decine e decine di riunioni e iniziative locali. Guardando alle esperienza dei compagni greci del PAME , dei movimenti sociali e dei sindacati conflittuali della FSM , se c’è una possibilità di intercettare la ripresa del conflitto sociale questo sarà anche grazie alla capacità di essere radicati tra i lavoratori e dimostrarsi uno strumento di azione politica e sindacale validi per la classe.

La resistenza sociale alle politiche di Bruxelles ha tra i suoi principali animatori i sindacati conflittuali riuniti nella Federazione Sindacale Mondiale, come l’Unione Sindacale di Base, il PAME ed il LAB. Al contrario, il processo di costruzione dell’Unione Europea che oggi è guidato dalle elite delle borghesie industriali e finanziarie, ha raccolto invece il sostanziale sostegno delle centrali sindacali della FEM come CGIL,CISL e UIL.

La valutazione sul ruolo e la natura dell’Unione Europea, infatti rappresenta uno spartiacque anche all’interno della sinistra.

Contrariamente ai mantra recitati dalla sinistra sull’esigenza di rafforzare l’Unione Europea, risulta sempre più evidente che questa necessità di irrobustire l’area monetaria dell’euro, di centralizzare i meccanismi decisionali legislativi, fiscali, amministrativi e bancari sino a ridurre la sovranità di interi paesi, sia legata alla più generale competizione tra blocchi economico-finanziari e aree valutarie.

Un competizione destinata a colpire il mondo del lavoro, attraverso un ulteriore attacco al salario diretto, indiretto e differito.

Il processo di costruzione dell’UE oggi sta affrontando un ulteriore passaggio qualitativo, e lo fa attraverso una lotta interna ai pezzi della borghesia europea allo scopo di ridisegnare le gerarchie all’interno dell’UE.

La visione di una Europa diretta unicamente dalla Germania rischia di non farci vedere le dinamiche che stanno portando alla luce una borghesia transnazionale che punta alla leadership dell’UE. Quello a cui stiamo assistendo e’ un processo di selezione di una classe dirigente europea che mette in competizione le elite borghesi e finanziarie dei rispettivi paesi.

La costruzione di una classe dirigente europea, comporterà un ulteriore inasprimento della lotta di classe dall’alto, poiché per sostenere questo passaggio si dovranno trasferire nelle casse di industriali e finanzieri quote ingenti di ricchezza pubblica e di risparmio privato, insieme ad una ulteriore intensificazione dello sfruttamento nelle aree produttive dei paesi dell’est Europa e del mediterraneo.

Le risposte di questa classe dirigente europea non prevedono né mediazione, né conflitto, le repressioni delle manifestazioni e del dissenso sociale, sono un elemento che ha accompagnato le politiche dell’Unione Europea in questa sua ultima e decisiva decade.

La manifestazione del 27 dovrà portare a casa il risultato di mantenere aperta l’agibilità alla protesta sociale di massa .
La mobilitazione dei lavoratori in Grecia, Portogallo e Spagna, di per sé non assicura un diretto impatto sui lavoratori italiani, ma sicuramente la manifestazione del 27 ottobre si colloca all’interno di un periodo di mobilitazione a dimensione europea.

Se la sinistra di classe in Europa ha una possibilità di rilanciare il proprio ruolo, questa sta all’interno di una scelta coerentemente anticapitalista fuori e contro l’idea di un capitalismo riformabile, “dentro l’Europa, ma fuori della UE” .

Per questo la Rete dei Comunisti saluta e condivide pienamente i contenuti internazionalisti e di classe della mobilitazione indetta dall’USB con il convegno alla Provincia e la manifestazione alla FAO, nell’ambito della “giornata di internazionale di azione” del 3 Ottobre promossa dalla Federazione Sindacale Mondiale, che vedrà la presenza oltre 100 militanti sindacali del PAME, il forte e combattivo sindacato greco, e di esponenti del sindacalismo di classe europeo e mondiale.

Rete dei Comunisti -Commissione Internazionale

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