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Italiani brava gente? Quando gli aerei italiani bombardavano Barcellona

Barcellona 1938 così la morte arrivò dal cielo, la strage che pesa sugli italiani

Enric Juliana, Corriere della Sera 17 marzo 2013

Nel marzo del 1938, gli abitanti di Barcellona — e quelli delle altre città catalane — sapevano bene cosa fosse un bombardamento aereo. La città era già stata attaccata più volte dall’Aviazione Legionaria italiana, che aveva sede a Maiorca, ma il primo bombardamento a tappeto era arrivato dal mare, il 13 febbraio 1937, otto mesi dopo l’inizio della Guerra Civile, quando l’incrociatore italiano Eugenio di Savoia aveva riversato il fuoco delle batterie contro il quartiere centrale. Tra il 16 e il 18 marzo del ’38, però, l’aria tremò in un modo diverso. Il bombardamento, lento, prolungato nel tempo, non finiva mai. Quando le sirene si zittivano e sembrava che il pericolo fosse cessato, l’allarme suonava di nuovo. Tredici attacchi in 40 ore. E, non appena si seppe di una forte esplosione nel centro della città, fu il panico generale. Un incidente incredibile e tragico: una bomba aveva colpito un camion militare che trasportava in centro un carico di dinamite e aveva provocato una strage. Cominciò a circolare la voce che gli italiani stessero testando un nuovo tipo di esplosivo e migliaia di persone iniziarono a scappare verso le periferie. Tre giorni dopo, quando quell’incubo terminò, l’aviazione italiana aveva ucciso oltre 900 persone e causato 1.500 feriti, intasando gli ospedali. Aveva generato il panico e, soprattutto, aveva demoralizzato la popolazione. I barcellonesi sapevano che la Repubblica e la Generalitat (il governo autonomo catalano) avevano perso la guerra.

Barcellona era stata bombardata in quel modo per impressionare Hitler. Il 12 marzo del 1938, il regime nazionalsocialista tedesco aveva portato a termine l’Anschluss, l’annessione dell’Austria al Terzo Reich. Non era una buona notizia per Benito Mussolini, che aveva cercato di tenere in piedi il governo autoritario del cancelliere Dollfuss, padre di un austrofascismo che si opponeva alla perdita di sovranità nazionale. Mussolini era preoccupato. Doveva mandare un «segnale» a Hitler, un messaggio per ricordare ai tedeschi, e a tutta l’Europa, la potenza del regime fascista. Era ancora fresco, troppo fresco, il ricordo della sconfitta italiana nella battaglia di Guadalajara (8-23 marzo 1937), e varie associazioni antifasciste si preparavano a festeggiare a Parigi il suo primo anniversario. Serviva una prova di forza. Mussolini dette l’ordine.

Nel marzo del 1938 era passato quasi un anno dal violento bombardamento di Guernica, compiuto dalla Legione Condor tedesca. Questa piccola città basca di cinquemila abitanti era stata completamente distrutta, il 26 aprile 1937, da un attacco devastante che si era avvalso di bombe incendiarie. Guernica, luogo simbolo per la nazione basca, era stata rasa al suolo. I resoconti per il Times del giornalista britannico George Steer, arrivato sul posto un paio di giorni dopo, avevano contribuito a diffondere la notizia e a trasformare quell’evento nel segno più tragico della guerra di Spagna. Il governo repubblicano volle che il dramma di Guernica fosse presente all’Esposizione Internazionale di Parigi del luglio 1937, e commissionò una grande tela al pittore Pablo Picasso. Un quadro che sarebbe diventato un simbolo universale.

I bombardamenti di Barcellona non vennero dipinti da nessun artista famoso, ma catturarono l’attenzione della stampa europea e americana. Una delle reazioni più significative fu quella de L’Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede, che li condannò nell’edizione del 24 marzo. Pio XI incaricò il nunzio Ildebrando Antoniutti di esprimere il suo disagio al generale Franco. Protestarono anche il primo ministro francese Léon Blum e il premier britannico Chamberlain. Diversi anni dopo, quando iniziarono i bombardamenti degli aerei nazisti su Londra, Winston Churchill disse: «Spero che i nostri cittadini si dimostrino in grado di resistere, così come fece la coraggiosa popolazione di Barcellona».

Franco, in realtà, non ne sapeva nulla. Non questa volta. Dopo tre giorni, preoccupato per la risonanza internazionale della notizia, il quartier generale di Burgos chiese agli italiani di fermare l’attacco. L’Aviazione Legionaria italiana si muoveva su obiettivi segnalati in precedenza dal comando franchista, ma godeva di autonomia. Mussolini sosteneva i soldati ribelli e, allo stesso tempo, conduceva la sua guerra personale all’interno della guerra spagnola. La base di Maiorca, istituita nel 1936 dal leader fascista Arconovaldo Bonaccorsi, il «conde Rossi», rappresentava l’ambizione di creare un impero mediterraneo. Mussolini calcolava le sue mosse in funzione degli instabili equilibri europei e dei suoi complessi rapporti con il Vaticano. Nell’agosto del 1937, dopo la caduta della città di Bilbao, offrì ai nazionalisti cattolici baschi la possibilità di una resa onorevole per far cosa gradita alla Santa Sede. Con il beneplacito di Pio XI, gli ufficiali baschi si arrendevano alle truppe italiane e avrebbero potuto lasciare la Spagna via mare. Quando Franco lo venne a sapere, andò su tutte le furie e ruppe l’accordo. Gli ufficiali baschi furono imprigionati, processati e molti di loro vennero fucilati. Si può affermare che la nascita dell’Eta nel 1959 — ventidue anni dopo il patto di Santoña — sia stata, in parte, il risultato di questa umiliazione. Dopo quel segno di moderatezza verso i baschi, il dittatore italiano ordinò che Barcellona venisse bombardata con violenza per impressionare Hitler e per cancellare ogni sospetto di debolezza.

Oggi ricorrono i 75 anni di quell’evento. La Repubblica italiana, nata dalla vittoria sul fascismo, non ha colpe per un attacco tanto crudele. Mussolini, il dittatore, è stato giustiziato. E non si può dimenticare che nel 1946 il nuovo governo italiano, su proposta del leader comunista Palmiro Togliatti, varò un’amnistia generale. Barcellona e le altre città catalane bombardate, però, aspettano ancora un gesto dall’Italia democratica.

(Traduzione di Sara Bicchierini)

 
Il mito degli Italiani brava gente e il bombardamento di Barcellona del marzo 1938

Dino Messina – Corriere della Sera 17 marzo 2013

Che nei cieli e per le strade di Barcellona tra il 16 e il 18 marzo 1938 fosse avvenuto qualcosa di terribile gli italiani lo appresero subito attraverso le corrispondenze del “Corriere della sera”, il più diffuso giornale italiano, dal 1925 controllato dal regime. Già il 18 marzo il quotidiano milanese titolava: «Il popolo di Barcellona chiede la resa», il 20 avvertiva: «Barcellona abbandonata da centinaia di migliaia di abitanti — scene di terrore e di rivolta». E il 21: «Barcellona stremata». I corrispondenti come lo scrittore Guido Piovene o l’inviato Mario Massai sottolinearono la gravità dell’impatto che i bombardamenti dell’aviazione italiana avevano avuto sul corso della guerra ma si guardarono bene dal denunciare, come fece il Times di Londra, che almeno seicento abitanti in tre giorni avevano perso la vita (in realtà circa il doppio), tantissimi bambini, per lo più residenti nei quartieri popolari. Fu subito chiaro, insomma, che la strage non era stata causale ma voluta, per un preciso ordine arrivato all’improvviso da Benito Mussolini in persona. Tutto scritto, tutto documentato dalle cronache dell’epoca, nelle pagine del diario del ministro degli Esteri italiano e genero del Duce, Galeazzo Ciano, nei libri scritti dagli storici italiani, da Giorgio Rochat (“Le guerre italiane 1935-1943″) a Lucio Ceva, “Spagne 1936-1939″.

Eppure ben poco della verità sull’orrore scatenato dai bombardieri italiani decollati dalle Baleari con l’ordine preciso di colpire e seminare terrore è giunto alla nostra opinione pubblica. Per prendere coscienza delle responsabilità italiane nel primo “civil bombing” di una grande città europea forse occorrerebbe un atto pubblico simile a quello compiuto dal presidente tedesco Roman Herzog che nel 1997, nel sessantesimo anniversario di Guernica (26 aprile 1937), chiese scusa alla gente spagnola. Guernica-Barcellona un paragone azzardato? Nient’affatto. Altri se ne potrebbero fare. Per esempio con Durango, la cittadina della Vizcaya che il 31 marzo 1937 venne attaccata da squadriglie italiane che distrussero case e uccisero 289 persone.  Barcellona tuttavia resta una pietra miliare del terrore e forse è venuto il momento, dopo aver analizzato per circa un ventennio gli effetti che la «guerra ai civili» ha avuto sul suolo italiano (dai rastrellamenti nazisti dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 ai bombardamenti dell’aviazione Alleata), che gli storici facessero uno sforzo pari in direzione diversa. Raccontarci, cioè, dall’Etiopia ai Balcani, dalla Grecia alla Spagna la guerra vista dalla parte delle vittime, con gli italiani nelle vesti di aggressori. Non che manchino studi di questo tipo, da Angelo del Boca in poi, ma si sente soprattutto in ambito divulgativo, una reticenza lontana. Quella che deriva dall’auto rappresentazione di «italiani brava gente», ma anche da una mancata Norimberga successiva al fascismo e, non ultimo, dal fatto di essere entrati nella Seconda guerra mondiale con una casacca e nell’esserne usciti con un’altra.

Il bombardamento di Barcellona, così come tutti gli altri atti di terrore dall’aria durante l’aggressione alla Repubblica spagnola, è il frutto ideologico, militare e politico di una storia tutta italiana. Il punto di vista militare e ideologico risale a Giulio Dohuet, che ben prima del britannico Hugh Trenchard, cioè negli anni Venti, con un’opera ancora oggi citata in tutti i manuali di strategia militare, “Il dominio dell’aria”, anticipò il concetto del «civil bombing»: «Immaginiamoci una grande città che, in pochi minuti, veda la sua parte centrale, per un raggio di 250 metri all’incirca, colpita da una massa di proiettili dal peso complessivo di una ventina di tonnellate…». Sembra la profezia di quanto sarebbe avvenuto a Barcellona dove i bombardieri Savoia Marchetti 79  in un paio di giorni sganciarono circa 44 tonnellate di esplosivi.

E a un’azione dimostrativa che seminasse terrore, come ha raccontato anche Edoardo Grassia, pensava Mussolini quando pochi minuti prima di pronunciare alla Camera il suo discorso in reazione all’Anschluss dell’Austria da parte delle truppe di Hitler, diede l’ordine al Capo di Stato Maggiore della Regia aeronautica di «iniziare azione violenta su Barcellona con martellamento diluito nel tempo». Nessuna consultazione con altri organismi militari, nemmeno con Franco. Fu una decisione di Mussolini per seminare terrore. E nelle intenzioni anche una cinica operazione mediatica per recuperare terreno rispetto all’iniziativa di Hitler e magari rimediare alla figuraccia ancora non dimenticata della disfatta di Guadalajara. La riprova delle intenzioni di Mussolini si ha nel diario di Galeazzo Ciano, quando annota la reazione del duce alle proteste di parte britannica: «Quando l’ho informato del passo di Perth (ambasciatore inglese a Roma, ndr), non se ne è molto preoccupato, anzi si è dichiarato lieto del fatto che gli italiani riescano a destare orrore per la loro aggressività anziché compiacimento come mandolinisti».

A Mussolini il progetto di trasformazione antropologica del popolo italiano non riuscì ma il fascismo portò «la brava gente» a macchiarsi di crimini di cui dobbiamo chiedere scusa.

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