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Cina. migliora la distribuzione del reddito, congelate le destrutturazioni

Nel marzo scorso si è conclusa in Cina l’Assemblea Nazionale del Popolo, ramo legislativo (l’altro è consultivo) del parlamento cinese. La sessione ha assunto una valenza ancor più importante poiché si è svolta dopo il XVIII esimo congresso del Pcc e le è stata demandata fra gli altri provvedimenti la nomina del presidente della Repubblica e del Primo ministro, completando il quadro di transizione dalla quarta alla quinta generazione di leader del paese (Xi Jinping è segretario generale del Pcc e presidente della commissione militare centrale ma non era ancora presidente della Repubblica). Inoltre si è tenuta in una delicata fase di congiuntura dovuta alla crisi economica occidentale e al conseguente rallentamento cinese e nella fase di transizione ad un nuovo modello di sviluppo che ormai da anni a Pechino si dice di voler intraprendere.

Gli elementi su cui intendiamo soffermarci in questa riflessione sono sostanzialmente due.

Il primo è un elemento che parte da un dato macroeconomico. Dopo dieci anni e più dal precedente rilascio dei dati, il mese scorso L’Ufficio Nazionale cinese di statistica ha pubblicato i dati relativi al coefficiente di Gini, che misura il grado di disparità dei redditi e quindi il livello di dispersione della ricchezza in un paese (0=massima uguaglianza o dispersione, 1= massima disuguaglianza o concentrazione, 0,4 soglia critica secondo le Nazioni Unite).

Questi i dati del coefficiente di Gini in Cina negli anni scorsi pubblicati dall’Ufficio Nazionale di Statistica:

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

0.479

0.473

0.485

0.487

0.484

0.491

0.490

0.481

0.477

 

Una ricerca commissionata dall’università di Chengdu aveva dato in precedenza il dato di 0.6, un indicatore sul quale anche su Contropiano, in assenza di dati ufficiali aggiornati, tempo fa è apparso un articolo che sottolineava il dato, poiché, se corrispondente a verità, avrebbe fatto della Cina il paese più diseguale al mondo.

Ma i dati dell’ufficio nazionale cinese di statistica che sconfessano quella ricerca, sono stati pubblicati successivamente alla ricerca accademica di Chengdu, dopo che per anni non erano stati aggiornati.

Non è questa la sede per trattare i criteri adottati nella rilevazione dell’indice che hanno portato ad uno scostamento così grande tra quella ricerca (0.6) e i dati ufficiali rilasciati dall’ufficio nazionale di statistica (0.4, su un indice che varia tra 0 e 1). Il dato di 0.6 d’altronde appare irrealistico per tutta una serie di ragioni che non è dato qui elencare (come viene calcolato il ruolo degli assets pubblici, dalla terra alle aziende che in Cina hanno un ruolo determinante nell’economia nazionale? Si limita solo al reddito disponibile delle famiglie o al reddito indiretto assicurato da questi beni? ecc….). D’altronde le difficoltà di rilevazione dell’indice in un paese grande come la Cina (indipendentemente dall’uso di campioni) è stato esplicitato pubblicamente anche dall’Ufficio Nazionale di statistica che si ritiene in generale abbia a disposizione strumenti di analisi superiori a quelli accademici. Ad ogni modo, in assenza di dati altrettanto attendibili non possiamo che basarci sui dati statistici rilevati dall’ufficio centrale, anche perché ci sembrano molto più in linea con i parametri macroeconomici sviluppati in questi anni.

Quello che poi colpisce è che dal raggiungimento di livelli massimi di disuguaglianza nel 2008, dall’inizio della crisi il coefficiente di Gini per la Cina, nei tre anni successivi fino al 2011, si è abbassato fino quasi a ritornare ai livelli del 2004.

Cioé dall’inizio della crisi economica mondiale in Cina le disuguaglianze si sono ridotte anziché aumentare, il che appare in grande contrasto con la situazione europea dal 2008 ad oggi.

Il dato esprime sinteticamente gli effetti delle politiche sulle quali in questi mesi ed anni (almeno a partire dal 2009 con l’intervista a Huang)abbiamo tentato di attirare l’attenzione dei lettori.

Dalla costituzione di una rete cooperativa sanitaria nelle campagne, alla pensione ai contadini, ai contratti collettivi, alla legge nazionale sul lavoro, ai mega investimenti (su cui l’attuale sessione dell’ Anc sembra dover varare nuovi pacchetti)nelle case popolari, alla riforma del sistema sanitario, alle spese nell’istruzione pubblica e nelle infrastrutture, al megapiano di investimenti pubblici all’indomani della crisi mondiale, alle esenzioni fiscali per i redditi bassi ed all’eliminazione dell’imposta sulla terra, ecc… , dal 2002 e più accentuatamente dal 2007, l’amministrazione Hu-Wen ha preso tutta una serie di misure perequative che hanno avuto a partire dal 2009 effetti importanti, hanno portato alla riduzione dei livelli di disuguaglianza sociale e a inizato a ridurre il gap tra ricchi e poveri nel paese.

Si tratta di misure note e su cui chiunque può facilmente documentarsi e che diamo per acquisite nell’analisi per motivi di brevità.

Tutte queste misure hanno avuto quindi un impatto maggiore della riduzione della domanda estera europea, colpita dalla crisi del debito sovrano, nel produrre una migliore distribuzione del reddito e nel far “aprire i portafogli” ai consumatori cinesi per sostenere il progetto del cambiamento del modello economico, da quello trainato dall’export ad uno basato sulla crescita dei consumi interni e sul miglioramento del tenore di vita e delle condizioni di lavoro.

Se aggiungiamo a questo la riduzione dei profitti in molti settori in cui è presente il capitale privato, particolarmente forte nel settore delle esportazioni in sofferenza per la caduta della domanda europea (come dimostrato dalla catena di fallimenti di imprese nell’area di Wenzhou), abbiamo un quadro generale di riduzione dei profitti a vantaggio degli aumenti salariali che è perfettamente in linea con i dati sul miglioramento della distribuzione del reddito e sugli aumenti salariali degli anni scorsi. Quindi un’analisi dell’impatto macroeconomico delle misure adottate dal governo in questi anni porta alla conseguenza di quel dato sulla riduzione delle disuguaglianze, rende del tutto ingiustificato e/o parziale il dato complessivo dell’università di Chengdu.

Il che non significa ovviamente che in Cina non ci sia un problema di distribuzione della ricchezza. Il dato dell’Ufficio nazionale di statistica è comunque superiore alla soglia internazionale di attenzione di 0.4 e superiore a quello di molti paesi europei e dunque significa che solo un primo passo su un lungo cammino è stato fatto, ma che ancora lunga è la strada che la Cina deve percorrere per raggiungere un livello di eguaglianza sociale. Tuttavia è importante poiché segnala comunque un’inversione di tendenza rispetto a quella precedente che vedeva l’allargamento della forbice dei redditi.

Il secondo elemento interno su cui occorre soffermarsi è che a dispetto di quanto, con puntuale smentita dei fatti come all’epoca dell’ascesa di Hu Jintao, la stampa internazionale abbia auspicato che la nuova leadership fosse una leadership “riformista”(cioé tradotto favorevole alla privatizzazione del settore pubblico, che in Cina ha ancora e in modo crescente una posizione dominante nell’economia, e favorevole all’introduzione di un sistema multipartitico occidentale), la leadership di Xi Jinping si sta dimostrando, come la precedente di Hu, una leadership molto più dura e conservativa del sistema socialista di quanto all’estero si sia sperato.

Il quadro che nella successione dei precedenti articoli avevamo tracciato anche sulla natura di “centro-sinistra” interno alla geometria politica del Pcc della quarta e quinta generazione di leader cinesi, sta trovando conferma nei fatti.

Le prime dichiarazioni da segretario generale di Xi sulle speranze dei cinesi a condizioni di lavoro migliori, stabili e sicure per vivere una vita felice, alle ispezioni nel periodo di avvicendamento istituzionale dal congresso in autunno a marzo (in cui ha assunto anche la carica di presidente)nelle aree povere e poverissime del paese rimaste indietro nella corsa allo sviluppo, la campagna per la riforma dei media e la lotta alla corruzione, e, se confermate, le sue dichiarazioni sulla fine dell’Urss e del Pcus, lasciano intravedere un leader e dunque una leadership complessiva molto più vicina a concezioni marxiste di quanto gli ambienti liberisti interni ed esterni sperassero.

E’ inoltre importante ricordare che a questo fine, come nel periodo che molta stampa estera ha definito come “il decennio perduto di Hu-Wen”dal punto di vista delle “riforme economiche”, anche l’attuale amministrazione sembra aver congelato, con la riserva che ciò possa comunque avvenire dopo la conclusione dell’avvicendamento istituzionale, processi di smantellamento dei colossi statali (accusati spesso di monopolio mentre in realtà in molti casi sono sottoposti alla concorrenza internazionale), i quali se attuati porterebbero al definitivo predominio dei rapporti privati nell’economia e allo smantellamento dell’economia pubblica (che ancor oggi impiega la maggior parte della forza lavoro del paese), dunque porterebbero alla dissoluzione della base economica del socialismo in Cina con il probabile collasso del Partito.

Il vocìo di misure simili che avrebbero dovuto essere già attuate in un documento di programmazione economica di fine 2012 o presentate tutt’al più nella sessione dell’Anp di marzo 2013 sembrano scomparse, non è chiaro se perché ancora in fase di studio tecnico o perché su queste la leadership non è unanimemente concorde e quindi il progetto è stato accantonato. Pare, ma bisognerà attendere ancora per avere una conferma, più probabile l’ipotesi di accantonamento semplicemente perché di solito per sostenere misure del genere appaiono campagne preliminari sui media, cosa che non è avvenuta, oppure di un ridimensionamento della proposta ai soli settori statali realmente protetti dal mercato estero che hanno dei monopoli territoriali(penso alle telecomunicazioni). Il che pone un’ombra di ingessatura della stessa futura azione di Li Keqiang al premierato in materia economica dopo che nel suo documento programmatico sullo sviluppo della domanda interna aveva posto la rottura di quei monopoli come un punto importante e sul quale ad ora pare invece che sia stato posto un veto complessivo della leadership.

Questi due punti di riflessione ovviamente non concludono un tentativo di analisi e di spiegazione dei fenomeni e della realtà cinese che ormai da più di un anno cerchiamo di mettere in campo qui su contropiano. Tuttavia senza alcuna pretesa di sintesi pubblicheremo a breve una sorta di considerazioni a braccio che partendo da quegli elementi e dati portino a spunti di riflessione dal carattere un pochino più ampio e che quindi vadano oltre l’analisi della situazione in sé, che rimane legata ai dati di realtà, per spingere il ragionamento un po’ oltre la linea di confine.

 

 

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