I contorcimenti di chi ha deciso di partecipare “a prescindere” alle elezioni europee – per eleggere un “parlamento” privo del potere legislativo! – sono fondati sulla speranza, ben poco sull’analisi dei fatti (cos’è questa Unione Europea?); soprattutto sull’assenza di una visione della situazione che vada al di là della puro e semplice “coazione a ripetere” sempre la stessa mossa.
La “lista Tsipras” racoglie molti consensi e speranze tra il pubblico colto e progressista, ma temiamo abbia poche chance nei quartieri di periferia, che conosciamo invece bene. C’è contemporaneamente un’incomprensione fortissima di quale sia il contesto europeo attuale e un rifiuto di cogliere la radice del “rifiuto della politica” che effettivamente ottenenebra “le masse”. E anche molte “avanguardie di lotta”.
Un briciolo di analisi “materialistica” può essere fatto in modo sereno, “scientifico”, atarassico. In questo modo, per esempio, si può apprezzare il contributo di intellettuali su posizioni generali anche assai diverse dalle nostre. Ma precise su questo punto, peraltro decisivo.
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Il mio vecchio amico Luciano Muhlbauer ha pubblicato un articolo sul suo blog a proposito della lista Tsipras, nel quale, fra l’altro, polemizza con me per il mio pessimismo in materia. Essendo una persona intelligente, Muhlbauer argomenta molto abilmente le sue posizioni e, pertanto, l’articolo merita d’esser letto per intero ed una risposta puntuale.
Per comodità espositiva e per favorire il dibattito, penso sia opportuno dividere la risposta in due pezzi che pubblicherò in rapida successione: il primo riguardante il giudizio sull’Europa, sull’Euro ecc, il secondo sulla proposta della lista e sulle possibilità di riuscita. Partiamo quindi dal giudizio sull’Europa.
Caro Luciano,
nel tuo pezzo riprendi il contenuto dell’appello di Spinelli, Flores, Gallino, Camilleri, Viale, grosso modo, sintetizzabile in questo slogan: Europa si, fiscal compact no. Dunque: vogliamo un’Europa dei popoli e dei diritti e siamo contro l’Europa tedesca dell’ “Austerità espansiva”, della demolizione del Welfare, del fiscal compact, del vincolo di pareggio ecc. E per questo una candidatura vincente di Tsipras alla presidenza del Parlamento Europeo è quello che ci vuole per cambiare passo e riformare l’Europa.
Di qui la proposta di una “terza via” fra i sostenitori dell’Europa attuale con le sue compatibilità e quelli del ritorno alle sovranità nazionali che auspicano la fine della Ue e dell’Euro. Insomma, “né Pasok né Front National”.
Questo ovviamente, presuppone che l’attuale Ue e la sua moneta siano effettivamente riformabili e che questo cambiamento possa partire da un diverso assetto del Parlamento Europeo.
Togliamo di mezzo il pezzo più semplice del ragionamento e cioè, che questa svolta possa partire dal Parlamento di Strasburgo: non conta nulla, ha poteri limitatissimi, mentre le decisioni si prendono in sede di Commissione, Consiglio di Europa e Bce. E’ la stessa architettura dell’Unione ad escludere questa possibilità. Quando si polemizza contro il ritorno alla sovranità nazionale, si dimentica che i soggetti principali di questa architettura di potere sono gli stati nazionali, la Bce e l’eurotecnocrazia. Cioè, ancora oggi a decidere sono gli stati nazionali di concerto fra loro e la parte di sovranità che hanno ceduto è gestita da apparati tecnocratico-finanziari, che sono quelli che propongono e sostengono la politica restrittiva, il fiscal compact ecc.
Se un’ influenza popolare c’è nella Ue, essa passa indirettamente attraverso i governi nazionali. Dunque, il Parlamento Europeo è del tutto impotente. Questo non vuol dire che votare per esso sia perfettamente inutile. Il valore dei risultati di questa consultazione sta nella funzione di indice degli umori popolari e nel conseguente effetto traino sulle successive elezioni nazionali. Per il resto, queste elezioni sono quello che gli americani chiamano “una gara di bellezza”, cioè una competizione di valore simbolico e di nessun effetto pratico (o quasi).
Dunque, spero che Tsipras abbia un buon successo a livello europeo perché questo poi lo aiuti a vincere le elezioni nel suo paese. Punto.
Ma veniamo alla questione del se la Ue sia riformabile e in che modo. Mi sembra che in certi appelli si diano per scontate troppe cose.
In primo luogo si ragiona come se la Ue fosse la realizzazione parziale del disegno progressista e democratico del Manifesto di Ventotene, ma si ignora che c’è stata un’altra influenza culturale, di ben diverso orientamento, come quella elitista di Richard di Coudenhove-Kalergi e che, semmai, è stata questa a prevalere nell’attuazione concreta del progetto. L’Unione europea è sorretta dalle sue fondamenta da un progetto aristocratico-finanziario, perfettamente sintetizzato dalla formula di Mario Monti della “democrazia a trazione elitaria”. Ed i governi nazionali di tecnici (da Monti a Samaras) non sono un incidente di percorso, ma il frutto di questa pianta, così come i governi di “unità nazionale” o “larghe convergenze” (Italia, Germania, per certi versi la coalizione conservatori liberali in Inghilterra) vanno esattamente in questa direzione. Né l’alternativa viene dai governi dell’Internazionale socialista come quello dell’inutile Hollande.
In secondo luogo, non è un caso che il Parlamento sia l’istituzione meno influente nell’architettura Europea: perché il progetto istituzionalmente è pensato per reggere su due gambe, quella dei governi nazionali, che incorpora la legittimazione democratica, e quella della èlite tecnocratico finanziaria che esprime lo spirito cosmopolita e sovranazionale del progetto. Il Welfare, in questo quadro, è una soluzione che poteva ben essere tollerata in epoca di keynesismo vincente, ma che non è funzionale nel mondo della globalizzazione neo-liberista; per cui, la Ue che è uno dei due principali pilastri dell’ordine neo liberista, è istituzionalmente vocata alla soppressione del Welfare. E, infatti…
In terzo luogo, questa configurazione della Ue non viene dal nulla ma da oltre mezzo secolo di trattati ed intese, che non hanno mai parlato alla ragione ed al sentire dei popoli europei, ma che hanno prodotto una costruzione totalmente autoreferenziale, pensata e realizzata dalle èlite diplomatiche, finanziarie e giuridiche europee, del tutto non interessate al parere dei rispettivi popoli.
In quarto luogo, la Ue è pensata totalmente all’interno del principio della partnership euro-americana e, pertanto, risponde ad un disegno geopolitico, che mette insieme tre pezzi (l’Europa del nord, quella mediterranea e quella orientale) senza alcuna attenzione per l’omogeneità culturale e politica e neppure economica, ma come puro calcolo di potenza. E c’è ancora chi pensa che si debba allargare il tutto alla Turchia anzi, fra gli aspiranti c’è anche il Kazakistan che si ritiene Europa perché per un tratto confina con il Mar Caspio che, come geografia fisica, è in Europa (infatti, il Kazakistan gioca in coppa Uefa).
In quinto luogo, la struttura basata sulla convergenza di stati nazionali esige che i cambiamenti di patto si concordino e, se da un punto di vista formale i paesi aderenti sono perfettamente uguali (o quasi), questo non è assolutamente vero dal punto di vista sostanziale, per il quale tutti sono eguali ma c’è uno molto più uguale degli altri: la Germania. La Ue (e prima ancora il Mec) esiste perché c’è stato un asse franco-tedesco; per fare l’Europa unita può non esserci l’Inghilterra o la Spagna o la Grecia o anche l’Italia o l’Olanda, ma non possono non esserci Francia e Germania, che sono il nocciolo strategico dell’operazione.
Per di più, a partire dagli anni novanta, con l’operazione Euro (di cui diciamo subito dopo) -una moneta pensata non a caso con una partità 1 a 1 con il marco- la Germania è diventata da sola la trave portante di tutta la costruzione. Se la Germania si ritira non c’è più l’Europa. Quindi, se vogliamo cambiare la Ue, Tsipras o non Tsipras, non serve vincere le elezioni in Grecia, Italia o Spagna, ma convincere la Germania. Ad esempio potrebbe essere utile che la Linke raggiungesse il 30%, ma la cosa non pare probabile.
L’orientamento rigorista di Berlino non dipende da un qualche “coefficiente di cruccaggine” che rende il governo tedesco poco flessibile o da un qualche invincibile egoismo nazionale, ma dal fatto che la compagine sociale tedesca si regge su certi equilibri monetari: la pace sociale, per la quale i sindacati hanno accettato una dinamica salariale così fredda, dipende in gran parte dalla stabilità dei prezzi e dei livelli occupazionali, che si reggono su quella moneta.
Allo stesso modo in cui gli imprenditori non vogliono sentir parlare di rischi di inflazione, perché il loro equilibrio si basa sull’acquisto “a buon mercato” delle materie prime di cui hanno bisogno, grazie all’euro. Allo stesso modo in cui le banche tedesche, che hanno in corpo belle fette di debiti pubblici italiani, greci, spagnoli, portoghesi ecc. non ne vogliono sapere di rischi di svalutazione della moneta, perché così si svaluterebbero i loro crediti. E’ chiaro?
Forse non ve ne siete accorti, ma in Alternative fur Deutschland non ci sono i descamisados de la patria ma un ex presidente della Confindustria e gente come lui. Ed a vigilare sulle scelte della Merkel non c’è solo Afd, ma, soprattutto, la Bunedestbank e la corte di Karlsrhue, per cui facciamo così: fatevi un giro a Berlino e convincete la Merkel, la Buba e la Corte costituzionale e, quando lo avete fatto, mandateci un sms e fatecelo sapere: ne saremo felici.
Ma tenete presente che le attuali tendenze geo politiche non vanno nel senso dell’asse renano, ma al contrario, verso un’integrazione dell’economia tedesca a oriente. Dunque, la Ue non è una cosa che si può piegare come si vuole, ma una costruzione che ha una sua funzionalità precisa: voi, invece, volete iscrivere un ferro da stiro al premio di formula 1 di Monza e pretendete pure che abbia un buon piazzamento: volete anche un the freddo?
Infine. La Ue è un castello che sta in piedi su una roccia che si chiama Euro, se frana quella, frana tutto. E l’Euro non è una moneta qualsiasi, flessibile ad ogni politica monetaria, ma una scelta funzionale a determinati equilibri di potere. Per cui, piaccia o no, se volete l’Euro dovete tenervi anche il fiscal compact: bere o affogare.
Ma voi ragionate così: voglio il Welfare ma voglio anche la Ue, non voglio le politiche restrittive ma non voglio rinunciare all’Euro, la voglio cotta ma anche cruda… Cos’è? Una nuova versione del “ma anchismo” di Veltroni?
Dunque, il problema non è se volere l’Europa dei popoli o tornare all’angusto spazio nazionale, ma se tenerci questa Ue o no. Chi scrive è convinto della positività dell’integrazione europea ma c’è modo e modo e non è detto che questo esistente sia quello che vogliamo.
Insomma, se vuoi fare case popolari dove c’è una raffineria, è poco probabile che ci riesca ristrutturando la raffineria, mentre è molto più semplice smantellare la raffineria, demolire quel che c’è e poi costruire case ex novo.
Per concludere: c’è un filo di ragionamento che ritengo totalmente scorretto, per il quale: chi è contro la Ue è antieuropeista, chi è antieuropeista è senz’altro nazionalista, dunque fascista, per cui chi è contro la Ue non può che stare dalla parte dei nazisti come Alba Dorata.
Ma, in primo luogo, esiste la possibilità di una Europa diversa dal suo attuale assetto istituzionale concretato dalla Ue, in secondo luogo non tutte le opposizioni alla Ue sono di destra, perché c’è anche una sinistra anti-Ue (ad esempio il Kke) ed un movimento come il M5s non è etichettabile come destra, in terzo luogo non tutta la destra anti Ue è fascista: non lo sono certamente gli euroscettici inglesi, i Veri Finlandesi, non lo è il partito che fondò Pim Fortuyn, e non lo è nemmeno Afd in Germania. Il fenomeno, dunque è molto più complesso e non tollera soluzioni semplicistiche.
E sin qui parliamo della debolezza politica di fondo della ipotizzata lista Tsipras, nel prossimo pezzo parleremo degli aspetti più spiccioli.
Aldo Giannuli
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