Lo stesso Financial Times che l’altro giorno ha battezzato Renzi come populista, svela uno dei motivi della crisi ucraina o almeno quello che ha avuto la funzione di miccia per organizzare il golpe contro il presidente Yanukovich colpevole di aver congelato i colloqui per la partnership con l’Europa. Forse una cronologia è più efficace di un discorso.
Agosto 2013 – La Franklin Templeton Investment con sede in California, operante in 35 Paesi, con circa 880 miliardi di dollari gestiti, molti dei quali appartenenti ai fondi pensione, attua la sua nuova strategia di rischio: completa l’acquisizione di titoli ucraini per 5 miliardi dollari, compra in sostanza il 20% del debito del Paese. La società finanziaria non è nuova a questo tipo di operazioni: in passato aveva acquisito una gran parte di obbligazioni di debito irlandesi, deprezzate, scommettendo sulla concessione di prestiti da parte dell’Ue e dell’Fmi con relative imposizioni sociali: fece tanto profitto da essere tentata di ripetere l’operazione.
Settembre – Ottobre 2013 – Sia Moody’s che Fitch abbassano il rating dei bond ucraini considerandoli spazzatura. Le due società osservano nei loro report che solo la messa a punto della partnership con l’Europa può aumentare la quotazione dei titoli e migliorare il loro outlook. E’ ciò che naturalmente spera e ispira la Franklin Templeton: senza questa “soluzione politica” andrebbe a bagno e con lei molti fondi pensione.
Novembre 2013 – Yanukovich congela a sorpresa gli accordi di associazione all’Ue, accordi per i quali il governo di Kiev si sera anche spinto a delineare una serie di massacri sociali in cambio di aiuti. Cominciano le manifestazioni con qualche migliaio di persone in piazza che la stampa enfatizza come riscossa degli “arancioni”. Ma è solo un assaggio.
2 Dicembre 2013- Il governo Ucraino regolarmente eletto, commette l’errore fondamentale: ottiene 8 miliardi di dollari dalla Cina facendo intendere che l’Ucraina potrebbe fare a meno degli “aiuti” di Fmi ed Ue. Gli investimenti della Templeton, così come anche quelli di altre società e banche sia americane che europee sono a forte rischio. Inoltre la cosa allarma anche la Russia che certo non vede di buon occhio l’ingresso di Pechino nel Mar Nero.
Dicembre 2013 – La posta si alza ed entrano in campo le Ong di chiara marca Usa e finanziate per un totale di 65 milioni di dollari dall’ International Renaissance Foundation, di Soros. Le manifestazioni si susseguono, ma con sempre meno gente in piazza specie dopo il 17 dicembre giorno nel quale la Russia concede 15 miliardi dollari di prestiti all’Ucraina e una riduzione del prezzo del gas da 400 a 265 dollari per mille metri cubi.
Gennaio 2013 – La protesta rischia di esaurirsi, ma nel frattempo si è messo in moto il meccanismo messo a punto in tanti anni: se i cosiddetti arancioni sono tiepidi, è opportuno ricorrere alle milizie di estrema destra che subito portano lo scontro al diapason e cercano i morti per dare un rilievo mediatico e drammatico mondiale alla vicenda. Ossia conferirle una sua ambigua sostanza, come se gli ucraini fossero disposti a tutto pur di liberarsi di un governo e di un presidente che essi stessi avevano eletto. Compare in piazza la foto ricordo di Stepan Bandera , il boia di Katlyn e le croci celtiche, così come quintali di scatolette e generi di conforto con la marca Euromaidan circolano tra i manifestanti, segno di una organizzazione che nulla lascia alla spontaneità e alla sincerità di manifestazioni accuratamente preparate.
In queste condizioni e anche grazie alle stragi programmate e attuate da appositi cecchini il colpo di stato riesce, facendo tirare un sospiro di sollievo agli investitori della Franklin & company e illudendo l’amministrazione americana di aver scelto il momento e l’occasione adatta a tirare l’Ucraina nel campo della Nato. E’ fin troppo chiaro che senza un movente finanziario così impellente gli Usa sarebbero stati molto più prudenti limitandosi a investire dollari per orientare l’opinione pubblica. Qui invece occorreva un’azione di commando che salvasse la finanza.
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