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Il lato oscuro della morte di Ciro Esposito

Neofascisti ed estrema destra, destra in doppiopetto e partiti nelle istituzioni. Viaggio nella galassia nera che ruota attorno all’omicidio del tifoso del Napoli

Cinque motociclette della polizia locale di Napoli, insieme al sindaco, hanno scortato il rientro a Scampia della salma di Ciro Esposito, il tifoso ventinovenne ferito a morte a Tor di Quinto, quartiere di Roma, poco prima dell’inizio della finale di coppa Italia avvenuta il 3 maggio.

Tale premura istituzionale l’ex sindaco di Napoli Rosa Russo Iervolino l’aveva avuta solo per la salma di un militare napoletano ammazzato a Kabul. La mistificazione semantica voleva il militare in missione di pace, il cerimoniale istituzionale lo elevava al rango di martire. Una fenomenologia dell’eroismo sentita più dalle istituzioni che dal popolo.

L’attuale sindaco De Magistris invece ha speso la sua facoltà di decretare il lutto cittadino e di accogliere personalmente la salma per un tifoso di calcio ucciso da un agguato neofascista. Una scelta poco comprensibile per chi non vive a Napoli, ma estremamente sentita in città. Dato che spiega, ancora una volta, come tale città viva in una dialettica diversa da quella nazionale. Pratica questa riscontrabile nella diversa narrazione che si nota, sul medesimo evento, tra i quotidiani nazionali e le pagine locali.

Disfonia non solo narrativa, inerente la pubblicistica, ma anche istituzionale e rappresentativa. Al funerale evangelico dei ventimila nella piazza di Scampia latitava il governo. I gonfaloni di Regione e Provincia mantenevano posizioni defilate. A rappresentare il rammarico collettivo oltre ai parenti di Ciro vi erano in maggioranza istituzioni informali: il presidente del Napoli calcio De Laurentiis, il dirigente della Fgci Malagò, il cantante Nino D’Angelo. Il sottosegretario Alfano era in qualità di amico di Napoli e della famiglia, mantra questo ripetuto ossessivamente. A chiedere la rimozione del Prefetto e del Questore di Roma per la pessima gestione dell’ordine pubblico il Sindaco, seduto, con la fascia tricolore, in una piazza gestita dagli ultras e non dalla forza pubblica.

Le relazioni pericolose

A uccidere Ciro «un fascista; e poco importa se sei tifoso della Roma, del Napoli o chissà di quale altra squadra», ci tiene a precisare un tifoso giallorosso che come tutti i frequentatori delle curve raccomanda a chi lo interroga l’anonimato. «Ciro è stato ucciso da un fascista con modalità fasciste. Non può passare l’idea che la tifoseria della Roma è di estrema destra mentre quella del Napoli sarebbe di sinistra».

Elemento di chiarezza indispensabile per un fattaccio che vede negligenze in ogni dove. Il fascista in questione è Daniele De Santis, altrimenti noto come Gastone, non sappiamo se per il personaggio dandy della Disney o per il santo vescovo francese del Cinquecento che convertì al cristianesimo il re pagano Clodoveo. Sulla seconda ipotesi nutro qualche dubbio considerando l’ignoranza che caratterizza l’estrema destra capitolina.

Ma con il vescovo convertitore De Santis ha qualcosa in comune: nel 2008 fu candidato in una lista collegata al candidato sindaco Gianni Alemanno nell’allora XX (oggi XV) Municipio. La lista aveva il nome Il Popolo della Vita per Alemanno e De Santis prese solo 44 voti di preferenza. Tale lista appartiene all’associazione Il Popolo della vita, sodalizio di antiabortisti legati a doppio filo con Militia Christi, volto presentabile, ecumenico e rassicurante dell’ultra destra romana.

Tale associazione ha come simbolo il trifoglio. Ed è proprio il trifoglio uno dei nomi che ha caratterizzato lo spazio prima occupato, poi sede di un centro sportivo, poi di una discoteca abusiva e poi covo dell’assassino De Santis. Il tifoso della Roma aiuta a far chiarezza sulla storia di quel terreno: «Al 57b di via Tor Di Quinto ci sono questi campetti del Coni, occupati dall’estrema destra e mai reclamati dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano. Il primo nome dato fu SpazioZero, in continuazione con quella tradizione di autonomia di estrema destra che parte all’inizio degli anni ’90 con il gruppo Meridiano Zero. Questi sempre nei primi anni ’90 strinsero alleanza con un’altra organizzazione di estrema destra, Movimento Politico, animato da Maurizio Boccacci, compagno di scuola di Giusva Fioravanti e come Gastone De Santis animatore del tifo con lame e pistole».

Infatti Maurizio Boccacci lo troviamo mischiato tra i romanisti la domenica 20 novembre del 1994 allo stadio di Brescia durante gli scontri tra tifosi e polizia che portarono al ferimento del vicequestore Giovanni Selmin. Condannato a 4 anni e 2 mesi nel 1997 è all’interno del palazzo di Giustizia di Piazzale Clodio intento ad aggredire un brigadiere per protestare contro il processo ai fratelli Ovidi. Nella notte fra l’10 e 11 dicembre 1995 viene fermato dalle forze dell’ordine mentre affigge manifesti con la scritta “Liberate Priebke”.

Oggi che il fisico non lo accompagna più come una volta, Boccacci è leader di Militia Christi è all’associazione dal volto ecumenico ha come logo quel trifoglio che è anche il nome del covo di De Santis dopo essersi chiamato Spazio Zero. Ultimo nome del luogo da dove De Santis e i suoi camerati sono partiti per uccidere Ciro Esposito è Ciak Village, discoteca frequentata nelle estati romane del quinquennio di Alemanno oltre che dall’ex sindaco e consorte e figlio Manfredi anche da Gasparri, La Russa, Meloni.

Una discoteca completamente abusiva ma che sotto l’amministrazione Alemanno non ha avuto nessun controllo ma che è stata poi chiusa quando al Campidoglio è arrivato Ignazio Marino. Una discoteca non proprio tranquilla che salì agli onori della cronaca nel 2012 per un pestaggio, durante la festa di Halloween, ai danni di un ragazzo omosessuale. Nonostante i sigilli dei carabinieri messi il 25 marzo del corrente anno il luogo continuava ad essere frequentato, tolta la patina di discoteca e di associazione dal volto presentabile rimanevano solo i neofascisti, nudi e crudi nella loro estetica delirante.

Ma De Santis non era il solo in quell’attentato che un tifoso del Napoli presente sul luogo del delitto spiega in maniera dettagliata: «Non vi erano vessilli della Roma in chi attaccava i pullman dei supporter napoletani carichi di famiglie. L’obbiettivo era scatenare una reazione contro i fiorentini e così far pervenire ai napoletani quanti più daspo possibili e la chiusura delle curve». Ciro Esposito, disarmato, intervenne per dare riparo e protezione a chi nei pullman veniva attaccato. Per questo a Scampia e a Napoli lo chiamano eroe.

Ma De Santis non era il solo, ad accompagnarlo, e forse i fermi dei prossimi giorni ne daranno conferma, Giuliano Castellino, animatore dell’organizzazione di estrema destra Movimento Sociale Europeo, un breve passato in Casa Pound prima di qualche divergenza con il capo Iannone, una candidatura ne La Destra di Storace che manco a farlo apposta supportava Gianni Alemanno, ma anche qualcosa in più, l’assidua frequentazione con il figlio dell’ex sindaco di Roma Manfredi Alemanno.

Qualcuno dice che intorno allo stadio Olimpico, il pomeriggio del 3 maggio, ci possa essere stato anche lui. Frequentazione che non si è limitata solo alla generazione di giovani balordi, ma intergenerazionale se è vero come è vero che Castellino accompagnava in alcune uscite pubbliche proprio l’allora sindaco Gianni Alemanno. Un antifascista napoletano abbonato alla curva B dello stadio San Paolo spiega il profilo di Castellino: «È una figura di frontiera tra la destra in doppiopetto e quella militante mazziera. Collante tra la base spesso non interessata a divenire mercé di un politico di destra e i politici stessi».

Il tifoso antifascista del Napoli non fa un ragionamento assai diverso dal tifoso della Roma: «Il dato interessante della biografia di De Santis non è solo il suo essere un fascista convinto, questo è un codice comportamentale e pseudo culturale che facilita lo scivolamento volto ad accreditare il pasticciaccio di Tor di Quinto come una rivalità di ultras in odio razzista. Ma la sua biografia rimette insieme i tasselli di quello che è successo il 3 maggio. De Santis ha fatto negli anni politica attiva nella curva, connotando, come con Boccaccio e Castellino, un periodo di egemonia culturale dell’estrema destra nella curva Sud. Ultimamente viveva posizione non più egemoniche, ma questo non basta a capire il ridimensionamento di attenzione che avrebbe suscitato nel controllo esercitato da polizia e prefettura».

Ed è proprio questo il punto. Un altro tifoso racconta: «Due anni prima eravamo sulla medesima strada di via di Tor di Quinto per la finale tra Napoli e Juventus. Ricordo come fosse ieri il dispiegamento enorme di camionette e di celere dinanzi l’allora Ciak Village. Come è possibile che il 3 maggio del 2014 non ci fosse nessuno?». Quesito posto in forma dubitativa che varrebbe l’immediata rimozione del questore di Roma Massimo Maria Mazza e del prefetto Giuseppe Pecoraro. Ma l’Italia non è la Francia. Noi ci abbiamo messo tempo a licenziare Domenech, voi prendete troppo tempo per rimuovere chiunque appartenga alle istituzioni sicuritarie.

Ma le relazioni pericolose non sono finite. A mistificare l’accaduto c’è tutta la destra istituzionale parlamentare italiana. Non solo il ministro Angelino Alfano che, dopo il funerale di Ciro Esposito, ha avuto l’ardire ribadire la versione che il pasticciaccio è riconducibile a violenza tra frange opposte di tifosi, ma quello che più inquieta è la lettera che Marcello Taglialatela, esponente dei Fratelli d’Italia, ha spedito al sindaco di Napoli e alla stampa locale al fine di redarguire un suo componente di segreteria, Alessio Postiglione, che sull’Huffington Post aveva denunciato la matrice neofascista dell’omicidio a Ciro Esposito.

Altrettanto inquietante, se non di cattivissimo gusto la presenza nella camera ardente e al funerale di Ciro di Luciano Schifone. Entrambi appartengono al medesimo partito di Alemanno, Schifone era anche lo sponsor napoletano dell’ex sindaco di Roma alle ultime europee. I due fanno parte della precedente generazione di mazzieri fascisti che hanno dato poi il cambio a De Santis e camerati.

Ricorda un ormai anziano militante di sinistra: «Schifone abitava al Cavone, in via Francesco Saverio Correra, sopra la sede di Avanguardia Operaia. Allora militava nell’Msi e quotidiane erano le sue provocazioni. Taglialatela, invece, nel 1973 durante un mio attacchinaggio in piazza San Vitale tento un accoltellamento». Mazzieri ieri e fiancheggiatori dei mazzieri di oggi. Un altro antifascista napoletano racconta: «Quando liberammo il convento di San Raffaele a Materdei dall’occupazione di Casa Pound trovammo un quaderno dove erano trascritte le sottoscrizioni per l’occupazione fascista. I primi contribuenti? Amedeo Laboccetta, Luciano Schifone, Marcello Taglialatela». Legami mai interrotti quindi.

Le domande sul pasticciaccio di Tor di Quinto

Un testimone oculare intervistato da Sandro Ruotolo per Servizio Pubblico parla di una squadraccia composta da una ventina di persone. Quando sapremo i nomi dei restanti 19? Dobbiamo andare a intuito e per ricostruzione giornalistica?

L’omicidio di Ciro Esposito è avvenuto dopo l’osceno applauso rivolto dalla platea di un sindacato di polizia agli assassini di Aldrovandi. Serviva un incidente di ordine pubblico per giustificazione all’opinione pubblica un modus operandi della polizia che trova sempre meno legittimità? Perché una sede così sensibile come lo SpazioZero / Trifoglio / Ciak Village è rimasto scoperto? Veramente la polizia non sapeva che nonostante i sigilli il luogo era frequentato da neofascisti già abbondantemente attenzionati dalle stesse forze dell’ordine? Tutte domande in attesa di risposta.

Fonte: http://www.qcodemag.it/2014/07/06/omicidio-ciro-esposito-fascisti/

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