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L’indipendenza catalana: il punto di vista della sinistra indipendentista

Il referendum per l’indipendenza della Catalogna, annunciato dalla regione guidata da Artur Mas per il 9 novembre, e’ stato sospeso dalla Corte costituzionale spagnola. La suprema corte iberica ha accolto in questo modo il ricorso presentato da Madrid. Un passo, quello del governo Rajoy, annunciato da settimane e che ufficializza lo scontro sul piano istituzionale con una crisi senza precedenti fra la capitale spagnola e Barcellona.

Il seguente documento è l’analisi dell’organizzazione socialista per la liberazione nazionale catalana (Endavant – OSAN) circa il processo sovranista catalano, le ragioni della sua nascita, la composizione dell’indipendentismo attuale e quale ruolo stanno avendo le classi sociali in tutto ciò; le prospettive per il cambiamento sociale, obiettivi, tappe e linee d’azione della sinistra indipendentista catalana per i prossimi mesi decisivi, durante i quali è stato indetto il famoso referendum del 9 novembre. La traduzione può contenere alcuni errori, essendo stata realizzata con strumenti on line e adattamenti manuali (Borroka Garaia Da!).

Gli obiettivi fondamentali della sinistra indipendentista
L’obiettivo finale della sinistra indipendentista è l’indipendenza, il socialismo ed il femminismo nei Paesi Catalani; vale a dire la costituzione di uno stato indipendente, che comprenda l’insieme della nazione catalana e la costruzione di una società socialista e femminista.
Qualsiasi azione politica, dall’intervento in una lotta congiunturale alle strategie politiche nazionali o territoriali, deve essere tesa all’accumulazione di forze per raggiungere questo obiettivo finale, che è la ragion d’essere del nostro movimento; pertanto, è necessario inserire anche la mobilitazione indipendentista che attualmente vive il Principato di Catalogna in questa logica, analizzarla ed intervenire politicamente con l’obiettivo di accumulare forze e progredire verso la consecuzione del nostro progetto politico.
Bisogna espungere dalla nostra analisi politica le impostazioni che tendono a distinguere tra obiettivi pragmatici ed obiettivi utopistici e che finiscono, nella pratica, per stabilire i primi come obiettivi reali del movimento. Prospettare che l’indipendenza della Catalogna nell’ambito di un progetto politico socioliberale sia attualmente l’obiettivo più possibile e, di conseguenza, rimandare gli obiettivi della sinistra indipendentista ad un lontano futuro, è un grave errore strategico; in pratica, ciò finisce per individuare l’indipendenza della Catalogna come obiettivo reale e gli obiettivi della sinistra indipendentista finiscono caratterizzati come utopistici e, pertanto, fuori dalla politica reale.
Ciò di cui abbiamo bisogno, è intervenire nell’attuale congiuntura del processo sovranista, non con l’obiettivo di fare da alibi ai processi regionalisti o socioliberali, ma con l’obiettivo di far progredire le nostre proposte di indipendenza, socialismo e femminismo per tutti i Paesi Catalani.
Noi di Endavant OSAN crediamo che sia possibile avviare una strategia politica che lavori in maniera decisa nella congiuntura del processo sovranista e che, contemporaneamente, lavori in altre congiunture dei Paesi Catalani, mantenendo gli obiettivi di indipendenza, socialismo e femminismo.

Da dove vene l’attuale processo sovranista?
Stabilire le cause di questa mobilitazione porterebbe ad un’analisi abbastanza complessa ed ampiamente articolata nel tempo, ciononostante, determinare queste cause è stato uno dei cavalli di battaglia volti a dominare la narrazione propagandistica a favore di questo o quel progetto politico; pertanto, è importante che, dalla sinistra indipendentista, forniamo elementi per questo dibattito, a partire dall’onestà intellettuale ma anche dalla fermezza a sostegno dei nostri postulati, pur potendo questi scontrarsi con i postulati attualmente egemoni.
Individuiamo tre grandi elementi che possiamo collocare all’origine di questo processo politico: la crisi del regime del 1978, il cambiamento di cultura politica degli ultimi quindici anni e la crisi economica.

La crisi del regime del 1978
Il regime del 1978 fu costruito su un patto tra le diverse élites, sia del regime, sia dell’opposizione, che si poté vendere ad una maggioranza sociale come vantaggioso; questo processo storico, noto come “transizione”, ha finito per essere messo in discussione anche da alcuni dei settori politici e sociali che ne furono protagonisti. Tuttavia, è stata la transizione spagnola a determinare gli ultimi quarant’anni di vita politica dei Paesi Catalani.
Il patto si fondava sul lasciare intatti il potere economico ed il funzionariato provenienti dal franchismo e, in cambio, permettere una partecipazione al sistema delle principali forze dell’opposizione, attraverso una democrazia parlamentare liberale di tipo occidentale.
Con questo patto, si articolava un decentramento amministrativo che avrebbe concesso aree di potere alle élites territoriali e costituito uno spazio per dare sbocco alle rivendicazioni nazionali.
Questo patto ottiene un certo consenso sociale anche fra la base antifranchista maggioritaria nei Paesi Catalani (si presentava come la possibilità di riprendere il filo democratico della Seconda Repubblica sotto la forma di una monarchia costituzionale): libertà politiche, giustizia sociale e diritti alle nazionalità.
Nel momento in cui si comprova che questi tre pilastri hanno dei limiti che non consentono il progresso sociale così come la maggioranza l’aveva immaginato, il regime comincia ad entrare in crisi; le libertà politiche sono sequestrate da una partitocrazia nella quale neppure l’alternanza significa qualche cambiamento, un processo di deprivazione che conta sull’incapacità o sulla complicità delle strutture politiche che non lo rovesciano, i diritti delle nazionalità sono oggetto di un processo di riaccentramento e limitazione.

Il cambiamento di cultura politica degli ultimi quindici anni
Man mano che il regime del 1978 iniziava a mostrare i suoi limiti e che nuove generazioni entravano nell’azione politica e sociale, si è prodotto un cambiamento nella cultura politica di alcuni settori della sinistra dei Paesi Catalani.
Differenti lotte sociali, ecologiste, di genere e culturali, hanno congiuntamente generato una coscienza della necessità di cambiamento globale ed in profondità: un cambiamento che si sarebbe potuto concretizzare nella necessità di costruire un paese nuovo e libero.
Tutto questo movimento, lontano dagli spazi centrali della società catalana, è andato tessendo una fitta rete organizzativa, con una grande estensione territoriale, che nell’arco di un decennio ha fatto socializzare politicamente decine di migliaia di persone.

La crisi economica
Benché il taglio dei diritti dei lavoratori ed i meccanismi che hanno approfondito il processo di deprivazione venissero da lontano, il loro effetto diretto e devastante non era vissuto in maniera generalizzata fino allo scoppio della crisi economica del 2008.
Questo ha comportato che una parte della popolazione abbia preso coscienza della necessità di un cambiamento di sistema e, pertanto, del superamento del capitalismo; anche una parte ancora più ampia ritiene necessario un cambiamento in profondità del regime politico. Questa crisi, ha fatto sentire in maniera generalizzata sulla vita delle classi popolari un depauperamento considerevole e, inoltre, altri settori intermedi non direttamente colpiti dalla durezza della crisi, hanno visto come la società inclusiva della quale facevano una bandiera è svanita e sta subendo un processo di allargamento del divario tra i più ricchi e le classi popolari.
La crisi economica non è la causa né dell’espansione della coscienza indipendentista, né del processo di presa di coscienza della necessità di un cambiamento sociale; la causa di questi fatti risiede prima di tutto nell’esistenza di un’oppressione nazionale e sociale contro il popolo lavoratore catalano e, ancora di più, in un filo rosso che connette fra loro le generazioni e che, dal 1996, ha trovato una formulazione in una nuova cultura politica. La crisi economica che stiamo vivendo ha fatto da catalizzatore di questi elementi.

La svolta del 2012
Il crescente malcontento sociale, il discredito del regime del 1978 in tutto lo stato delle autonomie e l’espansione dei sostenitori dell’indipendenza si confrontano nel 2008 con l’aggressione che subiscono le élites del Principato.
Crescenti proteste sfociano, il 29 marzo, in uno sciopero generale nel quale i sindacati ufficiali sono assolutamente travolti e la repressione poliziesca compie un salto qualitativo; una Convergència i Unió (CiU, coalizione autonomista di centrodestra, N.d.T.) con una parte della base sociale che sempre più sta aderendo all’idea dell’indipendenza, uno stato centrale a maggioranza assoluta del Partido Popular pronto ad affrontare la sua profonda crisi con mano dura ed iniziando un processo di sequestro delle autonomie.
C’è una narrazione ufficiale che cerca di spiegare l’attuale processo come una derivata della sentenza del 2010 del Tribunale Costituzionale contro lo Statuto di Autonomia; questa narrazione viene a dire che di fronte all’incapacità del governo centrale di sviluppare l’autonomia, è stato necessario trasformarsi in sovranisti: è la narrazione degli opinionisti e dei politici di turno, che tenta di legittimare la loro azione ed i loro posizionamenti degli ultimi trent’anni in questo mutevole momento politico. Si tratta, tuttavia, di una narrazione falsa.
La realtà è che la svolta nel discorso politico si verifica nell’estate del 2012, quando lo stato centrale non nasconde più di volere sequestrare, in autunno, diverse autonomie e quando le quote di popolarità di CiU sono ai livelli più bassi; la mobilitazione di massa dell’Undici Settembre fa decidere a CiU di mettersi alla testa della manifestazione per evitare di essere scavalcata dalla protesta.

Quali sono, oggi, le caratteristiche dell’indipendentismo maggioritario?
È un movimento socialmente ampio, che va da una parte della classe lavoratrice a settori della piccola e media borghesia; la sua direzione, intesa come il nucleo che fornisce i quadri intellettuali ed organizzativi, ricade fondamentalmente sulle classi delle professioni liberali e funzionariali, soprattutto catalanoparlanti e generazionalmente avanzate.
È un movimento che ibrida la cultura politica dell’indipendentismo con un forte substrato autonomista; ciò fa sì che, accanto alla rivendicazione chiaramente indipendentista ed all’assunzione di un carattere radicalmente democratico, convivano elementi quali la restrizione della nazione catalana al territorio della CAC (Comunità Autonoma Catalana), l’identificazione delle istituzioni autonome come legittime istituzioni nazionali e la considerazione dei grandi partiti autonomisti come indispensabili per qualsiasi progresso nazionale.
È un movimento che non aspira a destituire né a sostituire l’attuale potere politico o economico, ma aspira a premere su di esso affinché assuma decisioni che progrediscano sulla via dell’indipendenza.

Il trasversalismo
Il trasversalismo, come concetto politico che propaganda e considera possibile l’unità di tutto l’indipendentismo è un errore; si tratta semplicemente della configurazione dell’egemonia politica di un progetto socioliberale e della Catalogna. Le organizzazioni di massa che si richiamano al trasversalismo sono, in realtà, organizzazioni che rispondono molto fedelmente ai postulati del progetto politico socioliberale.
Per analizzare questa questione, non possiamo basarci solo sulla conoscenza di gruppi importanti di persone che agiscono in queste organizzazioni e che militano nella sinistra indipendentista, né sulla migliore o peggiore ricettività di queste organizzazioni nella loro relazione con la sinistra indipendentista.
Di fatto, il successo dell’egemonia si basa precisamente sull’essere capace di integrare gente che non risponde alla sua ideologia politica, ma che considera indispensabile questa egemonia per il raggiungimento di alcuni obbiettivi politici.
D’altronde, la relazione fra queste organizzazioni e la sinistra indipendentista ha a che fare con molteplici fattori: dinamiche politiche, strutture sociali, rapporti di forza…
Noi di Endavant OSAN consideriamo un errore che la sinistra indipendentista avalli questa strategia “trasversalista” e consideri una scommessa tattica centrale il suo rafforzamento organizzativo e politico; consideriamo un errore anche il tentativo di portare questa strategia in altri territori dei Paesi Catalani.
Questo non significa, tuttavia, che non si debbano tenere in conto queste organizzazioni come agenti politici che giocano ruoli importanti nell’attuale congiuntura politica, ma la nostra relazione con queste strutture deve essere quella di due agenti differenziati e deve rispondere alla nostra tattica politica per avvicinarci ai nostri obbiettivi politici i quali, in ultima istanza, differiscono da quelli delle organizzazioni “trasversali”.

Il ruolo della sinistra indipendentista
È ovvio che la crescita della mobilitazione indipendentista non sia stata un fenomeno spinto fondamentalmente dalla sinistra indipendentista, ma lo è anche che la sinistra indipendentista vi abbia avuto un ruolo importante.
Pur non avendo vissuto un processo di correlazione letterale tra crescita della coscienza indipendentista e crescita della sinistra indipendentista, il che ci avrebbe portati ad essere la prima o la seconda forza politica, è vero che la sinistra indipendentista in questo contesto ha potuto crescere; una crescita che riteniamo debba essere valutata come enormemente positiva, giacché ci ha permesso di avere una nostra voce sia nel processo sovranista, sia nelle mobilitazioni nel contesto sociale.
Possiamo affermare che questa crescita non è frutto della mobilitazione dei settori centrali dell’autonomismo, poiché questi sono stati gli ultimi ad aderire alla mobilitazione e continuamente da posizioni forzate per poter conservare il potere politico e la centralità sociale.

Il ruolo delle élites economiche
La borghesia del Principato è sempre stata un elemento fondamentale per il mantenimento dei Paesi Catalani nel seno della Spagna; prima di valutare il suo ruolo nel processo facciamo un ritratto schematico della sua composizione attuale.
I gestori di grandi multinazionali, la classe delle corporation, sono un settore in rialzo nel seno delle classi dirigenti che ha in parte sostituito la vecchia grande borghesia industriale; hanno un’enorme influenza sulle élites politiche in virtù, per esempio, delle cosiddette porte girevoli ed hanno, contemporaneamente, un forte legame con lo stato. Bisogna ricordare che molte delle multinazionali spagnole e catalane più importanti hanno la loro origine o un momento chiave del loro sviluppo in seno al regime franchista; ciò comporta che, in molti casi, queste grandi corporation siano un amalgama di interessi legati all’alta borghesia catalana, all’oligarchia spagnola ed agli apparati dello stato; il loro potere è legato allo stato, per esempio, con i salvataggi delle banche o attraverso le politiche sulle infrastrutture o della difesa e, allo stesso tempo, devono a questo stato la loro internazionalizzazione, soprattutto nel mondo arabo ed in Sudamerica.

Che la classe delle corporation abbia in grande misura sostituito la grande borghesia industriale, non vuol dire che quest’ultima sia scomparsa; la sua esistenza continua ad esercitare un notevole potere clientelare ed anche i suoi interessi sono strettamente legati al mercato statale ed allo stato come struttura di controllo sociale e come piattaforma di espansione internazionale.
All’interno della media borghesia, che è quella che il potere politico di solito porta come esempio della Catalogna imprenditrice, possiamo differenziare, con tutte le sfumature possibili, due settori, secondo il loro grado di legame con lo stato: da un lato quelli che, come l’alta borghesia industriale e commerciale hanno un mercato fondamentalmente statale ed una fiducia nello stato come ente in grado di difendere i loro interessi, specialmente in materia fiscale e giuslavoristica, oltre che in relazione alle normative europee; dall’altro lato quei settori meno dipendenti dal mercato spagnolo, con una produzione incentrata sull’export e politicamente più vicini al potere dell’autonomia.
Non possiamo considerare la piccola borghesia come parte integrante delle classi dirigenti, il suo peso sociale è fondamentalmente determinato dalla quantità di membri, ma non da qualche elemento qualitativo che le conferisca un ruolo dirigente; questa è la differenza con l’alta e media borghesia, numericamente molto ridotte ma in una posizione socialmente dominante. Benché ideologicamente la piccola borghesia sia ancora abbastanza subordinata all’egemonia ideologica della grande borghesia, l’attuale contesto sociale e politico colloca i suoi interessi oggettivi in posizione molto più allineata a quelli del popolo lavoratore catalano.

Le posizioni politiche delle élites economiche
Mentre la classe delle corporation ed un settore dell’alta borghesia hanno vissuto gli ultimi quindici anni molto legati ai redditi dell’ultimo ciclo di espansione capitalista e, di conseguenza, molto vicini al potere politico statale, la media borghesia ed alcuni settori dell’alta borghesia hanno iniziato, nei primi anni 2000, una serie di mobilitazioni per reclamare una parte maggiore nella spartizione della torta del bilancio statale.
La modernizzazione dello stato e l’entrata nell’UE erano uno degli obbiettivi classici della borghesia del Principato; questo, tuttavia, ha comportato una perdita del peso specifico della borghesia del Principato in seno al potere statale, specialmente nel caso della media borghesia.
A Madrid e nel Paese Valenziano sono nati nuovi poli economici in competizione con il Principato per la spartizione del carico fiscale; improvvisamente, il cosiddetto saccheggio fiscale che, nel Principato, è quantitativamente simile a quello subito dal resto dei Paesi Catalani, ha smesso di restituire peso politico alla borghesia del Principato.

È all’interno di tutto questo processo che si avvia una serie di rivendicazioni che, fondamentalmente, sono legate al miglioramento degli investimenti in infrastrutture, un miglioramento che può darsi a spese del bilancio statale oppure a fronte di un miglioramento del finanziamento della Generalitat; quest’ultima via è quella che si esplorerà, prima con la riforma dello Statuto d autonomia e, poi, con la proposta di patto fiscale.
Il movimento indipendentista, maggioritario a partire dal 2009, anche se assumerà queste caratteristiche ha, come abbiamo visto, origini differenti; inoltre, il fatto che la borghesia abbia assimilato i suoi interessi a quelli nazionali e, pertanto, si sia avvolta nella bandiera in difesa di questo patto fiscale, non presuppone affatto che questa classe sociale cerchi ora di ergersi a guida di un movimento di liberazione nazionale.
Il saccheggio fiscale ed il sottofinanziamento delle amministrazioni autonome e locali sono una realtà che ha origine nella configurazione del potere statale ed in un’architettura centralista dell’amministrazione e che colpisce in maniera determinante anche gli interessi delle classi popolari; ebbene, la forma nella quale si è concretizzata la rivendicazione, attende agli interessi della borghesia. È una rivendicazione focalizzata sulla necessità di investimenti in infrastrutture e che contempla solo la ripartizione fra amministrazioni delle entrate fiscali; se si fosse concretizzata in funzione degli interessi delle classi popolari avrebbe individuato, come rivendicazione principale, la preminenza degli investimenti in servizi pubblici e contemplerebbe, oltre alla ripartizione degli introiti fiscale, la ristrutturazione del carico fiscale tra le diverse classi sociali.
Se consideriamo la borghesia nella sua dimensione collettiva e non come una somma di individualità che esprimono o insinuano determinati pronunciamenti, non possiamo assolutamente dire che questa classe sociale avalli un processo di indipendenza; i suoi principali organismi di rappresentanza sono per un patto bilaterale: la cosiddetta terza via, anche se alcune organizzazioni della media borghesia sostengono il diritto di decidere come metodo per ratificare questo patto. L’esistenza di alcuni circoli di imprenditori indipendentisti non è in grado di modificare questa situazione, né presuppone alcun cambiamento di tendenza in seno alle classi dirigenti.

Se il progetto della borghesia è il patto fiscale e per le infrastrutture ed in nessun caso essa avalla un processo indipendentista, possiamo concludere che se tale processo continua ad essere diretto da élites politiche che, per trent’anni, hanno servito fedelmente gli interessi di questa borghesia, il processo indipendentista non ha alcuna possibilità di realizzarsi; al contrario, il processo indipendentista potrà compiersi solo se si destituisce la borghesia del Principato dal suo ruolo di classe dirigente e si distrugge la sua egemonia.

Prospettive di cambiamento sociale
La volontà di indipendenza è associata, nell’immensa maggioranza dei casi, ad una volontà di cambiamento a livello sociale; questo indicano tutte le inchieste e questo emerge da tutta la propaganda indipendentista. Cambiamento sociale non implica necessariamente cambiamento rivoluzionario; le prospettive di cambiamento che emergono dalla gente indipendentista sono diverse e rispondono a concezioni ideologiche differenti.
Analizzare quali siano queste prospettive di cambiamento, quale sia la loro praticabilità a medio termine e che capacità di accumulazione di appoggio abbiano, è un elemento importante per progettare la nostra strategia politica come movimento.
La prospettiva maggioritaria di cambiamento sociale legato all’indipendentismo, è quella che vede la costruzione del nuovo stato come una maniera di invertire l’attuale processo di conflittualità sociale, di discredito politico e di crisi economica per ritornare ad uno scenario di welfare state e progresso; re iniziare un sistema, lo stato sociale ed il capitalismo responsabile, eliminando le cattive pratiche e le deviazioni che ci hanno condotto alla situazione attuale.
C’è un’altra prospettiva, minoritaria, che vincola l’indipendentismo all’idea di cambiare tutto; questa è la prospettiva promossa dalla sinistra indipendentista ed appoggiata da un numero sempre più importante di movimenti popolari e della sinistra politica; è una prospettiva di impugnazione totale del regime considerato erede del franchismo, del sistema che è considerato incapace di invertire, da solo, la tendenza contraria agli interessi popolari. Dal punto di vista dell’ideologia, non attinge dalle idee dello stato sociale europeo, sperimentato a bassa intensità nei Paesi Catalani durante gli anni ’80 e ’90, ma dal filo rosso che si interruppe nel 1939, da tutto ciò che sarebbe potuto accadere se il fascismo non avesse schiacciato i desideri di libertà e trasformazione sociale.
C’è un terzo attore su questo scenario: il laboratorio neoliberista; pur non essendo un progetto politico dotato di ampia base sociale, è tuttavia una proposta ben radicata fra i quadri politici ed intellettuali del sovranismo convergente e la loro azione è incentrata, da una posizione pubblica privilegiata, sul tentativo di influire sul discorso rigenerazionista, affinché questo adotti postulati e discorsi neoliberisti confezionati con modernità, rotture col passato e controcorrente, come abitualmente si fa nel presentare queste ricette.

Quali settori sociali sono rappresentati?
Tutto sembra indicare che la prospettiva rigenerazionista rappresenti la gran parte delle classi intermedie e anche di quelle lavoratrici; questa prospettiva, allo stesso tempo, è più viva nelle generazioni anziane, che per anni sono state la base dell’autonomismo. È una prospettiva che tende all’egemonia, poiché attualizza le idee dominanti da decenni, quali il consenso o la coesione sociale, l’attivismo civico e la democrazia formale.
Quanto alla prospettiva dell’indipendenza per cambiare tutto, essa raggruppa soprattutto i settori più socialmente mobilitati delle classi popolari ed è una prospettiva particolarmente viva tra la gioventù, che soffre in maniera più generalizzata, fra tutti gli strati delle classi popolari, il processo di precarizzazione e la mancanza di aspettative; è una prospettiva minoritaria, che incorpora idee collocate al di fuori del campo dominante, come la lotta di classe, la critica integrale al capitalismo o l’idea di democrazia partecipativa.
L’acuirsi e la persistenza degli effetti della crisi economica stanno segnando una divisione tra quanti ritengono che si debba reinizializzare il sistema e quanti ritengono che il sistema sia non riformabile e che si debba cambiarlo da cima a fondo; questi ultimi, oltre ad avere una visione politica più vicina ai postulati sociali della sinistra indipendentista, sono un settore in crescita, che crede sempre meno alle ricette rigeneratrici dei partiti parlamentari tradizionali e dei settori sociali egemoni.
Pertanto, dalla sinistra indipendentista, dobbiamo costruire il programma di indipendenza per cambiare tutto come uno strumento per organizzare le classi popolari; diluire questo capitale politico in favore di opzioni più eclettiche o trasversali comporta, da una parte, l’entrare in un terreno nel quale altri progetti politici (quelli provenienti dalla socialdemocrazia e dall’autonomismo) hanno tutto da guadagnare e, dall’altra, la rinuncia a rappresentare le classi popolari catalane, specialmente quei settori che vivono più direttamente gli effetti dell’impoverimento.

Il processo sovranista e i Paesi Catalani
Come abbiamo detto all’inizio, una delle contraddizioni principali del processo sovranista è che questo è in atto solo in una parte della nazione che ha sempre riconosciuto l’indipendentismo in quanto tale; in questo senso, il processo sovranista risponde ad una concezione nazionale più propria dell’autonomismo e della tradizione del catalanismo conservatore: una Catalogna delle quattro province come nazione, senza prendere in considerazione il resto del territorio dei Paesi Catalani.

Ciò accade perché il progetto nazionale di Paesi Catalani è un progetto minoritario anche nel Principato di Catalogna; d’altra parte, se applichiamo al resto del territorio l’insieme di elementi oggettivi che spiegano l’emergere dell’indipendentismo nel Principato, sorge una domanda chiave: come mai, pur condividendo l’intero territorio la stessa congiuntura, la risposta in chiave sovranista si è data solo nel Principato? Crediamo di potere identificare tre elementi che ci consentono di spiegarlo e, allo stesso tempo, di indicare delle linee di lavoro.

Differenti livelli e tipi di coscienza identitaria
Ogni coscienza nazionale si compone di tre elementi in relazione tra loro: le identificazioni, le differenze ed il progetto nazionale; se analizziamo ciascuno di questi elementi nei diversi territori dei Paesi Catalani possiamo concludere quanto segue.
Dalla fine del XIX Secolo si sono sviluppate identità basate sugli antichi territori storici; l’identità di Valencia, l’identità di ciascuna isola, l’identità catalana intesa come esclusiva del Principato e con carattere di identità nazionale. Queste identità si sono imposte, con maggiore o minore intensità nelle identità provinciali che, in molti casi, cercavano di smembrare i territori storici e sono state solo parzialmente unite all’idea di un’identità comune.
Inoltre, queste identità hanno dovuto confrontarsi con l’idea della spagnolità come identità dominante; sia le identità delle isole, sia, soprattutto, l’identità di Valencia si sono confrontate, in maniera maggioritaria, a partire dall’idea di complementarietà.
Essere valenciano, maiorchino e, contemporaneamente, spagnolo era percepito come una sequenza logica; al contrario, l’identità catalana peculiare del Principato, dagli Anni 20 del secolo scorso, ha mantenuto una corrente importante di contrapposizione tra catalano e spagnolo; questa contrapposizione, mantenuta a partire da tutto il ventaglio ideologico, non ha significato fino a poco tempo fa, l’esplicitazione maggioritaria di un progetto indipendentista: che l’essere catalano fosse incompatibile o differente dall’essere spagnolo, è stato per decenni perfettamente compatibile con l’idea per la quale i catalani devono costruire il loro progetto in seno alla Spagna.

Come dicevamo all’inizio di questo paragrafo, il progetto nazionale di Paesi Catalani è stato, finora, un progetto minoritario. Il progetto nazionale maggioritario, in Catalogna, è costituito dal considerare il Principato come una nazione e dalla sua interazione bilaterale con lo stato, al fine di ottenere il pieno governo; nelle Isole Baleari ed a Valencia, invece, tutti i progetti che hanno affermato un’identità contrapposta a quella spagnola sono stati, finora, minoritari.

Sistema di partiti meno potenti e più subordinati
La configurazione del sistema di partiti durante la transizione (dalla dittatura franchista alla monarchia costituzionale, N.d.T.) e, soprattutto, dall’inaugurazione delle autonomie, è differente in ciascun territorio; per diverse cause, il sistema dei partiti politici, come degli altri organismi di rappresentanza, del Paese Valenziano e delle Isole Baleari è meno potente e più subordinato alle strutture centrali spagnole.
Oltre ad un sistema di partiti politici più debole, si è subita, in tutti i territori, la mancanza di partiti che considerino necessaria la costruzione nazionale; solo la sinistra indipendentista, con tutte le sue debolezze organizzative e di continuità, ha colmato questo vuoto.

Mancanza di reti nazionali e di progetti condivisi
Nella seconda metà degli anni Settanta, l’idea di Paesi Catalani era presente in tutto lo spettro della sinistra dei diversi territori; tutte le organizzazioni avevano i loro progetti politici di futuro per i Paesi Catalani, dalla cooperazione culturale fra territori, fino all’indipendenza. Inoltre, esisteva una rete di iniziative sociali e culturali, centrali in quel momento, che erano di ambito nazionale.
L’implementazione dello stato delle autonomie, la vittoria del catalanismo conservatore, l’operazione di assorbimento dei partiti socialisti da parte del PSOE e la Battaglia di Valencia fecero sì che tutto questo potenziale fosse molto indebolito.
Ciò ha comportato una difficoltà aggiuntiva nell’estendere l’adesione ad un progetto nazionale di Paesi Catalani e ha costituito una scusa per tutti i settori non disposti a svolgere alcun compito di costruzione nazionale.

Come possiamo mettere il processo sovranista in relazione con la costruzione nazionale?
Innanzitutto, dobbiamo rifarci a quanto scritto all’inizio di questo testo; qualsiasi intervento politico della sinistra indipendentista deve essere inserito in una logica volta a raggiungere gli obbiettivi strategici del movimento: l’indipendenza, il socialismo, ed il femminismo nei Paesi Catalani. In primo luogo, compito di Endavant e della sinistra indipendentista deve essere l’elaborazione di una road map per la costruzione nazionale e portarla a compimento; questa road map deve comprendere il come ribaltare i tre elementi citati in precedenza.
Bisogna anche tenere presente che solo un processo aperto e di rottura costituirà un contributo positivo alla costruzione nazionale; un processo che non accetti patti con lo stato, che non sia calato dall’alto e che sia capace di generare un programma di rottura attrattivo ed un contropotere in grado di relazionarsi con altre rotture che possono determinarsi a breve termine nel Paese Valenziano e nelle Isole Baleari, generando progetti ed istituzioni nazionali.
Bisogna lavorare per evitare qualsiasi scenario di patto fra élites o di sconfitta dei postulati indipendentisti: il primo scenario comporterebbe, molto probabilmente, un ridisegno dello stato delle autonomie nel quale Paese Valenziano ed isole Baleari farebbero parte dei territori ricentralizzati; il secondo scenario significherebbe dare il via libera al progetto ricentralizzatore e spagnolista più radicale, un progetto che ha dimostrato di essere molto cosciente della realtà nazionale dei Paesi Catalani e, pertanto, è prevedibile che focalizzi la sua strategia nel disarticolare il nostro spazio nazionale ed attaccarne gli anelli più deboli.

Obiettivi, tappe e linee d’azione nei prossimi mesi

Obiettivi
In questi prossimi mesi e, probabilmente, anni, durante i quali sia il processo sovranista, sia altri processi di rottura saranno al centro del dibattito politico, bisognerà prefissarci una serie di obbiettivi per potere imporre scenari che diano l’opportunità di materializzare il nostro progetto politico; essi sono:
Rendere irreversibile la crisi del regime del 1978 nei Paesi Catalani.
Il processo sovranista è una delle sfide più importanti che il regime del 1978 ha di fronte a sé, poiché mette in scacco uno dei suoi principi fondamentali: l’indiscutibile unità della Spagna; oltre a questa sfida, vi sono il mantenimento del bipartitismo e delle strutture opache del regime che sono messi in discussione nel resto dei Paesi Catalani.
Per rendere irreversibile questa crisi, è necessario che il processo sovranista dispieghi tutto il suo potenziale di rottura; dobbiamo esigere, con tutte le conseguenze che ciò comporta, la celebrazione del referendum e l’esecuzione immediata del suo risultato. Dobbiamo lavorare per ottenere la vittoria indipendentista in questo referendum o per generare una ribellione indipendentista contro coloro che dovessero aggirare la volontà maggioritaria di realizzarlo.
Inoltre, bisogna evitare che la critica al regime sfoci in una rifondazione dello stato che, negli aspetti essenziali dell’oppressione nazionale e del capitalismo, continui esattamente come nei regimi precedenti.

Far crescere la coscienza nazionale e la rivendicazione di sovranità popolare in tutti i Paesi Catalani. Contrapporre la legittimità democratica della volontà popolare al carattere antidemocratico della Spagna
Uno dei principali antidoti per combattere il nazionalismo spagnolo in molti settori della società dei Paesi Catalani, è indicare il carattere intrinsecamente antidemocratico dello stato spagnolo nei suoi diversi aspetti; l’incapacità di questo stato di rispettare le sue stesse leggi ed i suoi principi costituzionali se riguardano il potere economico o l’essenza del sistema patriarcale, la politica ricentralizzatrice che, oltre ad essere un ulteriore attacco contro le nazioni senza stato, rappresenta un grave sequestro della capacità di decidere, ovvero la ragion di stato senza limiti per garantire l’unità della Spagna, sono elementi fondamentali allo scopo di lavorare politicamente per mettere in contrapposizione i due progetti.

Contrapporre il discorso egemone delle classi dominanti dei Paesi Catalani alla realtà della loro sottomissione agli interessi dello stato
Uno dei principali problemi sinora riscontrati nell’indicare in maniera concreta i nostri nemici di classe e nazionali, specialmente nel Principato, è costituito dal gioco di specchi condotto per anni dall’autonomismo; le istituzioni dell’autonomia si sono presentate continuamente come un ombrello che protegge la popolazione da alcuni effetti dello stato, spesso nascondendo o giustificando così il loro ruolo attivo di apparato politico della borghesia. D’altra parte, la narrazione dell’economia efficiente e produttiva ha aiutato a sfumare delle élites economiche profondamente intrecciate alla struttura statale ed al grande capitale spagnolo; insomma, la percezione di una società più sviluppata e più giusta rispetto al resto dello stato ha fatto da cortina fumogena alle profonde disuguaglianze sociali che mai si possono attribuire esclusivamente a cause esogene. Bisogna combattere l’egemonia della borghesia che si concretizza da decenni nel caratterizzare i suoi interessi di classe come interessi nazionali o dell’insieme della società.
Creare strumenti di formazione e politicizzazione
Il nostro movimento deve essere capace di creare strumenti che consentano un maggiore grado di politicizzazione delle classi popolari e che facciano della formazione politica un valore necessario alla lotta nazionale, sociale e di genere; questi strumenti non devono essere solo interni al movimento, ma devono essere soprattutto strumenti di massa, rivolti ai settori più coscienti delle classi popolari.

Continuare a costruire l’unità popolare. Costruire strumenti ed istituzioni di contropotere nei Paesi Catalani
Il processo di crisi del regime del 1978, del quale il processo sovranista può divenire il carnefice definitivo, apre ampi spazi, consensi e possibilità nella costruzione e nell’articolazione di istituzioni alternative e fuori dall’orbita dello stato; reti di municipi, progetti cooperativi, federazioni associative, forum sociali, organizzazioni sindacali ecc. possono arrivare ad essere viste, da ampi settori sociali, come i semi di una nuova organizzazione sociale che deve nascere.
I vuoti di potere e la delegittimazione assoluta dello stato che possono comportare sia il processo sovranista, sia altri progetti di rottura, rendono questa opportunità ancora più evidente; pertanto, bisogna darsi come obbiettivo che questa istituzionalizzazione alternativa, che certamente nascerà, abbia carattere nazionale dei Paesi Catalani.

Costruire un programma di cambiamento socioeconomico e femminista tangibile per le classi popolari
Uno dei principali successi dell’attuale mobilitazione indipendentista è che il programma di cambiamenti proposto è un programma tangibile, realizzabile in un periodo concreto e che è divenuto “inevitabile” nella misura in cui crescevano le mobilitazioni; la principale sfida per potere materializzare il programma politico della sinistra indipendentista, è fare sì che esso sia tangibile e realizzabile agli occhi delle classi popolari.
Bisogna costruire un programma di cambiamento socioeconomico e femminista, diffonderlo tra la popolazione e renderlo egemone nell’insieme delle classi popolari; il progetto sovranista, insieme ad altre congiunture presenti nei Paesi Catalani, apre la prospettiva di un possibile nuovo ciclo e, pertanto, deve permetterci di sviluppare un processo di dibattito, costruzione e socializzazione di un’alternativa socioeconomica condivisa con gran parte della sinistra rotturista dei Paesi Catalani.
Tessere alleanze a livello internazionale
La causa del popolo lavoratore dei Paesi Catalani ha bisogno dell’appoggio internazionale. Come abbiamo spiegato in questo testo, il nostro progetto di emancipazione non è un progetto che abbiamo bisogno di vendere ai dirigenti degli altri paesi occidentali come progetto che non riguarderà per nulla i loro interessi; al contrario, il nostro progetto di emancipazione significa ribaltare gli attuali interessi del capitalismo mondiale per collocare al vertice della piramide gli interessi della classe lavoratrice e dei popoli.
In questo senso, l’interesse del nostro progetto coincide essenzialmente con le lotte dei popoli del sud dell’Europa contro l’attuale offensiva capitalista e contro l’annichilimento dei diritti nazionali, politici e sociali; questo deve essere uno dei terreni principali sui quali intessere le nostre alleanze internazionali.

Tappe
Per poter affrontare i prossimi mesi e praticare linee d’azione utili ai nostri obbiettivi e che, contemporaneamente, siano adeguate alla congiuntura concreta, identifichiamo due tappe differenziate.
Una, la tappa che va da ora alla data decisa per la celebrazione del referendum e, l’altra, quella che va dalla fine di novembre 2014 alle elezioni municipali del maggio 2015.
Da ora al 9 novembre 2014
Questi mesi saranno segnati dalla gestione della proibizione del referendum, saranno, quindi, mesi nei quali si svilupperà uno scontro politico che metterà alla prova le vere lealtà dei diversi attori del processo; sarà uno scontro su due direttrici:
Da una parte, sull’uso della disobbedienza e della rottura con la legalità spagnola e, dall’altra, sulla capacità di iniziativa tra le vecchie istituzioni e i movimenti di piazza.
Dalla fine di novembre 2014 al 24 maggio 2015
Questa è a tappa nella quale si articoleranno le diverse iniziative politiche che risponderanno alle differenti logiche derivanti da quanto accadrà il 9 novembre. I progetti politici che si tenterà di costruire, andranno da un governo di unità dei partiti sovranisti e la costruzione di una candidatura unitaria a diversi progetti sedicenti di rottura, passando per la volontà di continuità dell’attuale mobilitazione; inoltre, di fronte ad una focalizzazione incentrata sulle alleanze elettorali, vi sarà una difficoltà aggiuntiva nell’articolare anche gli spazi di mobilitazione ed organizzazione al di fuori delle istituzioni.
Anche nel resto dei Paesi Catalani si articoleranno diversi progetti di continuità, rifondazione o rottura che affronteranno le elezioni municipali e per le istituzioni autonome del 24 maggio 2015 come elezioni costituenti; in questo contesto, bisogna tenere conto delle seguenti variabili:
Pressione del sovranismo ufficiale per mantenere unito, sotto la leadership di CiU e di ERC, il progetto indipendentista nel Principato;
Gestione del dissenso interno al sovranismo ufficiale ed alle sue organizzazioni di massa una volta superato l’obbiettivo comune del referendum e al momento di affrontare nuove questioni;
Pressione del progressismo ufficiale per integrare in candidature anti PP le mobilitazioni sociali e le reti associative sia a Valencia, sia nelle Isole Baleari,
Capacità di articolazione nei Paesi Catalani di altri progetti sedicenti rotturisti che divergono dal progetto di unità popolare e dalla sinistra indipendentista.

Linee d’azione
Articolare e fare crescere un movimento popolare, cioè un movimento autonomo delle classi popolari che risponda alla strategia di conquista dell’indipendenza per tutti i Paesi Catalani e di un profondo cambiamento sociale e politico.
La campagna “Indipendenza per Cambiare Tutto” è lo strumento di intervento politico sia della sinistra indipendentista, sia di altri soggetti che condividono la strategia di unità popolare, oltre che dei sovranisti di sinistra scontenti della strategia rinunciataria dell’attuale direzione politica del progetto sovranista. Bisogna considerare, tuttavia, che essendo l’azione politica di “Indipendenza per Cambiare Tutto” circoscritta principalmente a dove il processo sovranista è più vivo, abbiamo bisogno anche di altri strumenti per proseguire il processo di costruzione nazionale legato a quello dell’unità popolare.
Parallelamente, tra novembre 2014 e maggio 2015, bisognerà articolare una serie di dinamiche e di movimenti popolari in grado di riunire lo scontento nei Paesi Catalani e di trasformarlo in un programma politico; questo programma politico deve avere sia un’importante capacità di azione nelle piazze, sia una presenza elettorale nelle elezioni del maggio 2015, che metteranno sul tavolo la continuità del regime del 1978. Prevedendo la focalizzazione elettoralistica che si avrà in questo periodo, sarà necessario investire risorse materiali ed umane nel rafforzamento del versante non istituzionale di queste dinamiche.

Collocare la disobbedienza al centro del processo sovranista
Finora, il centro del dibattito nel processo sovranista è stato il diritto a decidere, vale a dire il dibattito relativo al fatto che la società del Principato avesse il diritto di decidere liberamente il suo futuro politico. Parallelamente a questo dibattito, è sorto anche quello circa il come si materializzasse questo diritto; su questo punto, è chiara la divergenza fra coloro che, per conservare il loro potere di classe, negano qualsiasi opzione rotturista e, pertanto, condannano l’indipendenza alla sua non materializzazione e coloro che credono che la sovranità popolare sia al di sopra delle leggi vigenti e che si debba tenere presente il fatto di provenire da un processo di rifondazione tutelato dai poteri del franchismo.
È necessario che dalla sinistra indipendentista, dai movimenti anticapitalisti e dall’indipendentismo conseguente, mettiamo sul tavolo la necessità della disobbedienza e che la socializziamo fino ad incrinare l’egemonia delle proposte legaliste.
Tutti i cambiamenti sociali, tutte le rotture politiche hanno avuto bisogno di un’azione di disobbedienza per materializzarsi; una volta conquistata, all’interno della società del Principato, l’egemonia del diritto a decidere, è il momento di conquistare l’egemonia della disobbedienza come strumento legittimo ed efficace di cambiamento.

Come possiamo conquistare questa egemonia?
Dispiegano un’intensa campagna di propaganda a favore della disobbedienza come strumento di cambiamento politico e sociale; Individuando la disobbedienza come lo strumento centrale da rivendicare nelle prossime mobilitazioni indipendentiste.
Adottare la disobbedienza come asse dell’azione tattica che bisognerà condurre in quest’autunno 2014, man mano che si svilupperanno gli avvenimenti relativi al referendum.
Esigere la celebrazione del referendum ad ogni costo
Esigere il referendum ad ogni costo riunisce diversi elementi che mettono in scacco la posizione dei settori dirigenti in questo processo e rende impossibile la riformulazione del processo in un negoziato per nuovi patti con lo stato:
Mette all’angolo le vie legaliste che subordinano l’espressione della volontà popolare all’esistenza di elementi legali che la consentano;
Conferisce protagonismo al popolo e ne toglie al sistema istituzionale, con tutto il cambiamento che ciò comporta quanto alla relazione fra legittimità.
Per sviluppare questa linea d’azione è necessario:
lavorare come sinistra indipendentista nelle iniziative volte a socializzare l’idea irrinunciabile del referendum;
fermezza delle posizioni istituzionali della sinistra indipendentista (consiglieri comunali, sindaci, deputati) di fronte alle possibili manovre di rinvio, riformulazione o diluizione dei contenuti del referendum ed azione conseguente rispetto a quelle istanze “unitarie” che avallassero queste manovre;
preparare diverse mobilitazioni sociali di pressione durante i mesi di ottobre e novembre 2014, per esigere disobbedienza ad una possibile proibizione del referendum da parte del governo spagnolo.
In caso di rinvio o rinuncia / riformulazione in elezioni convenzionali della consultazione, bisogna chiamare alla mobilitazione il 9 novembre stesso; le forme di questa mobilitazione dipenderanno dall’autorganizzazione popolare in seguito a questa situazione e siamo consapevoli del fatto che la sinistra indipendentista non sarà l’unica protagonista; è chiaro che bisognerà evitare che queste mobilitazioni siano riconducibili ad organismi allineati con i responsabili della rinuncia o da essi controllate.

Elaborare una road map per la costruzione nazionale dei Paesi Catalani
L’elaborazione di una road map per la costruzione nazionale dei Paesi Catalani deve essere un compito urgente della sinistra indipendentista; è necessaria, approfittando delle aspettative di rottura, creare organismi, reti ed istituzioni che, avviando la costruzione di contropotere nei diversi ambiti (istituzionale, femminista, sociale, lavorativo, ecologista…), siano istituzioni nazionali dei Paesi Catalani.

Fonte: www.controlacrisi.org (Trad. it. Gorri)

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