Domenica a Bologna si è svolta l’assemblea nazionale di Ross@ che ha approvato il documento politico presentato. Il testo pubblicato qui di seguito, sarà arricchito da alcune integrazioni presentate nel corso del dibattito dell’assemblea.
Le foto sono di Patrizia Cortellessa.
1. INTRODUZIONE
1.1 L’esperienza del Comitato No Debito. La decisione di svolgere l’assemblea nazionale degli iscritti di Ross@ il prossimo 5 Ottobre non nasce da una decisone presa a tavolino o da una necessità tattica ma da un percorso che sta maturando dal 2011 con la formazione del “Comitato No Debito”, con la promozione delle sue iniziative e, soprattutto, in rapporto alle evoluzioni del quadro politico generale a partire dalle vicende e dal ruolo assunto dalla Unione Europea. E’ necessario ricostruire questo “filo rosso” perché mette in evidenza la dinamica di mobilitazione che si è sviluppata in questi anni, la relazione tra questa e le vicende politiche generali, della sinistra e del movimento e per superare una abituale visione legata alla contingenza, alle necessità del momento, alle tattiche per tentare di ricostruire una visione organica e di lungo periodo.
Il contesto in cui nasce il “Comitato No Debito” è di carattere continentale ed è quello dei cosiddetti debiti sovrani. Il “capro espiatorio” per eccellenza di quella fase è stata la Grecia messa praticamente in ginocchio dalle politiche della Unione Europea che, nella crisi finanziaria internazionale apertasi nel 2007, stava andando ad un feroce processo di riorganizzazione interna. Processo che è ancora in atto ed in cui i paesi PIIGS dovevano essere le vittime predestinate. Tant’è che nel mese di Agosto del 2011 Trichet e Draghi inviarono una lettera all’allora governo Berlusconi comunicando il diktat della Unione Europea sull’austerità anche verso l’Italia. Lettera che avrebbe preparato le dimissioni di Berlusconi e la nomina di Monti quale nuovo presidente del consiglio, caldamente sostenuto dal presidente della repubblica Napolitano.
La necessità di una risposta di massa si imponeva obiettivamente e già dal mese di Luglio erano iniziati una serie di contatti sulla proposta di costituzione del “Comitato No Debito” che avrebbero portato al 1° Ottobre di quell’anno alla grande assemblea tenuta al teatro Ambra Jovinelli che avrebbe poi dato vita alle mobilitazioni successive. Mobilitazioni che, nonostante i molti limiti materiali, finanziari ed organizzativi, hanno segnato tutto il 2012 e sono state le uniche di carattere generale a tenere la piazza in quella fase. Dalla partecipazione alla manifestazione del 15 Ottobre, non andata esattamente secondo le aspettative, alle assemblee nazionali ed ai momenti seminariali di approfondimento, dalle numerosissime iniziative territoriali sulle politiche di austerità alle riuscite manifestazioni alla borsa di Milano il 17 marzo e del No Monti Day del 27 Ottobre a Roma.
Se sul piano nazionale quelle sono state le uniche manifestazioni di massa dell’opposizione al governo Monti, va ricordata una forte attività territoriale che ha coinvolto molte situazioni come le città di Milano, Bologna, Roma, Napoli, la Toscana, il Veneto. La Liguria, Parma sulle tematiche relative alle politiche di austerità attuate nella sanità, nei trasporti, nelle scuole etc.
Quella esperienza è stata promossa da molte strutture politiche (c’era il PRC ma anche Sinistra Critica, il PCL, la Rete dei Comunisti, i CARC ed altri ancora) e di carattere sindacale e sociale (USB, la Rete 28 Aprile, i movimenti per la casa, etc.). Questo carattere “plurale” quando è emersa la necessità di andare verso una unità più stretta ed ad una fase di stabilizzazione ha prodotto, appunto, una pluralità di posizioni che hanno impedito un ulteriore passo in avanti che portasse ad un processo non di unificazione meccanicistica, cosa evidentemente impossibile, ma ad un “cartello” più omogeneo e stabile nel suo programma ed iniziativa.
Questa contraddizione interna ha portato all’inizio del 2013 al superamento del “Comitato No Debito” ed alla necessità da parte di alcune componenti dei promotori di individuare un ulteriore passaggio nella definizione di obiettivi, programmi e strutture che poi ha condotto alla decisione di dare vita a Ross@.
1.2 La nascita di Ross@. Decisione che non era affatto scontata, infatti è stata presa nel periodo in cui si sono svolte le elezioni politiche del 2013 e queste hanno interferito nel dibattito attraverso la “lista Ingroia” che sembrava fosse un momento di ripresa dei partiti della cosiddetta sinistra radicale. La riconferma della esternità di questa alla dimensione istituzionale ha poi rafforzato la decisione di procedere sulla strada intrapresa con l’assemblea di Bologna del maggio 2013 che ha rappresentato una proposta politica anche se ancora tutta da strutturare e formalizzare. Il documento finale dell’assemblea di Bologna per la prima volta ha esplicitamente preso posizione sulla rottura dell’ Unione Europea come primo punto di una piattaforma articolata che poneva anche la questione del sindacalismo conflittuale ed anche quella della rappresentanza dei settori sociali come obiettivo comune. Documento quello votato all’epoca sia dai militanti del PRC interni a Ross@ sia da Sinistra Anticapitalista, nel frattempo nata dopo la conclusione di Sinistra Critica.
Proprio su questo terreno Ross@ ha contribuito nell’autunno ad organizzare le mobilitazioni del 18 e 19 Ottobre, indette anche dal sindacalismo conflittuale e dai movimenti sociali, che si sono rivelate come momenti di rappresentanza di un fronte politico sociale ampio che avrebbe potuto avviare un importante processo unitario. Lo si è visto dalle reazioni isteriche avute dalla stampa e dalla frustrazione prodotta alle forze politiche di governo in quanto in quell’occasione è stata politicamente resa impossibile la repressione e la ripetizione dei fatti del 15 Ottobre. In quelle giornate si è contribuito ad organizzare le ‘accampate’ come forme democratiche di rappresentanza che si propongano di rompere ‘la ferrea legge dell’oligarchia’ e, al contempo, sappiano inventare nuove forme di organizzazione dotate di capacità e forza nella contrattazione sindacale e sociale.
Inoltre La piattaforma dello sciopero del 18 ottobre del sindacalismo conflittuale richiamava gli obiettivi della migliore cultura ambientalista: per mettere in sicurezza territorio ‘devastato da decenni di speculazione e abusivismo’ le scuole e il patrimonio pubblico; per realizzare il rimboschimento, tutelare e ampliare i terreni agricoli, e riqualificare la filiera agroalimentare; per requisire le case sfitte in modo da garantire il diritto all’abitare; per tutelare il patrimonio artistico. Anche l’indicazione, contenuta nella piattaforma del 18 ottobre, della rottura dell’UE è l’espressione della presa d’atto che non si è più di fronte a un ‘deficit democratico’ delle istituzioni dell’UE, bensì in presenza di un’oligarchia, strumento del dominio delle imprese, delle banche e della finanza.
Purtroppo su questo terreno i progressi unitari sono stati bloccati dagli abituali comportamenti egemonici presenti nelle aree di movimento, mentre si andava delineando un’altra scadenza elettorale che avrebbe inciso sulla formazione di Ross@. Questo secondo problema ha cominciato a manifestarsi nell’assemblea del 17 dicembre dove gli ostacoli alla stabilizzazione di Ross@ ed ad un sua più distinta identità emergevano con chiarezza sulla questione dell’Unione Europea rispetto alla quale nascevano ripensamenti rispetto all’obiettivo definito nell’assemblea dell’11 maggio sulla “rottura dell’Unione Europea”. Contraddizione questa che si è trascinata fino al passaggio elettorale sulle elezioni di maggio 2014, dove la divaricazione è divenuta separazione politica, con gli aderenti al PRC e con SA, dopo il risultato di misura avuto dalla “lista Tsipras”.
Sul fronte del movimento, ormai sganciatosi dall’esperienza unitaria del 18 e 19 Ottobre, le cose non sono andate meglio e la manifestazione del 12 Aprile con le cariche e gli arresti conseguenti hanno bruciato un capitale politico rilevante e dato il via libera alla repressione, che oggi si sta ripercuotendo su una serie di esperienze legate agli spazi sociali occupati.
Anche movimenti importanti come quelli ambientali e delle donne, in questi anni hanno posto al centro dell’agenda questioni e conflitti che sono venuti assumendo una importanza crescente nella contraddizione tra capitale e lavoro. La finitezza del pianeta, delle sue risorse e della sua capacità di riproduzione, si configura sempre più come un limite del capitalismo stesso. L’infarto ecologico del pianeta segna un punto di rottura che però trascina con sé non solo il fallimento di un modello ma di tutta l’umanità. Le lotte ambientali in alcuni territori hanno provato a segnalare – sia sul piano globale che locale – la visione lunga e le conseguenze di questa contraddizione, ma c’è ancora molto da lavorare per definire una ricomposizione generale e una visione comune. I movimenti delle donne, ai quali si sono ormai affiancati e sommati movimenti più ampi di rivendicazione della libera scelta della sessualità, hanno dovuto fare i conti con il depotenziamento sul piano del conflitto messo in campo dall’egemonia ideologica liberale, che da sempre ha la pretesa di avere già in sè i diritti civili individuali, anche quando nega i diritti come conquista collettiva e trasformatrice del sistema.
1.3 Ross@ in controtendenza, verso una nuova tappa. Questa tendenza latente alla disgregazione, manifestatasi nell’ultimo anno, va in qualche modo spiegata e razionalizzata e questo può essere certamente fatto a partire da una valutazione sui nostri settori sociali di riferimento anch’essi in condizione di debolezza e di disgregazione. Ma ci sono anche le responsabilità soggettive legate ad una mancanza di reale indipendenza dal quadro politico istituzionale e dalla ideologia predominante. In questo senso va vista la difficoltà di tutta la sinistra, da quella politica a quella di movimento, di esprimere la propria estraneità al progetto reazionario di costruzione della Unione Europea e la subordinazione che viene data alle prospettive politiche rispetto alla contingenza tattica che si manifesta dando ai passaggi elettorali quella centralità che in modo evidente è stata esiziale per la sinistra in Italia negli ultimi venti anni.
In questo contesto di difficoltà la scelta di Ross@ di mantenere la chiarezza politica sulla questione della Unione Europea e di continuare nella sua funzione generale è stata confermata con l’iniziativa della raccolta nazionale di firme, tenuta tra Aprile e Maggio, per un referendum sui trattati europei, con la proposta del controsemestre e dalla manifestazione del 28 Giugno dove, nonostante che i numeri non siano stati paragonabili alle giornate di Ottobre, si è riconfermato appieno l’obiettivo della rottura della UE. Inoltre è stato possibile vedere una partecipazione di lavoratori e settori sociali che possono essere il nucleo di una rappresentanza politica del blocco sociale tutta da costruire ma che ormai sta nel DNA attuale di Ross@
Siamo dentro un processo di costruzione complicato ma che va visto in modo organico rispetto alle sue evoluzioni e dunque ora dobbiamo definire con più chiarezza possibile il passaggio che dobbiamo effettuare. Indubbiamente va continuato il lavoro per meglio definire gli obiettivi generali che ci diamo, sviluppando al massimo il confronto interno ed esterno, l’approfondimento di merito e le iniziative politiche e di lotta nel modo più unitario possibile nell’ambito che ha deciso di rompere effettivamente con la “catena di sant’Antonio” del PD. A questo però ora va aggiunto un altro “pezzo” che è quello della stabilizzazione e formalizzazione che vedrà nell’appuntamento del 5 Ottobre un punto fermo nella costruzione del Movimento Politico di Ross@.
2. DALLA FINE DEL WASHINGTON CONSENSUS ALLA COMPETIZIONE GLOBALE
2.1. Lo scenario e i fattori che avevano portato al compimento della globalizzazione economica capitalista alla fine del XX Secolo, hanno subito delle brusche controtendenze nell’ultimo quindicennio lasciando il campo a quella che sempre più di configura come una competizione globale. Nella fase precedente, anche attraverso organismi sovranazionali come Wto, Fmi, Banca Mondiale e la stessa Nato, era sempre stato decisivo il Washington Consensus. Anche adesso gli Stati Uniti cercano con ogni mezzo di agire ancora come primus inter pares ma le tendenze messesi in moto insidiano pesantemente questa posizione egemonica.
2.2. Una prima rottura degli equilibri strategici e delle relazioni economiche internazionali basate sul Washington Consensus è venuta sul piano monetario con l’entrata in vigore dell’euro nel 2000/2002. Già il vertice della Wto di Seattle del 1999 (emblematico anche come atto di nascita dei movimenti altermondialisti) aveva rivelato la crisi di questa “camera di compensazione” tra gli interessi dei costituenti poli geoeconomici divaricanti tra loro. Oggi la Wto è diventata praticamente una scatola vuota. Lo stesso Fmi, bestia nera dei programmi di aggiustamento strutturale che avevano devastato tutti i paesi in via di sviluppo in America Latina, Africa, Asia e i paesi dell’Europa dell’Est, è venuto perdendo la sua funzione, recuperandola parzialmente e paradossalmente proprio dentro la Troika europea. Infine anche la Nato, che pure aveva celebrato i suoi quaranta anni proprio con i bombardamenti sulla Serbia nel 199, aveva cessato di essere il luogo dove venivano definite e messe in campo le scelte militari delle potenze occidentali. Emblematica la crisi interna sul conflitto in Georgia nel 2008 quando i partner europei rifiutarono agli Usa di intervenire contro la Russia. Anche il recente vertice della Nato in Galles, una volta analizzato nel merito delle decisioni prese, ha mostrato secondo moltissimi osservatori una crisi delle relazioni interne e del peso statunitense molto più forte di quanto abbiano lasciato apparire i comunicati ufficiali (ben 113 punti, troppi secondo gli esperti, per indicare una convergenza di obiettivi tra i partner della Nato).
2.3. La moneta europea, per quanto ancora sottoutilizzata nelle transazioni economiche internazionali, è diventata ben presto una moneta forte, ben presente nelle riserve dei vari Stati e fattore unificante di un polo economico e geopolitico come l’Unione Europea. La Bce e l’eurozona, ad esempio, hanno funzionato come fattore respingente del tentativo degli Stati Uniti di scaricare – come in passato – i costi della loro inflazione interna (cresciuta con i ripetuti quantitative easing della Fed) sull’Europa. Le feroci critiche dell’amministrazione Usa al “rigore” europeo denunciavano in realtà il fatto che il “giochetto” usato in passato … questa volta non ha potuto funzionare.
2.4. Mentre l’Unione Europea dal 1992 definitiva la sua marcia, anche nelle aree del mondo si erano messi in moto processi tesi a costituire aree o poli economici sovranazionali ben più estesi dei singoli Stati. Gli Usa avevano realizzato il Nafta nel 1994 ed avevano cercare di imporre l’Afta all’intera America Latina. L’opposizione dei popoli e poi dei governi latinoamericani, ha impedito questa operazione realizzando altre e diverse aggregazioni su base regionale: dal Mercosur all’Alba. Quest’ultima ha messo insieme i paesi progressisti dell’America Latina e livelli di integrazione che hanno portato ad una “moneta” comune – il Sucre – che agisce come unità di cambio completamente sganciata dal dollaro nelle relazioni commerciali tra i paesi aderenti e ad una propria banca: La Banca del Sur, sganciata dal Fmi e dalla Bm.
Lo stesso processo è accaduto in tempi più recenti in Asia ad esempio con il Trattato di Shangai (nato come accordo di cooperazione nel 1996 e diventato trattato nel 2001) che vede come aderenti Cina, Russia, Kazachistan, Uzbekistan, Tagikistan, Kirghisistan. Più recentemente – nel 2013 – sono stati ammessi come osservatori anche Iran, Pakistan, Afghanistan, India, Mongolia .
Se la globalizzazione regolata dal Washington Consensus è palesemente in crisi, tuttavia la mondializzazione dell’economia continua sotto il segno della crescita quantitativa, nelle varie latitudini e continenti, della classe operaia, sottoposta a varie forme, spesso combinate, di sfruttamento. E’ una mondializzazione accompagnata ovunque da una esplosione delle disuguaglianze sociali, cui non si sottraggono del tutto i paesi emergenti conosciuti come Brics.
2.5. Ma se le vecchie camere di compensazione (Fmi, Wto, Bm, Nato) non funzionano più o non funzionano come prima nelle relazioni tra le maggiori potenze economiche capitaliste, come si vanno a delineare le nuove relazioni internazionali e i conseguenti rapporti di forza? Il mondo, oggi globalizzato ma non più egemonizzato dal solo Washington Consensus, tende a dividersi in aree o poli economici, monetari che agiscono sia in concertazione che in competizione tra loro. Il problema è la “finitezza” delle risorse (a cominciare da quelle energetiche ma non solo) e le enormi difficoltà di valorizzazione del capitale che la crisi sta rivelando. La stessa finanziarizzazione sta dimostrando tutti i suoi limiti. Ed è per ovviare a questi che è stata scatenata un’offensiva micidiale che punta alla valorizzazione del capitale attraverso il saccheggio sistematico dei sistemi di welfare e dei salari. Non è escluso che già si vadano accumulando altre bolle speculative che possono esplodere con effetti pesanti sulle relazioni economiche mondiali e in modo particolare tra Stati Uniti ed Unione Europea. Relazioni che indicano come sempre più le relazioni internazionali di questo XXI secolo si vadano conformano intorno a poli o aree monetarie, economiche e commerciali in competizione tra loro.
2.6.I primi fattori che oggi pesano come macigni sono proprio la non risoluzione della crisi economica negli Stati Uniti e nell’Unione Europea e i crescenti segnali di guerra intorno all’Europa: alla sua frontiere dell’Est e del Sud.
Stati Uniti ed Unione Europea hanno in comune la crisi ripresentatasi con forza nel 2007/2008 dopo quella irrisolta degli anni Settanta e quella statunitense del 2001 con la bolla della net economy. Le due maggiori aree del capitalismo avanzato sono alle prese con una crisi rispetta alla quale i rimedi messi in campo dalla cassetta degli attrezzi del capitalismo (sia nelle versione liberista che keynesiana) non sembrano funzionare. Ma questa crisi si presenta in modo asimmetrico: colpisce i due maggiori poli capitalisti ma non – o in misura minore – le economie emergenti dei paesi Brics. C’è dunque uno sviluppo disuguale dentro a paesi ed aree integrate che, in modo diverso, applicano la stessa logica capitalista, dunque tra “i capitalismi”.
Gli Usa ipotizzano che una soluzione potrebbe essere quella di integrare fra loro i “capitalismi simili attraverso nuovi trattati di libero scambio con l’Unione Europea (TTIP) e con l’Asia (TPP). Dunque una aggregazione ancora maggiore per competere con e contro i Brics. Ma questo presuppone che le contraddizioni e la competizione all’interno delle relazioni tra Unione Europea e Stati Uniti trovino delle soluzioni adeguate. Queste non possono che sancire la fine del Washington Consensus e una riduzione del peso decisionale degli Stati Uniti nella partnership. Una presa d’atto che buona parte dell’establishment statunitense – sia conservatore che democratico – vede come fumo agli occhi.
Il tentativo dei neocons statunitensi di evitare tale scenario scatenando in questi anni guerre asimmetriche e sistematica destabilizzazione in Afghanistan, Iraq, Nordafrica, Medio oriente, ovvero nel “cortile di casa” dei partner europei, è stata la dimostrazione pratica del terrore statunitense di perdere la leadership mondiale. Oggi questo gioco pericoloso è diventato evidente con le tensioni e il conflitto animati con la Russia sull’Ucraina e con il perseguimento dell’instabilità in Medio Oriente e Nordafrica dove ormai si è arrivati all’impero del caos. Governare questo caos con i bombardamenti dei droni e dei missili dall’alto o qualche blitz, offre però pochissime garanzie di riuscita. Il crescente sviluppo disuguale tra le varie aree e poli capitalisti e l’innalzamento della soglia nei conflitti militari, sta alimentando una tendenza alla guerra che va colta, denunciata e contrastata nella sua gravità evitando ogni tifoseria sui soggetti in campo.
2.7. Agire per la rottura dell’Unione Europea e per l’uscita e lo scioglimento della Nato significa proprio questo: indebolire il “nostro” imperialismo per impedirgli di prendere parte alle guerre o alle devastazioni contro altri popoli e paesi. Ciò significa contrastare il polo imperialista europeo (un polo appunto e non ancora uno Stato) sia quando agisce in concerto con gli altri (vedi l’alleanza con gli Usa nella Nato), sia quando agisce in proprio attraverso gli interventi militari dei singoli governi europei (vedi la Francia in Libia o in Africa). Neutralità militare e internazionalismo sono due elementi decisivi di un opzione anticapitalista. Possiamo dunque affermare che le mobilitazioni contro la Wto, il Fmi e la Nato sono state o sono un falso bersaglio? No, ma sicuramente non colgono più la dimensione assunta dai soggetti decisivi che animano la competizione globale di questo primo ventennio del XXI Secolo.
Le relazioni economiche mondiali e i conseguenti rapporti di forza, hanno subito delle modificazioni che vanno ben comprese affinchè un movimento anticapitalista come Ross@ non agisca dentro una fotografia della fase precedente ma dentro il nuovo scenario.
3. L’UNIONE EUROPEA E L’ITALIA OGGI
3.1 Riteniamo necessario lottare per rompere l’Unione Europea e costruire uno spazio europeo alternativo. Dunque dentro l’Europa ma fuori dall’Unione Europea.
Lo scuotamento delle forme e del ruolo della politica opera ormai a più livelli, agisce sul piano locale, nazionale e sovranazionale: formando un blocco storico neoliberale. Non si tratta si un semplice assalto alla sovranità degli Stati ma di una sussunzione di alcune loro parti in nuovi assetti di governance in grado di trasformare la statualità stessa. La democrazia liberale non è stata semplicemente “confiscata” negli stati membri dell’Unione Europea e trasferita e gestita a Bruxelles. Non ha senso orientare l’azione politica sulla parola d’ordine della riconquista democratica, questa non può avvenire nemmeno nel Parlamento europeo pensando di poterlo trasformare in qualcos’altro, ma nemmeno nei Parlamenti nazionali che sono parte integrante della governance. Nessuna malinconia per la liberaldemocrazia perduta, la politica va ripensata e costruita a partire da tutti i livelli.
Per fronteggiare la crisi economico-finanziaria e per competere su scala globale, l’UE è andata in questi ultimi anni sempre più rafforzando il suo sistema di governance, concentrata nel Consiglio Europeo, nella Commissione, nell’ECOFIN, nella BCE. L’UE è l’esperienza più avanzata nell’organizzazione di un grande spazio economico e gli Stati europei agiscono in funzione di questo obiettivo del mercato unico continentale.
Il nuovo sistema di governance nato per fronteggiare la crisi economico-finanziaria, si è strutturata attraverso i Regolamenti del Six Pack e del Two Pack e con accordi intergovernativi, il Patto Fiscale e il Trattato ESM, per controllare ex ante e ex post le politiche di bilancio. Si è modificato l’articolo 81 della Costituzione per sancire il pareggio di bilancio al livello più alto nella gerarchia delle fonti, e si è riformata la legge di contabilità per adeguarla alla normativa dell’UE.
Con queste misure si è dato il potere sull’intera gamma delle politiche pubbliche a un’oligarchia. Per questo si deve avere come obiettivo strategico la rottura dell’UE, essendo impossibile una sua riforma come dimostra l’impotenza verso questa oligarchia dei parlamenti sia nazionali sia europeo. È questa oligarchia a essere il ‘giudice di ultima istanza’ che detta le misure di bilancio e di politica economica, mentre la BCE regna sulla moneta. Parliamo di Unione Europea come oligarchia perché c’è un dato empirico a dimostrarlo. Le istituzioni di Bruxelles hanno 30.000 funzionari. Nei palazzi accanto a quello delle varie istituzioni europee lavorano e agiscono ben 31.000 “agenti di pressione” delle lobby che determinano le direttive della Ue.
3.2 Ciò che guida il governo tedesco nel chiedere disciplina fiscale e riforme del mercato del lavoro dei Paesi dell’Eurozona è la stabilità dell’euro necessaria per la sicurezza degli scambi e degli investimenti, mentre le riforme servono per contenere e possibilmente abbassare il costo del lavoro dei settori produttivi legati alla subfornitura dell’industria tedesca. Dunque il contenimento dei costi lungo tutta le catene produttive – Est e Sud Europa – è un elemento cruciale per mantenere bassi e concorrenziali i costi dei prodotti tedeschi che incorporano beni intermedi provenienti dall’area europea. Il sistema industriale tedesco ha avuto la capacità di utilizzare l’allargamento a Est per decentrare fasi di produzione, accompagnata dalle riforme del mercato del lavoro che hanno reso possibile flessibilità della forza lavoro, riduzione dei salari, e mini-jobs. Nelle scelte della classe dirigente tedesca sussistono elementi di egemonia, che provocano frizioni con gli altri paesi europei suscitando proteste in nome della difesa delle economie nazionali: quello della sempre più stretta integrazione delle economie dell’Eurozona è un disegno condiviso dall’insieme delle élite europee – politiche imprenditoriali e tecnocratiche.
3.3 I programmi dei governi italiani che si sono succeduti dal novembre 2011, Monti Letta Renzi, sono stati dettati da Draghi e Trichet con la loro lettera del 5 agosto 2011 e riconfermati nelle Raccomandazioni ai governi della Commissione negli anni successivi.
In Italia il ventennio che abbiamo le spalle, dominato dalle querelle berlusconismo – antiberlusconismo, ha visto una progressiva mutazione genetica tanto della vecchia sinistra moderata quanto della Cgil e, nel contempo, ha registrato la scomparsa della “sinistra radicale”. Si è viceversa rafforzata la presenza del sindacato di base e conflittuale. Ne è conseguita una perdurante regressione della coscienza pubblica connotata dall’affermazione di uno spirito individualista “competitivo” anche tra gli stati subalterni, Il “caso italiano” degli anni ’60 e ’70 (senso dell’agire collettivo, soggettività conflittuale e progettuale, politicità diffusa) si è rovesciato ed è precipitato nello stagno dell’antipolitica (la lotta alla “casta”), terreno di coltura dei concorrenti populismi “dell’uomo solo al comando”: Berlusconi, Grillo e Renzi. La rappresentazione, l’immaginazione abilmente manipolata, la fiction, hanno sostituito nelle coscienze la percezione della realtà fattuale. Il nostro faticoso lavoro, oggi, sta nel “decriptare qel mondo di segni che avvolgono nella loro pregnanza il mondo reale con una prepotenza che esclude ogni possibilità di scelta”. La pratica di movimento deve attraversare questa “terra di nessuno” per restituire agli sfruttati e ai dominati una coscienza di classe. Ricordiamoci che il voto operaio, in Italia come in Francia, non va alle forze si sinistra.
Oggi Renzi con il Jobs Act si accinge, dopo aver manomesso i contratti a tempo determinato, a cancellare lo Statuto dei diritti dei lavoratori compreso l’articolo 18, per imporre una generalizzata flessibilità dell’uso della forza lavoro. E con la spending review, oltre a bloccare ancora una volta i contratti del pubblico impiego, si procede ancora con i tagli lineari alla spesa pubblica per recuperare 32 miliardi entro il 2016, con le dismissioni di quote azionarie pubbliche in SNAM, ENI, Terna, Fincantieri, STM, SACE e successivamente Poste e Ferrovie; dopo che con la rivalutazione delle quote della Banca d’Italia si è fatto un altro regalo alle banche. Renzi con una mano dà 80 euro a settori del lavoro dipendente, con l’altra toglie servizi ai cittadini che devono, se possono, ricorrere al mercato per usufruirne.
Sussistono una continuità e un’omogeneità politiche tra centrodestra e centrosinistra, plasticamente dimostratasi con i governi che si sono succeduti dal novembre 2011 sostenuti da forze e partiti delle due aree politiche, che hanno sostenuto le politiche dell’UE. L’omogeneità politica, che si è venuta creando in Italia, affonda le sue radici nel terreno dell’UE dove si definiscono le politiche pubbliche degli Stati membri.
Questa omogeneità politica non si limita alla sola politica economica, con l’affermata primazia dei mercati; essa si estende fino alla cultura istituzionale. Accettato dal PD e dal centrodestra come un fatto ‘naturale’ lo svuotamento della stessa democrazia rappresentativa, con l’avvento di Renzi si va realizzando, anche interventi di modifica della Carta costituzionale, l’instaurazione del ‘premierato assoluto’, una variante del regime del primo ministro, in cui confluiscono tendenze di lungo periodo: la personalizzazione della politica, la democrazia immediata e, attraverso la videocrazia, il rapporto diretto tra premier ed elettori.
Strumento dell’instaurazione della supremazia del premier è il governo, non più legato alla fiducia del parlamento ma legittimato dalla sola ‘sanzione elettorale’ e dalla subalternità al “pilota automatico” degli apparati europei. Renzi non è stato eletto ma la sua vittoria alle elezioni europee funge da succedaneo: ‘io rappresento il 41% degli elettori e i sondaggi confermano la mia legittimità’. L’Italia è giunta alla ‘democrazia di investitura’: le elezioni non servono più a esprimere la rappresentanza parlamentare, ma ad investire il premier. Per questo si vuole introdurre, con l’accordo di Berlusconi, uno stabile sistema maggioritario con una legge elettorale sia con premio di maggioranza sia con alte soglie di sbarramento. Le elezioni servono a eleggere il governo non più i propri rappresentanti.
Così con la cancellazione del Senato, la garanzia del voto sulle leggi del governo, e il sistema maggioritario si cambia forma di governo e forma di Stato: il governo non ha più bisogno della fiducia del Parlamento, i cittadini hanno un rapporto virtualmente diretto con il premier, che interpreta la volontà della Nazione. Il premier è il popolo, così si potrebbe parafrasare la celebre espressione di Hobbes: il re è il popolo.
Dopo la rivoluzione passiva dell’era Berlusconi, ora siamo dinnanzi al sovvertimento dall’alto della società portato avanti dal governo Renzi. Un sovvertimento della società, non solo una trasformazione autoritaria delle istituzioni. Questo è ciò che devono fronteggiare forze politiche alternative, i movimenti, e i sindacati. E il presupposto necessario di questa lotta è la rottura con il sistema di potere PD, che ha nelle Regioni e negli enti locali il suo fondamento e la sua forza propulsiva. Allearsi con il PD a livello territoriale è sostenere questa base di potere, peraltro profondamente corrotta per l’affarismo e il dispendio del pubblico denaro.
3.4 La costruzione di una democrazia, in cui nessuno si possa arrogare la sovranità, che appartiene solo al popolo, è un compito primario. Essa deve coinvolgere tutti i livelli dell’organizzazione sociale e istituzionale: una democrazia multilivello in cui si intreccino rappresentanza e partecipazione diretta, in cui tutte le questioni culturali, sociali, economiche, istituzionali siano dibattute e decise da tutti/e, alla cui base deve esserci la garanzia dei diritti universali della persona.
La persona sessuata è il punto di vista che i movimenti femministi hanno elaborato per rivendicare il valore della differenza: diversi/e nella propria individualità e uguali come persone. Questa visione è il fondamento della critica del patriarcato e delle forme di oppressione che la modernizzazione capitalistica non ha mai superato anzi continuamente riproduce.
Ciò comporta di stabilire il primato dei valori costituzionali al di sopra della ‘politica’, e di sottoporre continuamente le scelte dei rappresentanti politici a controllo e correzione. I rappresentanti non sono il popolo: è pura retorica fondere gli uni con l’altro. Occorre costruire spazi pubblici per interventi ‘dal basso’ che mettano in discussione ruolo e scelte dei ‘rappresentanti’ (di qualsiasi matrice e provenienza), non più ‘santificati’ come espressioni della sovranità popolare o della ‘ragione storica’. La pretesa di parlare per il popolo va permanentemente sottoposta a verifica e a critica. Nel rapporto conflittuale tra movimenti sociali e rappresentanza, compresi dunque sindacati e partiti, si costituisce l’autorità popolare, espressione non di una misteriosa entità ma frutto delle mobilitazioni di massa.
3.5 La CES, organismo sindacale europeo, ha scelto di non sostenere le mobilitazioni nei paesi colpiti dai provvedimenti di austerità, i famosi PIGS, né ha promosso lotte contro le decisioni delle politiche di bilancio e contro il Fiscal Compact e l’ESM. La CES ha accettato le decisioni dell’UE sulle politiche pubbliche di aggiustamento fiscale, di flessibilizzazione del lavoro, di ulteriori ondate di liberalizzazioni e privatizzazioni. I sindacati della CES sono una componente di tutto rilievo nella gestione politica della crisi, essendo organizzazioni chiamate a contenere i conflitti, quando non proprio a sostenere il padronato nelle sue richieste.
L’esito è una precarizzazione generalizzata del lavoro, l’aumento della povertà che colpisce anche chi lavora, l’esplodere della disoccupazione, la destrutturazione dei contratti nazionali e il decentramento della contrattazione collettiva, di fatto la sua aziendalizzazione secondo il ‘modello Marchionne’. Nel pubblico impiego si continua nel blocco dei contratti, nel loro accorpamento per sminuire il peso del sindacalismo conflittuale, nell’uso della spending review per tagliare servizi e livelli occupazionali. CGIL-CISL-UIL sono soggetti attivi di questo sistema di compressione e gestione autoritaria dei rapporti di lavoro. La precarizzazione del lavoro attraverso i contratti atipici è stata accompagnata dallo smantellamento della contrattazione collettiva e dalla trasformazione del sindacato in agenzia di servizi (la bilateralità). Obiettivo, nel colpire i segmenti cd forti del lavoro dipendente, è di decentrare la contrattazione per esaltare il contratto aziendale, che può ora introdurre norme in deroga al contratto nazionale e alle stesse leggi. Obiettivo raggiunto con l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e con l’articolo 8 del decreto legge n. 138/2011.
3.6 Con il regime Renzi, GCIL-CISL-UIL hanno perso perfino il ruolo di comparse del ‘dialogo sociale’ e il governo procede a elargizioni salariali con il bonus fiscale mentre rende sempre più precari i rapporti di lavoro a partire dai contratti a termine, in attesa di colpire ulteriormente quelli a tempo indeterminati con la flessibilità nei licenziamenti.
Stiamo assistendo alla fase finale del vecchio sindacalismo confederale, e in questa crisi CGIL-CISL-UIL, in complicità con il padronato, tentano di far sopravvivere il loro monopolio della rappresentanza e di trasformarsi in ‘sindacato dei servizi’. CGIL-CISL-UIL sono divenuti parte integrante e attiva della gestione delle imprese e del sistema economico capitalistico; attraverso gli enti bilaterali sono attive nell’intermediazione lavoro, nella formazione (spesso con l’uso clientelare delle risorse pubbliche), nella gestione degli istituti dell’integrazione del reddito, nell’amministrazione del welfare aziendale. Sotto la duplice pressione dei governi e del padronato si è arrivati, prima all’ Accordo 28 giugno 2011, poi al Testo unico della rappresentanza del 10 gennaio 2014,
Con il Testo unico sulla rappresentanza si afferma una concezione proprietaria di CGIL-CISL-UIL nei confronti dei lavoratori, dato che sono esse a selezionare i possibili soggetti della contrattazione collettiva. Chi non accetta le clausole dei loro accordi è escluso dalla formazione della rappresentanza e dunque dai tavoli contrattuali. Con il Testo unico si sono stabilite clausole tali da rendere ‘esigibili’ i contratti e sanzioni in modo da impedire il ricorso a qualsiasi forma di lotta, mettendo così in discussione la stessa libertà di sciopero.
Il Testo unico è un’espropriazione del diritto di tutti i lavoratori a eleggere la propria rappresentanza e uno strumento per rendere marginale il sindacalismo conflittuale. La lotta contro il Testo unico per giungere a una legge di attuazione dell’articolo 39 della Costituzione e la costruzione di un sindacalismo di classe e democratico, capace di costruire un rapporto organico con i movimenti sociali e territoriali, sono obiettivi fondamentali anche nell’ottica di costruire un progetto politico di alternativa al capitalismo.
4. ROTTURA E UNITA’. IL PROGRAMMA DI ROSS@ COME MOVIMENTO ANTICAPITALISTA
4.1. Ross@ intende promuovere nel paese – e tendenzialmente anche negli altri – un vasto movimento politico, sindacale, sociale e culturale con l’obiettivo di rompere con l’Unione Europea e la Nato. La prima perché – a differenza dell’Europa – essa non rappresenta uno spazio sociale, politico o geografico naturale per il conflitto di classe – ma perché rappresenta l’apparato che le classi dominanti europee hanno costruito per poter esercitare la loro egemonia sulle classi sociali subalterne. La seconda perché è l’apparato politico-militare attraverso cui gli Stati Uniti interferiscono sulle vicende europee, spingono all’aggressione contro altri popoli e militarizzano i territori dei paesi aderenti e di quelli subordinati. Entrambi gli apparati hanno come natura quella di perseguire l’egemonia del capitalismo sulle società dei paesi aderenti e di imporlo nelle relazioni internazionali. La rottura con l’Unione Europea e con la Nato implica la disdetta dei trattati internazionali fin qui sottoscritti dall’Italia in questi due ambiti, inclusa la parte che istituisce l’Eurozona e l’adozione dell’euro o la presenza e l’uso delle basi militari Nato e Usa nel nostro paese.
4.2. Ross@ dichiara la propria indipendenza e radicale alternatività al sistema di potere del Pd. Ross@ rivendica ed agisce per un progetto autonomo e alternativo al partito e al regime che incarna i diktat e la filosofia della Troika (Bce, Ue, Fmi). Nessuna alleanza né programma comune è possibile con il partito/sistema che ha conformato tutti i livelli del governo centrale e locale alla dittatura della governance in nome della Troika. Ross@ sostiene tutte le opzioni democratiche e di classe che fanno propria questa alterità.
4.3.Ross@ lavora per ridare rappresentanza politica e democratica al blocco sociale antagonista oggi frammentato e diviso. La ricomposizione di un blocco sociale anticapitalista, a fronte delle modificazioni intervenute nelle nostre classi di riferimento e della disgregazione sociale e culturale che ha agito in questo trentennio, è l’obiettivo che intende praticare con determinazione. In un paese con quasi otto milioni di persone senza un lavoro vero, con i redditi in caduta libera, con la istigazione alla guerra tra poveri, con i tentativi di abbassare complessivamente sia le condizioni di lavoro che le aspettative generali delle classi subalterne, Ross@ agisce per la ricomposizione possibile tra il mondo del lavoro stabile con quello precarizzato e con i settori che esprimono la vertenzialità sociale e territoriale. Per farlo bisogna guardare non solo alla prioritaria ricomposizione del lavoro subordinato, oggi frammentato e precario, ma anche ai ceti medi impoveriti dalla crisi e alla gran massa di cittadini ridotti a “scarti”. La ricomposizione di un blocco sociale antagonista è una opera di costruzione politica e di invenzione di nuove istituzioni.
Ross@ ha agito in tal senso nelle straordinarie mobilitazioni sociali, sindacali, politiche del 18 e 19 ottobre 2013 ritenendo che quello fosse il percorso da praticare e da verificare per la ricomposizione possibile di un blocco sociale anticapitalista.
La garanzia del salario diretto, indiretto e differito e la questione dell’occupazione dignitosa, continuano a rappresentare i parametri decisivi della ricomposizione possibile nel mondo del lavoro stabile e precarizzato. Il salario minimo europeo deve cominciare ad entrare nelle piattaforme dei sindacati conflittuali e dei movimenti anticapitalisti in Europa.
Ma il percorso per la ricomposizione di un blocco sociale antagonista è venuta indicando via via anche altri obiettivi fondamentali.
– Il non pagamento del debito. Il debito pubblico è un affare tra Stati, banche e grandi investitori, per questo l’obiettivo di non pagare il debito non è uno slogan, Il Comitato No debito ha, fin dal suo primo appello del luglio 2011, indicato nell’UE e nella BCE, in stretto rapporto con i mercati finanziari, le nuove élites dirigenti, il vero governo dei paesi europei. Non più i partiti e i Parlamenti sono il centro della direzione politica, al loro posto ci sono la tecnocrazia europea e le banche. In Grecia e in Italia questo ruolo è anche fisicamente incarnato negli esponenti di governo. Questo del debito pubblico è un terreno di mobilitazione imprescindibile se si vuole spezzare il cappio stretto intorno ai popoli e alle stesse istituzioni rappresentative. La lotta contro il ‘consolidamento fiscale’, come pudicamente vengono chiamati i tagli a salari pensioni e servizi sociali, è la premessa per far decollare la lotta sulle ‘poste di bilancio’. Non è la rivoluzione sociale, ma la necessaria mobilitazione per respingere l’attacco che le classi borghesi, finanziarie e industriali, stanno conducendo contro i popoli.
– Le nazionalizzazioni. I fatti dimostrano che la proprietà e gli interessi privati entrano in conflitto con quelli collettivi. Il caso dell’Ilva è emblematico per quanto attiene lavoro e salute. Ma anche la gestione privata del sistema bancario presenta le stesse caratteristiche. Per questo motivo diventa attuale e prioritario porre le nazionalizzazioni delle banche e delle industrie strategiche per l’economia del paese un elemento centrale di ogni progetto di cambiamento.
– Il reddito sociale. In questa ottica acquista rilievo l’obiettivo del reddito minimo garantito che da anni le reti dei precari e dei disoccupati portano avanti. Occorre superare la visuale di chi scorge nel reddito minimo garantito l’esaltazione dell’ozio e del rifiuto del lavoro; esso è la risposta commisurata alle attuali condizioni del mercato del lavoro che vede le nuove assunzioni avvenire solo attraverso forme contrattuali precarie e il diffondersi dell’instabilità con il passaggio continuo da un posto all’altro. Si abbia ben in mente il tratto saliente delle politiche del lavoro: le ‘garanzie’ non devono essere fruite ‘sul lavoro’, ma devono essere date al lavoratore ‘sul mercato’. Sul mercato si confrontano, questa la realtà del capitalismo nell’era della globalizzazione, direttamente venditore e compratore di forza-lavoro secondo le regole del libero scambio senza l’intervento delle organizzazioni collettive, se non di quelle che accettano di mediare sul mercato questo ‘scambio ineguale’. La contrattazione collettiva è minata alla radice, e per ridarle una nuova prospettiva occorre attraverso un reddito minimo garantito dare forza ai lavoratori minacciati permanentemente di licenziamento, così come ai disoccupati, agli inoccupati e ai precari. Esso li può sottrarre al ricatto dell’accettazione di un lavoro qualsiasi, a un salario sempre più basso. Il reddito minimo garantito è un sostegno alla ricerca di un lavoro dignitoso, non la fuga da esso, e può sorreggere la stessa contrattazione collettiva non più indebolita dal ricatto della miseria. Non a caso alcuni sindacati di base e conflittuali, hanno assunto nelle loro strategie contrattuali il reddito minimo garantito per dare rinnovato vigore alla contrattazione potendo così fungere, si spera, da catalizzatori delle lotte disperse del precariato.
– I beni comuni. La lotta per contrastare la redistribuzione del reddito ‘verso l’alto’ , che continua ormai da anni, si affianca a quella contro le privatizzazioni e la liberalizzazione dei servizi pubblici, che stanno conoscendo un’accelerazione imposta direttamente dalla Commissione Europea. L’acqua rimane la vicenda più esemplare della lotta per i beni comuni, che apre l’orizzonte verso una diversa gestione delle risorse naturali, ed economiche in generale, alternativa a quella capitalistica.
4.4. Unità e rottura nel rapporto con la sinistra e i movimenti. Ross@ nasce come aspirazione all’unità delle forze anticapitaliste nella sinistra e nei movimenti sociali e sindacali del nostro paese. A tale scopo ha perseguito percorsi unitari ogni volta che è stato possibile: a partire dal Comitato No Debito fino alle mobilitazioni del 18 e 19 ottobre e alla campagna per il Controsemestre popolare in antagonismo al semestre europeo a presidenza italiana. La riaffermazione dei propri contenuti non ha mai impedito la costruzione e la realizzazione di mobilitazioni unitarie con le altre forze.
La frammentazione del blocco sociale antagonista non consente oggi operazioni egemoniche ma richiede una grande capacità di mettere in relazione e confronto i diversi settori sociali impegnati nel conflitto di classe. Non sono oggi visibili sintesi complessive che sappiano tenere insieme rappresentanza politica, identità, radicamento sociale e strategia.
La crisi che ha logorato i partiti della sinistra non sembra essersi conclusa né aver trovato la forza per una seria rimessa in discussione che avviasse una controtendenza. Aver costruito dei veri e propri elettorati piuttosto che organizzazioni radicate nella società, il boom del funzionariato e dei professionisti della politica piuttosto che dei militanti e della militanza, l’elettoralismo, la subalternità e la corresponsabilità con il centro-sinistra prima e il Pd poi nei governi nazionali e locali, hanno prodotto una divaricazione crescente e per certi versi insanabile tra i partiti della sinistra e i settori sociali di riferimento. Le contraddizioni che hanno portato un piccolo pezzo della borghesia democratica a sostenere la Lista Tsipras appare oggi carico di incognite.
I movimenti sociali che sono venuti emergendo su questioni specifiche – per quanto rilevanti – come il diritto all’abitare o le vertenze territoriali, hanno ritenuto che questa dimensione potesse essere di per se autosufficiente per indicare una separazione con l’autonomia del politico e una prevalenza della rappresentazione sociale. La sindrome autodistruttiva e le smanie egemoniche che hanno portato al rapido smantellamento dell’alleanza politico-sociale-sindacale del 18 e 19 ottobre, stanno lì ad indicare l’erroneità di questi atteggiamenti.
Il settarismo e la frammentazione oggi dominanti nei movimenti e nella sinistra sono certo l’effetto della crisi e della disgregazione del blocco sociale antagonista, ma sono anche il risultato di atteggiamenti che sono stati perseguiti coscientemente e che hanno solo aggiunto macerie alle macerie. Se si vuole ritrovare una funzione reale alla sinistra politica e sociale nel nostro paese questo è possibile solo dandosi un progetto unitario ed organico che miri alla ricostruzione, paziente e sistematica, del rapporto con il blocco sociale penalizzato dalla crisi e di una identità nettamente anticapitalistica.
Ross@ intende perseguire l’unità e la rottura. L’unità con tutti i soggetti politici, sindacali e sociali che intendono esercitare una opposizione coerente e intransigente a tutti gli apparati del capitalismo reale nel nostro paese, in Europa e non solo. La rottura con le forze che accettano l’orizzonte capitalista come l’unico possibile e modificabile dal suo interno. Il riformismo del XXI secolo porta fuori bersaglio anche più che in passato, perché oggi è evidente a tutti che i margini della redistribuzione e della democratizzazione del sistema sono in via di liquidazione.
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