Migliaia di statunitensi colpiti dalla crisi hanno una sola possibilità per comprare le cose a cui non vogliono rinunciare: pagarle a rate. Ma così finiscono per indebitarsi ancora di più
Il salotto che Jamie Abbott non può permettersi è finito nella sua spaziosa casa mobile un giorno che lei e il marito sono entrati in un negozio della catena Buddy’s a Cullman, in Alabama. Abbott era senza contanti e non aveva una carta di credito né un conto in banca, ma quel negozio era fatto apposta per clienti come lei. Tutto poteva essere suo. Le possibilità – e i prezzi – erano da capogiro. Da Buddy’s un iPad usato di prima generazione costa 1.439,28 dollari (1.150 euro) se pagato in 72 rate settimanali. Con la stessa forma di pagamento, un computer portatile Acer arriva a costare 1.943,28 dollari. Una lavasciuga Maytag pagata in cento settimane costa 1.999 dollari.
Abbott voleva una coppia di divani che stessero bene nel suo soggiorno, e sapeva perfettamente che quella spesa poteva far saltare in aria il bilancio familiare. Ma questo era il prezzo di non avere alternative.
A cinque anni da una crisi economica che ha colpito duramente la classe operaia, negli Stati Uniti è nato un settore economico che offre ai poveri una scorciatoia verso le gratificazioni materiali della vita borghese. Sempre più spesso i commercianti si rivolgono a clienti che non hanno soldi da spendere proponendogli una gamma estremamente ampia di piani di finanziamento, che costano molto di più del prezzo reale dei prodotti in vendita. E che aggravanulteriormente le difficoltà di chi è già economicamente svantaggiato.
I poveri oggi possono fare acquisti online, pagare a rate o rivolgersi a negozi tradizionali come Kmart, che offrono contratti in leasing. Il cambiamento più significativo per i consumatori a basso reddito è la proliferazione di negozi rent to own, cioè che usano la formula dell’affitto a riscatto: un bene materiale viene ceduto in cambio di rate settimanali o mensili, e il cliente può restituirlo se non riesce a pagare le rate. Catene come Buddy’s Home Furnishings aprono un nuovo negozio alla settimana, soprattutto nel sud degli Stati Uniti.
Per certi aspetti, il modello è simile a quello dei mutui subprime dei primi anni duemila, quando le banche concedevano prestiti a clienti considerati “ad alto rischio”. Ma se in quel caso i clienti pagavano tassi di interesse del 5 o del 10 per cento, nel settore del rent to own gli interessi reali superano il 100 per cento all’anno. Questo modello commerciale, in cui le transazioni rientrano nella categoria del leasing, permette ai negozi come Buddy’s di evitare le leggi antiusura e altre normative statali.
I consumatori con pochi soldi disponibili spesso non hanno molti altri posti a cui rivolgersi: “Congratulazioni, sei stato preautorizzato”, gli dice Buddy’s sul suo sito web. Questo messaggio potenzialmente si rivolge al 40 per cento delle persone nella fascia più povera della società statunitense, cioè quelle che guadagnano meno di vent’anni fa e che ormai tirano avanti facendo diversi lavori part time. Fino a qualche tempo fa queste persone potevano contare su lavori più sicuri e meglio retribuiti, potevano pagare in contanti nei grandi magazzini Walmart e avevano accesso a forme di credito più abbordabili. Ma oggi le banche tendono a tenersi alla larga dalle famiglie a basso reddito, e per molti l’acquisto a rate è diventato l’unica scelta possibile. Secondo alcuni economisti, dopo la recessione i clienti più a rischio sono stati quasi completamente esclusi dall’accesso ai grandi prestiti, come i mutui immobiliari. “Invece di cercare di capire come aiutarli, il mercato ha abbandonato le famiglie con un reddito più basso”, afferma Michael Barr, docente di diritto all’università del Michigan e autore di No slack: the financial lives of low-income americans (Senza tregua: la vita finanziaria degli americani a basso reddito).
I gradini più bassi
Nessuno vuole comprare prodotti a un prezzo due o tre volte superiore a quello che pagherebbe in un negozio tradizionale.
Ma quando Abbott ha cominciato a cercare i divani, a febbraio di quest’anno, non aveva i soldi per pagare in contanti qualcosa di decente, neanche su un sito di articoli usati. Non poteva comprare a rate da Walmart perché l’azienda offre quell’opzione solo durante le feste. Forse avrebbe potuto mettere da parte i soldi, ma ogni volta che ci aveva provato i risparmi erano stati spazzati via dalle necessità quotidiane. “Il rent to own era la nostra unica possibilità”, dice Abbott, che ha 33 anni. E così l’inverno scorso è andata con suo marito da Buddy’s con l’idea di sostituire il vecchio divano della loro casa mobile.
Decidere di comprare un salotto nuovo significava scommettere su un futuro migliore. Donald lavorava più o meno regolarmente e a volte riusciva a portare a casa anche cinquecento dollari alla settimana, caricando e trasportando frattaglie di pollo, usate per preparare cibi per gli animali, nelle fabbriche di tutto il sud degli Stati Uniti. Se fosse riuscito a tenere questo ritmo, se la sarebbero cavata.
Da Buddy’s, Abbott e il marito hanno adocchiato un bel salotto marrone che si intonava bene con i colori della loro casa mobile. Il divano aveva al centro una mensola per appoggiare i bicchieri, i cuscini erano gonfi e soffici, e quando ci si sono seduti sopra per provarlo hanno scoperto che oscillava come una sedia a dondolo. “Sono quasi morta quando l’ho visto”, ricorda Abbott. Il giorno dopo avevano un salotto nuovo composto da due pezzi della stessa linea e dello stesso materiale: 17 per cento pelle. Insieme costavano intorno ai 1.500 dollari. Abbott poteva pagarli in due anni, scegliendo tra rate mensili o settimanali. Il prezzo finale, con le rate settimanali, sarà di 4.158 dollari.
Un negozio rent to own è un osservatorio privilegiato sulle persone più in difficoltà dell’economia statunitense. Nei negozi come il Buddy’s di Cullman i clienti scommettono per la prima volta di riuscire a rispettare i pagamenti, anche se le rate settimanali o mensili possono rendere ancora più precaria la loro situazione. Ed è in questi negozi che s’incassano o si pagano queste scommesse, a seconda che i clienti riescano o meno a pagare il loro debito. Alcuni ce la fanno. Per esempio il veterano della guerra in Iraq che entra con una busta di denaro contante passando vicino alle poltrone a fiori e alle tv a schermo piatto. O la parrucchiera, convinta che se la settimana andrà male “darò a Buddy’s quello che ho”. O ancora la nonna di trentasette anni che dice di aver preso da Buddy’s quasi tutto quello che ha in casa.
Ma la maggior parte dei clienti fatica a rispettare le scadenze delle rate. Angela Shutt, direttrice del negozio di Cullman, spiega che il 75 per cento dei prodotti presi in affitto da Buddy’s viene restituito poche settimane dopo la prima scadenza. E a livello nazionale la percentuale di restituzioni sta aumentando. Secondo Joe Gazzo, presidente di Buddy’s, è un indice della crescente difficoltà dei lavoratori a basso reddito. “Non ho mai visto una clientela o un’economia come questa”, afferma Gazzo durante un’intervista telefonica dalla sede della società a Tampa, in Florida. “Lo stesso giorno ci possono essere cinque persone che aprono un conto e altre cinque che restituiscono qualcosa. Siamo diventati un po’ come Blockbuster”.
Buddy’s e i suoi maggiori concorrenti, Aaron’s e Rent-A-Center, sono spesso criticati dalle associazioni per la tutela dei consumatori, che li accusano di usare strategie predatorie. Sui prodotti c’è un’etichetta con il prezzo in caso di acquisto immediato e, a caratteri cubitali, il prezzo con i pagamenti a rate settimanali. A Cullman i dipendenti di Buddy’s distribuiscono volantini – “Tuo più in fretta e a meno!” – tra gli abitanti degli accampamenti per le case mobili e delle case popolari. Gli imprenditori che operano in questo settore dicono di offrire un servizio legittimo a una fascia di consumatori che spesso viene trascurata. I clienti che non riescono a rispettare le scadenze non rischiano conseguenze: dal momento che sono affittuari e non proprietari, non devono pagare penali se restituiscono la merce. Il negozio di Buddy’s a Cullman è uno di quelli con il maggior giro d’affari dell’intera catena. I cinque ragazzi che ci lavorano hanno a cuore i loro clienti. Derek Bland, che gira in macchina per la contea ritirando gli articoli dai clienti in ritardo con i pagamenti, ha appena lasciato un impiego alla catena di pizzerie Papa John’s. Brandy Day, una delle commesse, ha un fremito quando parla dei gioielli che Buddy’s tiene vicino alla cassa. “Riprendersi un televisore da 42 pollici è una cosa”, osserva. “Ma una fede matrimoniale?”.
I piedi per terra
Il successo di Buddy’s si deve alla crisi economica. Fino al 2007 era un’azienda a gestione familiare con qualche decina di negozi, soprattutto in Florida. Poi è scoppiata la crisi dei mutui, e Buddy’s si è visto restituire seimila articoli in poche settimane. All’inizio, spiega Gazzo, l’azienda si è sforzata di crescere soprattutto per cercare di sopravvivere: voleva espandersi fuori dalla Florida, che era l’epicentro della bolla immobiliare. Poi in poco tempo è arrivata a dominare il mercato, ma si è ritrovata con una strategia vincente quasi per caso. Su un sito web per potenziali proprietari in franchising, Buddy’s spiega che molti consumatori che prima della recessione avevano accesso a mutui subprime ora “non possono ottenere i finanziamenti tradizionali e quindi diventano clienti delle aziende che offrono rent to own”.
Nel 2008 i negozi Buddy’s erano ottanta, oggi sono 204. L’obiettivo è arrivare a 500 entro il 2017. A detta di Gazzo, le entrate dell’azienda crescono a un ritmo costante e sostenuto, anche se Buddy’s ormai deve difendersi dalla concorrenza di decine di negozi online che offrono soluzioni rent to own. “Il settore nell’insieme sta attraversando il periodo più complesso della storia, perché dobbiamo competere con tutti”, spiega Gazzo. “E perché i clienti hanno meno soldi che in passato”.
Sono passati otto mesi da quando Abbott ha comprato i suoi divani, e certi giorni riesce a non pensare alle rate da pagare. Si lascia cadere sui cuscini poco prima che i bambini tornino da scuola e dice che non rinuncerebbe a quel piacere “per un milione di dollari”. Le famiglie normali hanno un divano, dice, e uno è disposto a fare qualsiasi cosa per sentirsi normale. Ma in altri giorni lo sforzo diventa difficile da sostenere. Come un giovedì di qualche settimana fa. Era un giorno di paga. Prima dell’alba Donald ha chiamato un numero verde per sapere quanto rimaneva sulla sua carta prepagata.
“Duecentotrenta dollari”, ha risposto la voce automatica. Era la somma del suo ultimo stipendio, ed erano anche gli ultimi soldi rimasti, tutto quello su cui la famiglia poteva contare per l’intera settimana. Era meno di quello a cui erano abituati: le spese per le medicine e la concorrenza degli altri autisti avevano ridotto la paga di Donald. Jamie è andata con il marito in bagno a fumare una sigaretta e a fare un po’ di conti.
Avevano già ritirato i 1.500 dollari che erano riusciti a mettere da parte, spendendone due terzi per sostituire la pompa del carburante della loro vecchia Ford e un terzo per pagare le rate scadute da Buddy’s.
C’erano delle settimane in cui non riuscivano a pagare il conto dei cellulari. Non andavano a mangiare fuori da due mesi.
Erano continuamente in arretrato con i pagamenti da Buddy’s e avevano cominciato a saltare una settimana per poi pareggiare i conti la settimana dopo, aggiungendo cinque dollari per il ritardo. A peggiorare le cose, ogni volta che entravano nel negozio per versare le rate ne uscivano con nuovi prodotti. Una volta avevano preso uno smartphone. In un’altra occasione si erano portati via una coppia di altoparlanti Samsung. E improvvisamente le rate settimanali erano arrivate a 110 dollari.
E in settimane come quella, le scadenze erano diventate insostenibili soprattutto con i 598,99 dollari al mese da pagare per l’affitto della casa.
“Non so come potremo farcela”, ha commentato Abbott. Ogni possibile soluzione comportava un altro problema. Restituire i divani? Certo, ma avrebbero perso i soldi già versati e il salotto sarebbe rimasto vuoto. Trovare lavoro? Ci aveva provato, ma né Walmart né Jack’s né la caffetteria della casa di riposo avevano voluto assumere una donna con la psoriasi e senza un diploma. Aspettare e sperare? Forse Donald avrebbe lavorato di più – magari facendo due trasporti al giorno fuori dallo stato invece di uno – ma tutto dipendeva dal suo datore di lavoro.
A mezzanotte di quel giovedì, 51 dollari su 230 se ne erano già andati per la benzina e le sigarette. Il giorno dopo Abbott è andata a fare la spesa da Walmart con l’intenzione di spendere il meno possibile. Ha preso una confezione da dodici di ramen e panini per preparare degli hot dog. Nella corsia dedicata ad Halloween ha incontrato Rachel Bryant, una vecchia amica.
“Hai l’aria stanca”, le ha detto Bryant.
“Ho problemi di glicemia”, ha risposto Abbott. Bryant ha annuito e Abbott è ammutolita, strizzando gli occhi.
È uscita da Walmart con 11,18 dollari di spesa e si è avviata verso la macchina. Mancavano ancora diverse ore prima che i bambini tornassero da scuola, prima di dover preparare la cena e pensare a come farsi bastare i soldi per altri sei giorni.
“Abbiamo sempre parlato di costi e benefici”, ha commentato tornando a casa. “Perché quando hai una famiglia non puoi semplicemente dire ‘lo voglio e me lo compro’. Ma quando cresci con una poltrona, una sedia a dondolo, un divano e tutto il resto, ti abitui ad avere queste cose. A volte è difficile dimenticare il passato e accettare la realtà”.
* Chico Harlan, The Washington Post, Stati Uniti, traduzione a cura di Internazionale
Segnalato da CortoCircuito di Firenze
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