[Questo brano è parte di un ricordo collettivo di Bianca Guidetti Serra – tenutosi il 16 maggio al Vag61 di Bologna – che ha ripercorso i momenti più importanti della sua lunga vita, fra i quali il suo impegno contro la pena dell’ergastolo.]
Durante la sua esperienza personale, Bianca Guidetti Serra si è avvicinata alla pena dell’ergastolo per diverse ragioni: in quanto avvocato, che conosce la legge e le questioni connesse alla pena perpetua; in quanto persona, che ha assistito diversi ergastolani durante l’angosciante percorso carcerario; in quanto soggetto politico, che ha lottato per l’abolizione del fine pena mai.
Gli anni della sua vita sono gli stessi anni in cui, gradualmente, la pena dell’ergastolo ha preso forma e perso consistenza nell’ordinamento giuridico italiano, partendo dalle problematiche relative alla sua compatibilità con le finalità rieducative previste dall’art. 27 della Costituzione, passando attraverso l’introduzione di misure alternative al carcere, per poi ritornare al punto di partenza, ovvero all’introduzione del cosiddetto ergastolo ostativo.
Già nei lavori dell’Assemblea costituente, infatti, si è posto il problema di conciliare la pena perpetua prevista dall’art. 22 del Codice Penale Rocco, con il nuovo assetto costituzionale, secondo cui “… le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Il vivace dibattito giuridico che si è sviluppato nel corso degli anni ha subito un’importante battuta d’arresto nel 1974, quando la Corte Costituzionale ha ritenuto la pena dell’ergastolo compatibile con la funzione rieducativa della pena, poiché il condannato, dopo numerosi anni di carcere, avrebbe la possibilità di far rientro nella società attraverso la liberazione condizionale.
Nonostante la decisione del Giudice delle leggi abbia deluso le aspettative degli abolizionisti, a ben vedere essa ha offerto un prezioso argomento contro l’ergastolo, poiché di fatto esso è stato dichiarato costituzionalmente legittimo solo perché esistono istituti giuridici in grado di eliminarne il carattere perpetuo, e quindi solo nella misura in cui, in concreto, non sia carcere a vita.
In sostanza, si è affermato che la pena perpetua esiste solo in astratto, poiché nella pratica anche gli ergastolani hanno gli strumenti giuridici per poter lasciare gli istituti penitenziari, sicché l’ergastolo dovrebbe essere considerato alla stregua di una pena temporanea.
Le argomentazioni giuridiche utilizzate dalla Corte Costituzionale si sono poi rivelate prive di fondamento, poiché, a partire dai primi anni novanta, sull’onda della legislazione d’emergenza, si sono gettate le fondamenta per introdurre il c.d. ergastolo ostativo, che impedisce l’accesso alla liberazione condizionale, ed ai benefici penitenziari, agli autori di determinati reati.
Tale preclusione è tuttora vigente nell’ordinamento giuridico italiano, sicché l’ergastolo deve necessariamente intendersi come pena perpetua, poichè dura tutta la vita del condannato, e rappresenta l’unico caso (ad eccezione della pena di morte) in cui la pretesa punitiva dello Stato travalica i limiti del tollerabile e risucchia tutta la libertà dell’uomo, ed in definitiva l’uomo stesso.
L’unica possibilità che gli ergastolani hanno di veder aperte le porte del carcere è rappresentata da un proficuo percorso di collaborazione con la giustizia, poiché solo tale circostanza è ritenuta sintomatica di rieducazione e meritevolezza. Sussiste, infatti, un ragionamento di tipo presuntivo per cui se un condannato decide di non collaborare con l’Autorità giudiziaria (in modo da aprire le porte del carcere ad altri condannati), allora il processo risocializzante avviato nei suoi confronti non può ritenersi adeguatamente compiuto, sicché egli non può essere giudicato degno di una pena più umana.
Sulla base di tali argomentazioni l’ergastolo ostativo è ancora oggi ritenuto compatibile con le caratteristiche generalmente attribuite alla pena dall’art. 27 della Costituzione (Corte Cost. 2003), e per tale ragione il dibattito politico sull’abolizione della pena perpetua non può ritenersi superato, e deve proseguire con maggiore incisività a sostegno delle lotte che numerosi ergastolani stanno portando avanti nelle carceri di tutta Europa.
Non vi è motivo, infatti, di ritenere che la questione sull’abolizione dell’ergastolo sia superata e non sia più attuale, poiché questa pena disumana, che viola la dignità dell’uomo e deve essere equiparata alla tortura, è tuttora presente nelle carceri italiane ed europee.
A partire dai dati statistici, che ci rivelano che in Italia sono 1.584 le persone condannate all’ergastolo, e fra queste ben 1.162 vivono tutti i giorni la condizione dell’ergastolo ostativo, ovvero della rassegnazione agghiacciante, determinata dall’assoluta impossibilità di uscire di prigione.
Alcuni di loro, però, non si sono rassegnati e stanno cercando di dare un senso alla galera, provano a cercare un confronto con la società, lanciando poteste di tipo pacifico e scrivendo lettere alla Magistratura di Sorveglianza. Tentano di spiegare ai giudici che rieducazione non significa collaborazione, e ci si può ritenere pronti per il rientro in società anche se non si è disposti a gettare un’altra persona nel vortice dell’ergastolo ostativo.
La disumanità e l’insopportabilità della pena dell’ergastolo trapela in particolar modo nella lettera che 310 detenuti hanno inviato al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il 31 maggio del 2007, chiedendogli di convertire l’ergastolo in pena di morte, poiché quest’ultima sarebbe meno dolorosa. Si dice, infatti “… l’ergastolo ti fa morire dentro a poco a poco. Più ti avvicini al traguardo più questo si allontana. L’ergastolo è una pena stupida perché non c’è persona che rimanga la stessa nel tempo. L’ergastolo è una morte bevuta a sorsi, perché non ci mettiamo d’accordo e smettiamo di bere tutti assieme?”. La richiesta degli ergastolani è rimasta senza risposta, molti hanno auspicato riforme, ma nessuno ha voluto affrontare l’ipocrisia del sistema sanzionatorio italiano, che si è fatto bello attraverso la formale abolizione della pena di morte, ma al contempo ha introdotto la cosiddetta “pena di morte viva”, definizione con cui i detenuti si riferiscono all’ergastolo ostativo.
Per trovare meno iposcrisia bisogna andare in Belgio, dove pochi mesi fa un condannato all’ergastolo, Frank Van Den Bleeken (52 anni, detenuto da 29 anni), ha chiesto l’eutanasia, ed i giudici gliel’hanno concessa, definendo la sua sofferenza insopportabile.
Perché, allora, si dice che l’ergastolo non esiste? Non esistono questi 1.584 detenuti? Non esiste quest’uomo che implora di morire, piuttosto di trascorrere tutti i giorni della sua vita dentro una cella senza via di uscita? Non esistono i 310 ergastolani che hanno chiesto la conversione della pena perpetua in pena di morte?
Effettivamente, per buona parte della società gli ergastolani non esistono, svaniscono dietro le sbarre del carcere a vita, relegati ai margini della società per un tempo indefinito,
finché non decidono di collaborare o di morire. La voce degli ergastolani fa fatica ad uscire dalle mura carcerarie e quando ci riesce non trova ascolto, risuona nel silenzio dell’indifferenza, e questo avviene perché le ipocrite coscienze italiane si sentono a posto: “in Italia non esiste la pena di morte!”.
da http://www.labottegadelbarbieri.org/
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