(un abbozzo di ricostruzione storica)
Per non dimenticare e per resistere
A settantatré anni di distanza dai fatti è ancora importante ricordare ciò che accadde l’8 Settembre 1943, giorno nel quale fu reso noto l’armistizio, stipulato cinque giorni prima, tra il governo italiano e gli alleati: si apriva così una pagina assolutamente decisiva nella storia del nostro Paese che non può assolutamente essere obliata.
Nella storia dell’Italia contemporanea l’8 Settembre è stato più volte paragonato a Caporetto, sia per le dimensioni della disfatta militare e politica, sia per l’aspro dibattito sollevato circa le responsabilità.
Ma già nella prima ricostruzione delle vicende italiane tra i due dopoguerra novecenteschi Federico Chabod (L’Italia contemporanea 1918 – 1948, Torino 1961) sottolineava anzitutto il distacco tra regime e nazione segnalato dalla mancanza per la prima volta dall’unificazione dei volontari nella guerra del ’40.
Chabod individuava una profonda diversità tra il 1917 e il 1943 proprio nella definitiva rottura consumata tra il fascismo e gli italiani.
Emergeva una divisione netta tra regime e nazione e la volontà popolare aspirava, prima di tutto, a chiudere con la guerra.
I partiti antifascisti usciti allo scoperto con il 25 Luglio commisero però nei 55 giorni l’errore di lasciare ai responsabili della disfatta, la Monarchia e l’Esercito, il difficile sganciamento dall’alleato nazista, nella convinzione che la dinastia risultasse ancora in grado di gestire da sola, con il sostegno delle potenze alleate, l’uscita dalla guerra iniziata e condotta per oltre 3 anni a fianco dei nazisti.
Lo sfacelo dell’8 settembre risultò dunque, insieme, come il risultato della sconfitta di un regime che aveva puntato avventurosamente sulla guerra e della dinastia che aveva pensato di poter transitare indenne tra opposti schieramenti internazionali e diversi sistemi politici interni.
Risaltò così, in quel frangente, l’assoluta inadeguatezza delle classi dirigenti del paese nei vari campi incapaci di compiere nei momenti decisivi scelte condividendo la responsabilità dei possibili esiti che ne derivassero.
Il ventennio fascista si era chiuso con una profonda lacerazione del tessuto nazionale, che il regime si era proposto di rafforzare procedendo a una forma d’integrazione di massa attuata attraverso l’esaltazione di miti effimeri (nazionalismo, addirittura razza, prolificità) elargendo anche i primi consumi individuali (la radio, i treni popolari) ed elementi di parziale sicurezza (le ferie, la previdenza sociale).
Questi elementi avevano prodotto un’adesione, però superficiale e sostanzialmente passiva, rapidamente dileguatasi nel durissimo confronto con la prova bellica nel corso della quale si era dimostrata, via via la debolezza di un regime nazionalista costruito in maniera del tutto insufficiente rispetto alla pretesa di porsi come potenza militare.
La fuga del Re e di Badoglio a Brindisi assicurò la continuità dello Stato monarchico italiano, pur ridotto negli esigui confini del “regno del Sud” che comprendeva soltanto alcune province pugliesi.
Il “regno del Sud” era soggetto anche al rigido controllo alleato secondo i dettami del “lungo armistizio”.
La nascita pressoché in contemporanea della Repubblica Sociale sanciva, in quel momento, il dissolvimento dello Stato nazionale Italiano, così come questo era stato costruito nel corso del Risorgimento.
L’Italia a quel punto si trovava sotto il dominio dell’esercito tedesco nel Centro – Nord e sotto il controllo delle armate anglo – americane nel Sud.
L’analisi a quel punto non poteva che soffermarsi sulla disfatta del paese, la perdita dell’indipendenza, della sovranità, dell’unità dello Stato.
Nell’estate del ’43 era scomparsa la sostanza, anche se non la forma, dello Stato italiano e si erano dissolti, insieme, i vincoli di solidarietà e di lealtà annodati, a seguito di passaggi storici molto difficili e complicati, tra ceti sociali, orientamenti ideali e religiosi, interessi e distinzioni territoriali spesso fortemente conflittuali tra loro, lungo un processo di costruzione nazionale unitaria meno che secolare (E. Renan. Che cos’è una nazione? Introduzione di Silvio Lanaro, Roma 1993).
Andava considerata nel giusto conto il peso della storia, come memoria, tradizione, coscienza collettiva, che aveva gravato sull’Italia in forme eccezionali per durata e continuità ultramillenarie e andava considerata insieme alle incertezze sui tempi e le forme dell’identità della nazione anche il ritardo della sua costituzione come Stato unitario e la rapida consunzione delle idee e del termine di patria
Gli avvenimenti dell’8 Settembre ponevano in luce come restasse irrisolto il punto fondamentale di un equilibrio nel rapporto tra governanti e governati, tra classi dirigenti e masse .
L’Italia dopo l’8 Settembre 1943 sembrava tornare a essere considerata poco più di un’espressione geografica (Claudio Pavone, Tre governi e due occupazioni, in “Italia contemporanea” 1985, n.160).
Il punto di svolta, rispetto al quadro che si delineava in quel momento, fu rappresentato dalla formazione, ad opera delle forze politiche antifasciste, del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) il 10 Settembre, nella Roma occupata dai tedeschi.
Il CLN chiama le italiane e gli italiani alla lotta e alla resistenza contro il nazismo e il fascismo.
L’Italia sconfitta e dissolta non ha più soltanto una rappresentanza formale nella screditata dinastia dei Savoia ma può fare riferimento ad una struttura politica, ancora debole e attraversata da contrasti come quello riguardante il futuro istituzionale del paese, che possiede però la suo interno la capacità di porsi come nuova autorità anzitutto morale e anche organizzativa, intorno cui ricostituire il lacerato tessuto nazionale., ancora debole e attraversata da contrasti come quello riguardante il futuro istituzionale del paese, che possiede però la suo interno la capacità di porsi come nuova autorità anzitutto morale e anche organizzativa, intorno cui ricostituire il lacerato tessuto nazionale.
In questo tragico momento i partiti antifascisti si fanno carico dei destini del paese con l’appello alla lotta armata contro i nazisti : è questo l’elemento che li legittima agli occhi della popolazione come i protagonisti della liberazione nazionale.
Per il CLN la sconfitta non significa rinuncia: anzi l’appello del 10 settembre segna l’inizio di una lunga e sanguinosa battaglia resistenziale che dal settembre del ‘ 43 fino all’aprile del ’45 diventa l’imperativo categorico e l’impegno prioritario delle forze antifasciste.
La Resistenza, guidata dal CLN, come esperienza collettiva di una minoranza del popolo italiano che aveva difeso in armi il diritto alla libertà e alla indipendenza di se stessi e del proprio paese, era diventata il più alto riferimento morale e il fondamento etico – politico del travagliato processo di ricostruzione dell’unità statale e dell’identità nazionale.
La Resistenza si configurava quindi come il momento essenziale del riscatto italiano dopo la disfatta del fascismo e come tale continua a rappresentare ancor oggi il carattere più elevato e il connettivo più solido per la ricostituzione dell’ordinamento dello Stato.
Il risultato complessivo di quelle convulsioni storiche è stato rappresentato dalla Costituzione Repubblicana e dalle scelte politiche che il suo contenuto ha dettato nel corso degli anni: anche qui tra fortissime contraddizioni e difficoltà.
Tra queste scelte la più importante è sicuramente quella riguardante la forma della democrazia parlamentare e rappresentativa.
Una forma della democrazia già sufficientemente attaccata nel corso degli anni dalla reazione individualistica, autoritaria, dell’imposizione di un artificiale dominio di un insensato modello mediatico.
Una forma della democrazia che oggi si intende ridurre drasticamente deformando lo stesso testo del dettato costituzionale.
Un tentativo da respingere aggregando le forze più sane che ancora resistono in questa Repubblica.
Per compilare questo testo sono stati consultati: “Storia dell’Italia Repubblicana” volume I “La costruzione della democrazia” Einaudi, Torino 1995 e Simona Colarizi “Storia dei partiti nell’Italia repubblicana”, Laterza Roma – Bari 1994
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